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Studi Cassinati, anno 2016, n. 4
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di Gaspare Biagiotti*
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L’arte presepiale napoletana raggiunse la sua massima espressione nel corso del Settecento quando la corte di re Carlo III di Borbone e della regina Maria Amalia favorì la realizzazione di presepi di grande bellezza1. Napoli divenne, dunque, la culla dell’arte del presepe che ebbe fin da allora la sua massima espressione all’interno delle chiese, ma, grazie anche alla borghesia che commissionava dei gruppi di sculture ricoperte di stoffe e tessuti pregiati denominate coi propri nomi, pure in collezioni private2. In quel periodo, quindi, si andarono affermando nell’arte presepiale validi professionisti e tra gli artisti spesso ricordati per il loro raffinato realismo decorativo si annoverano Giuseppe Sanmartino (autore del famoso Cristo velato nella cappella Sansevero a Napoli)3 assieme a una folta schiera di suoi allievi tra i quali Salvatore di Franco, Gennaro Sanmartino, Angelo Viva, Francesco Celebrano, Carlo Beliazzi, Giuseppe Gori (o Giuseppe De Gori).
Quest’ultimo, ormai è certo come dimostra la ricerca condotta dal preside Giovanni Petrucci4, era originario di Coreno Ausonio (allora Coreno, diocesi di Gaeta). Nel Liber baptizatorum ab anno 1708 ad annum 1753 Corenarum, conservato presso l’Archivio parrocchiale della chiesa di Santa Margherita in Coreno risulta che Giuseppe Antonio De Gori (meglio noto come Giuseppe Gori) fosse nato il 14 ottobre 1739, figlio di Antonio (fu Giuseppe e Lucrezia Parovano) e di Margherita Coreno (fu Antonio et Theothea Valente). Il bambino venne battezzato il giorno della nascita dal parroco locale, don Fabiano De Ruggiero, padrini furono Samuele Coreno e Costanza Ruggiero, e i nomi di battesimo impostigli furono quelli dei due nonni, paterno e materno.
Giuseppe Antonio De Gori lasciò presto la famiglia e il paese d’origine per trasferirsi a Napoli, prendendo alloggio nel popolare quartiere dei Vergini nei pressi della bottega dello scultore Giuseppe Sanmartino, che si trovava sotto le mura di Sant’Aniello fuori la porta di Costantinopoli. Si sposò ventenne (quindi circa nel 1759) e visse nella municipalità di Chiaia in vico Freddo n.19, ed ebbe tre figlie femmine di cui l’ultima, Maria Luigia (all’anagrafe Maria Luigia Anna Antonia Vincenza Rosa Francesca Ermenelgilda Gertrude de Gori), classe 1789 si sposò con Francesco Magatti nel 18185. Trovò lavoro come cameriere ripostiere presso famiglie altolocate. La vicinanza con il laboratorio dello scultore Sanmartino lo portò ad apprendere, è evidente, l’arte del modellare di pastori e animali del presepe: delle vere e proprie opere d’arte, di ceramica con vestiti di stoffe pregiate e cucite a mano.
Da un prezioso documento dell’Archivio di Stato di Banco di Napoli, Giornale copiapolizze, del 30 gennaio 1776 si evince che Giuseppe Sanmartino mandò a cuocere 22 mezzi busti di creta da un suo allievo collaboratore. Si trattava di Giuseppe Gori. Nel testo si legge: «A Giuseppe Sanmartino, ducati 5 e grana 4 a Giuseppe Gori e per esso a Stefano Palombo a compimento di Ducati 20 sono per la lavatura di 22 mezzi Busti di creta cotta di esso, per Portatura alla Fornace e riportatura nella sua Stanza. Atteso così sono convenuti restando con tal pagamento saldato e soddisfatto, per tale causa non restando altro a conseguire da esso per cosa alcuna sotto qualsiasi colore e pretesto e con espressa dichiarazione che oltre alla Creta vendutali per averla pagata di detto convenuta e restano interamente saldate e soddisfatte tutto quanto sino a 15 agosto 1775 fra loro si è negoziato così per le cause espresse che per altre mai vi fossero e per loro son una nota fatta per mano di Notar Andrea Fiordelisi di Napoli»6.
Gori lavorò anche presso la Real Fabbrica di Capodimonte e modellò personaggi per presepi per personaggi della nobiltà dell’epoca, come la famiglia del notaio Servillo, spesso anche con ritratti degli stessi committenti7.
Come scrive il prof. Gennaro Borrelli, Giuseppe Gori «esplicò solo l’attività di modellatore di figure e di qualche animale che rese attraverso solidi volumi esaltati da un colore naturalistico smaltato che fece epoca. La sua presenza nella bottega del Sanmartino è solo attestata dalla storiografia tradizionale ma è evidente che ne assimilò lo stile, ed a tal punto che alcune sue eccezionali figure vengono scambiate per quelle del Maestro. Il Gori trattò tutti i soggetti della vasta casistica presepiale della seconda metà del ‘700: dai ricchi massari ai Viggianesi, dalla Sacra Coppia al gruppo dei “pezzenti”; dagli Angeli, agli Orientali, ai Re Magi. Anche Moszynski annotò la notevole bellezza dei costumi di questi cortigiani. L’attribuzione al Gori è suffragata da quelle tradizionali, nonché dalle figure firmate e siglate. L’inedita coppia Georgiana e Giorgiano sono coperti da ricchissimi costumi che colpirono molto gli stranieri»8. A giudizio dello stesso studioso egli fu il «più raffinato, il più noto, il più prestigioso, il più affermato dei seguaci del Sanmartino». Giuseppe Gori «fu un esclusivo plasticatore di figure, quindi il meno documentato: egli assimilò nella quotidiana collaborazione presso la bottega del Maestro gli stilemi e la tecnica del colore smaltato che applicò alle sue figure nel tentativo di rendere la sbrigliata fantasia degli originali, ma si arrestò alla osservazione oggettiva riuscendo a realizzare dei plagi che purtroppo ora vengono confusi con i capi d’opera del Sanmartino»9.
Ebbe anche incarichi ufficiali come plastificatore, sotto la direzione di Carlo Vanvitelli, di gruppi in stucco per le fontane del passeggio di Chiaia nel 1781 e per il modello del cavallo per il monumento equestre del re Carlo (1803) da sistemarsi nella piazza Mercatiello (attuale piazza Dante)10.
«Egli plasmerà pure piccole ceroplastiche policrome, fra le quali alcuni ritratti dei Borbone. Non si conoscono suoi modelli per statue d’argento che, come tutti gli scultori del tempo, certamente fece»11. «La sua ultima importante opera è infatti rappresentata dalle otto modeste statue fatte per il Monastero dei SS Pietro e Sebastiano, in società con Nicola Lamberti»12. «Caratteri che lo porteranno ad un’estrema cura dei valori formali che talvolta sfocierà in una interpretazione alquanto epidermica del pathos sanmartiniano. Di questa magnifica e vasta produzione si conservano numerosi esemplari – qualcuno anche firmato – in raccolte pubbliche e private. Ad esemplificare i caratteri della plastica del Gori sarà sufficiente illustrare i tre viggianesi (così perché proveniente da Viggiano, un paese della Basilicata) in raccolta privata dei quali il giovane suonatore d’arpa, di modellato assai incisivo, presenta indubbie valenze sanmartiniane espresse tuttavia attraverso un proprio stile»13.
Gori non fu quindi scultore di professione, non lavorò il marmo, di cui oggi il suo paese d’origine è ricco: «egli visse ed operò nei limiti naturali di questa piccola statuaria, di spirito prettamente realistico e popolaresco, e portò tutti gli sforzi della sua tecnica a rendere con ogni scrupolosa cura la schietta visione ch’egli ebbe degli uomini che davan carattere alla vita napoletana dei campi e delle strade»14.
L’artista morì a Napoli, il 23 gennaio 1815 a settantasei anni15: «Dì ventitre del mese corrente [gennaio] ad ore tredici Giuseppe Degori, di Coreno, di anni settantasei, domiciliato in via Vico Freddo, nel comune di Chiaia, figlio delli furono Antonio e Margherita Coreno e marito di Anna Maria Tallarico è morto in detta casa avendo lasciato tre figlie femmine di maggiore età».
Le sue opere sono conservate in diverse collezioni. Alcune di quelle visibili si trovano nella collezione Perrone e Cuciniello al Museo Nazionale di San Martino a Napoli, al presepe del Banco di Napoli presso la Cappella Palatina di Palazzo Reale, e, infine, al Bayerisches Nationalmuseum di Monaco, in Germania.
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* Approfondimento dell’articolo intitolato Giuseppe De Gori, L’artista sconosciuto, pubblicato in «La Serra», a. XXIX, n. 112, gennaio-febbraio-marzo 2015.
1 Su tale questione cfr. A. Perrone, Il Presepe a Napoli: cenni storici, Torino 1994; T. Fittipaldi, Il Presepe napoletano del Settecento, Napoli 1995; A. Griffo, Il Presepe napoletano: personaggi e ambienti, 1996; M. Ruggiero, Il Presepe napoletano: storia di un costume, Torino 1988; L. Correra, Il presepe a Napoli, in L’Arte, II (1899), p. 340 segg.; Settecento napoletano: documenti , vol. 1, Napoli 1982, S. De Caro, M. Marrelli, W. Santagata, Patrimoni intangibili dell’umanità. Il distretto culturale del presepe a Napoli.
2 F. Mancini, Il presepe napoletano nella collezione Eugenio Catello, 1965;
3 L. Becherucci, Sanmartino Giuseppe, ad vocem in Enciclopedia Italiana, Treccani, 1936.
4 G. Petrucci, Tra archivi e biblioteche: Giuseppe De Gori, in «Napoli Nobilissima», Rivista di Arti, filologia e storia, quinta serie, volume III – fascicoli 1 e 2 gennaio/aprile 2002; Id., Giuseppe De Gori da Coreno, in «Studi Cassinati», a. II, n. 2, giugno 2002, pp. 123-124.
5 Comune di Napoli, sezione di Chiaia, Registro attestati di morte del 1815, Certificato di morte, estratto, numero d’ordine n. 45.
6 N. Spinosa, Il presepe napoletano, Di Mauro, Sorrento 1997.
7 R. De Simone, Il Presepe popolare napoletano, Torino 1998.
8 G. Borrelli, Scenografie e scene del presepe Napoletano, Napoli 1990.
9 G. Borrelli, Il presepe napoletano, Napoli 1970.
10 E. Catello, Lettera inedita del Vanvitelli, in «Napoli Nobilissima», V-VI 1980.
11 E. Catello, Sanmartino, Napoli 1988.
12 G. Filangieri, Indice degli artefici delle arti maggiori e minori, 1 vol., 1891.
13 G. Borrelli, Il presepe napoletano … cit.
14 M. Morelli, Figurette da Presepe acquistate per il Museo San Martino, in http://www.bollettino darte.beniculturali.it/opencms/multimedia/BollettinoArteIt/documents/1366981710849_06_-_Morelli_122.pdf. Le immagini a corredo di questo articolo sono tratte dalla pubblicazione di Mario Morelli, Figurette da Presepe … cit., pp. 129, 130, 131.
15 Comune di Napoli, sezione di Chiaia, Registro attestati di morte del 1815, Certificato di morte, estratto, numero d’ordine n. 45.
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