Idelfonso Rea. Visto da vicino.


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Studi Cassinati, anno 2017, n. 2
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di Francesco Gigante

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Dom Martino Matronola, l’abate Idelfonso Rea e dom Angelo Pantoni.

Di solito il 15 marzo, anniversario della distruzione di Cassino, si commemorano le figure storiche dell’avv. Gaetano Di Biasio e del sen. Pier Carlo Restagno, gli artefici principali della ricostruzione della città. È raro che ci si ricordi anche di un terzo ricostruttore, l’abate Ildefonso Rea.

Vogliamo ovviare a questa dimenticanza con questo articolo, attingendo soprattutto ai ricordi personali.

Il 6 settembre del 1945 passava a Dio l’indimenticabile abate Gregorio Diamare, l’ultraottantenne vegliardo che aveva guidato verso la salvezza i pochi monaci rimastigli accanto e un gruppetto di sfollati sopravvissuti all’inferno delle bombe del 15 febbraio, giù per i sentieri delle montagne tormentati dalle artiglierie alleate. Riunitisi a norma della Regola, la comunità monastica eleggeva a nuovo abate don Ildefonso Rea, nato ad Arpino, ma esterno all’Abbazia.

Fu l’uomo giusto al momento giusto.

Dalla figura slanciata, il naso leggermente aquilino, un perenne sorriso sulle labbra, ispirava sicurezza e speranza, pur incutendo soggezione e grande rispetto. Il nuovo abate non tradì le aspettative. Ristabilì prima di tutto, la stretta osservanza della regola.

Costretta a rifugiarsi prima a Roma, poi alla spicciolata qua e là, la comunità monastica aveva perso quel ritmo sereno ma ordinato della vita cenobitica che solo la stabilità può consentire. Ci fu qualche opposizione, qualche monaco migrò verso altri lidi, ma furono episodi isolati. Don Ildefonso seppe ricompattare la famiglia e mobilitarla per l’opera di ricostruzione, valorizzando competenze e capacità. Così don Luigi De Sario, per il prestigio di cui godeva come esecutore e compositore di musica sacra, fu una specie di ministro degli esteri; don Francesco Vignanelli, pittore, e don Angelo Pantoni, ingegnere, archeologo, con la tuta da operai furono dal mattino al tramonto sulle macerie per rintracciare e salvare dalle ruspe colonne, capitelli, marmi e opere d’arte sepolte sotto le macerie; don Agostino Saccomanno riceveva gli ospiti, i turisti, i visitatori facendo rivivere episodi e vicende di cui era stato spettatore ed attore.

Lui, l’abate, fra gli operai, che erano centinaia fra gli ingegneri, i tecnici, i responsabili delle ditte appaltatrici, fra i funzionari dei ministeri senza concedersi un minuto di sosta, fino a che Montecassino tornò a nuova vita, facendo onore al suo motto: succisa virescit!

Il miracolo ebbe il suo compimento il 24 ottobre 1964 con la consacrazione della basilica ad opera di papa Paolo VI. Dulcis in modo, fortis in re, gentile nelle maniere, intransigente nella sostanza, don Ildefonso si muoveva con disinvoltura in un mondo e in una società profondamente cambiati, ma nel profondo il suo animo era quello di un monaco antico: non conosceva il dubbio, sapeva quel che voleva e lo perseguiva con tenacia, con sicurezza, con coraggio.

Il suo nome, Ildefonso, mi ricordava un altro grande monaco, Ildebrando, sì Ildebrando di Soana, poi Gregorio VII, morto in esilio per la sua intransigenza verso l’imperatore Enrico IV.

La stessa fede, la stessa tenacia, la stessa inflessibilità.

Ne fu una prova la decisione di ricostruire l’abbazia ubi erat, sicut erat, dov’era, come era.

Cosa lo spinse a quella scelta?

Certamente l’amore al vecchio monastero che aveva ricevuto la sua impronta monumentale, splendida, da Francesco e Antonio da Sangallo.

Una ragione sentimentale, la chiameremmo oggi, ma più forte di essa una ragione pratica e realistica, più impellente: optare per un progetto nuovo significava prospettarsi e programmare tempi più lunghi e rischi maggiori.

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Cronaca Monastero Cassinese di Leone Ostiense e Pietro Diacono, traduzione a cura di Francesco Gigante.

Tra concorsi, esami, varianti, autorizzazioni ecclesiastiche e civili, possibili rivolgimenti politici, quanto tempo sarebbe passato? Con quanta lievitazione di costi? Non mancavano di argomenti altrettanto validi gli innovatori, che pure c’erano. Era possibile ricostruire sicut erat? Era possibile riprodurre gli affreschi di Luca Giordano, ricomporre i frammenti dei marmi preziosi, gli intarsi dei celebri stalli del coro? L’arte sacra è espressione della cultura del tempo, della sensibilità e religiosità del popolo cristiano nelle varie epoche storiche. L’aspirazione al trascendente, il profondo senso del divino del Medioevo ci ha lasciato Nôtre Dame di Parigi, il Rinascimento San Pietro con il suo cupolone michelangiolesco, il Barocco la Roma e le sue chiese del Seicento/Settecento, così come il nichilismo dei nostri giorni ci lascia le chiese progettate da Fuksas.

Un concorso a livello internazionale avrebbe potuto selezionare un progetto rispondente alla spiritualità dei nuovi tempi; capace di tradurre cioè il messaggio di San Benedetto in una lingua intelligibile nella società nata nel dopoguerra. Era questa la voce degli innovatori.

Montecassino come è stato ricostruito, come lo ammiriamo e lo amiamo è bellissimo; concediamo tuttavia agli innovatori il piacere di immaginare che sarebbe stato, non meno bello, anzi più bello se invece dell’attuale aspetto settecentesco avesse quello del ventunesimo secolo.

Leone Ostiense nella sua storia dell’abbazia scrive che quattro furono i fondatori o rifondatori del celebre monastero: San Benedetto, Petronace (dopo la distruzione dei Longobardi), Aligerno (dopo la distruzione dei Saraceni), Desiderio, il grande Desiderio, nell’undicesimo secolo. Se scrivesse oggi, aggiungerebbe certamente un quinto: l’abate Rea.

Sì, perché si è conquistato un posto nella storia.

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Il Centro Documentazione e Studi Cassinati-Onlus rivolge sinceri e cari auguri al socio FRANCESCO GIGANTE per essere stato insignito della «Menzione d’onore» quale riconoscimento alla carriera di latinista e cultore di storia patria. La preziosa attestazione, assegnatagli nell’ambito della manifestazione «Certamina di poesia latina Vittorio Tantucci e Scevola Mariotti» organizzata dalla Libera Università Maria Santissima Assunta (Lumsa) di Roma e consegnatagli nel corso della cerimonia di premiazione della VI edizione tenutasi il 28 aprile 2017, gli è stata conferita per il suo impegno culturale in difesa e conoscenza della lingua latina, dei tesori della letteratura antica e della storia del territorio, in particolare dopo aver pubblicato (dopo quasi tre anni di lavoro) la traduzione integrale dal latino medioevale della Cronaca del monastero cassinese, con testo a fronte, scritta da Leone Ostiense e Pietro Diacono, che, anche a causa della mole e delle difficoltà linguistiche, nessuno aveva mai prima provveduto a rendere in lingua italiana.

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