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Studi Cassinati, anno 2017, n. 3
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di Maurizio Zambardi
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Chissà se il compianto Antonio Vecchiarino abbia mai pensato o creduto che con un suo semplice e “furtivo” gesto, quello cioè di scrivere il suo nome e cognome con una matita sulla parete di un piccolo ambiente di servizio di un edificio religioso quando aveva 18 anni, oltre ad immortalare nel tempo il suo ricordo, avrebbe consentito di far conoscere, a poco più di un secolo di distanza, dove ora si trovano sepolte le sue spoglie mortali? Sembra quasi un racconto tratto dalle pagine del romanzo Cent’anni di solitudine dello scrittore Gabriel García Márquez, premio Nobel per la Letteratura nel 1982.
Oggigiorno scrivere il proprio nome in un luogo è abbastanza frequente, specie per gli adolescenti che si trovano in un’età nella quale si ha voglia di voler testimoniare la propria presenza, un modo per dire “anche io esisto su questa terra e il mio ricordo dovrà rimanere sempre vivo”. Molto spesso sono gli innamorati a lasciare scritto i loro nomi. Oggi, poi, si è diffuso il vezzo di lasciarli scritti su un lucchetto chiuso la cui chiave viene gettata via, quasi a suggellare la loro unione per sempre. In genere chi scrive il proprio nome rimane sempre un po’ nel vago, nel generico, anche perché non vuole essere immediatamente individuato. Ma il gesto di Antonio Vecchiarino è diverso. Egli ha lasciato tutti i dati per essere individuato, tanto che scrive sia nome e cognome (e poiché sono scritti in corsivo potrebbe essere proprio la sua firma), sia l’anno di nascita, sia la sua età (diciottenne, anche se non ancora compiuti), e infine l’anno in cui ha effettuato la scritta. Inoltre suoi potrebbero essere anche le altre scritte vicine, tutt’ora visibili, inerenti i conti per l’acquisto di abiti, e alcuni disegni a matita, in particolare quello di una tromba.
La scritta è la seguente: «Ricordo di anni 18 / Antonio Vecchiarino / Nato l’anno 1897 / Scritto l’anno 1914». Proviamo a ricavare alcune notizie da questa scritta. Antonio scrive su una parete interna di un piccolo ambiente della chiesa madre di San Michele Arcangelo, ubicata nel vecchio centro di San Pietro Infine, ed è facilmente individuabile. Ciò ci consente di ipotizzare che quell’angusto ambiente, posto accanto alla sagrestia, fosse utilizzato come locale di servizio oppure come deposito della chiesa stessa, quindi di poco rilievo e anche poco frequentato. Inoltre il disegno della tromba accanto al nome ci porta a ipotizzare pure che egli doveva essere un componente della banda musicale del paese, anche perché, probabilmente, le prove venivano fatte proprio all’interno della grande sagrestia della chiesa, se non nella chiesa stessa. È probabile anche che il piccolo locale venisse utilizzato come spogliatoio dalla banda in occasione di feste, o dai chierichetti. Sappiamo che in quegli anni fu l’arciprete don Aristide Masia a spronare i giovani perché creassero una banda musicale, era quello un modo per togliere i giovani dalla strada1.
Dopo tanti anni, il nome di Antonio Vecchiarino è recentemente tornato alla ribalta grazie all’amico Giuseppe Vecchiarino (fu Simone), che ha “postato” sul più diffuso social network di internet la foto della scritta (anche se i graffiti, con i disegni e le scritte, da tempo avevano destato la mia curiosità, tant’è che li avevo fotografati già negli anni ’80 del secolo scorso).
Ma vediamo un po’ più da vicino chi era il nostro personaggio. Antonio Vecchiarino era nato alle 2:20 di notte del 7 giugno 1897, al civico 2 della casa posta in Vico Primo Letizia della vecchia San Pietro Infine. I genitori erano il ventottenne Domenico Vecchiarino (un personaggio ancora oggi ricordato in paese per la sua simpatia e per i suoi arguti aneddoti) e la ventiquattrenne Antonia Cenci. Entrambi erano contadini. A redigere l’atto di nascita fu l’Ufficiale di Stato civile, nonché sindaco del paese, Pietro Troianelli.
Antonio, unico figlio maschio della famiglia, aveva tre sorelle: Domenica, Dolorosa ed Emilia. Allo scoppio della Prima guerra mondiale, come tutti i giovani dell’epoca, fu chiamato alle armi, arruolato nell’8° Reggimento Bersaglieri. Partito per il fronte purtroppo non fece più ritorno al suo paese. Morì nell’Ospedale militare principale di Udine, dove si trovava ricoverato perché ferito o comunque gravemente ammalato. Dall’atto di morte si apprende che morì alle ore 20:30 del 7 gennaio 1919, all’età di 21 anni, e che era celibe. Il certificato, inviato in copia all’Ufficio di Stato civile di San Pietro Infine, è datato 28 aprile 1920 ed è a firma del cavaliere avv. Fabio Celotti, commissario prefettizio aggiunto per il Comune di Udine. L’atto venne poi registrato all’Ufficio anagrafe di San Pietro Infine la mattina del 12 di giugno del 1920, da Gaetano Di Raddo fu Domenico, assessore anziano, facente funzioni da sindaco.
A San Pietro, dunque, familiari e compaesani erano venuti a conoscenza della sfortunata fine di Antonio.Tuttavia il luogo della sua sepoltura è rimasto per molto tempo avvolto nel mistero. Era stato sì rintracciato, come ci ha confermato il maresciallo dell’Aeronautica Franco Venditti, suo pronipote, senza, però, averne la certezza a causa di un errore di trascrizione. Grazie a un lavoro di “squadra”, nato per caso, è stato possibile appurare che le spoglie mortali di Antonio riposano in una cripta di una chiesa di Udine. Il riconoscimento è stato difficile e laborioso perché sulla lapide è riportato erroneamente il cognome «Veschiarino» anziché «Vecchiarino». Avuta conferma, la famiglia, coadiuvata dal sindaco Mariano Fuoco, e dietro suggerimento del maestro Fulvio Venditti, altro suo pronipote, si era immediatamente attivata al fine di far finalmente ritornare, dopo oltre un secolo, i resti di Antonio Vecchiarino nella terra d’origine. Per tale occasione si stava organizzando un’apposita cerimonia religiosa e civile, come già nel passato2. Recentemente si è appreso, tuttavia, che la cosa non è possibile per rigide norme militari.
Singolare e intrigante resta il fatto che sia stato proprio quel “messaggio”, scritto poco più di un secolo fa da Antonio Vecchiarino a farlo “ritornare in vita”, metaforicamente parlando, consentendo alla famiglia e alla comunità sampietrese di ricordarlo e di sapere con certezza dove si trovano sepolte le sue spoglie mortali. Un ricordo doveroso specie per chi si è immolato per la Patria.
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Note
1 M. Zambardi, Luigi Matera, Cantastorie di San Pietro Infine, Formia 2000, pp. 52-53.
2 Così avvenne il 15 gennaio 1992, quando furono riportate nella sua terra nativa le spoglie di Giuseppe Nicandro Fuoco, morto in un campo di concentramento in Germania il 16 aprile 1945, all’età di 24 anni (M. Zambardi, Mortui ut Patriae Vivat, in «Oggi & Domani», bimensile a cura della Pro Loco «Antonio Alfieri D’Evandro», gen.-feb. 1992, p. 2).
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