Testimonianza di Antony Tony Vittiglio*


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«Studi Cassinati», anno 2018, n. 1
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Vittiglio appena arruolato.

Vittiglio appena arruolato.

Quanti anni sono passati, quanti amici ho incontrato, quante storie ho narrato, quante invece ho preferito tacere. Le vicende che mi portano qui a scrivere queste poche parole le ricordo con profondo affetto e commozione.

Sono l’ormai ex soldato Antonio Vittiglio, nato a Sant’Angelo in Theodice nel lontano 1921, in quella provincia di Frosinone di cui questo libro vuole cantare gli eroi.

Le vicende che ho narrato al signor Francesco Di Giorgio sono tra i miei ricordi più preziosi e sono onorato che vengano custodite tra le pagine del suo libro L’odissea degli internati militari italiani della provincia di Frosinone nell’inferno del terzo Reich.

 Quella guerra sanguinosa io l’ho vissuta in prima persona, l’ho combattuta nelle fila dell’esercito degli Stati Uniti, ma non in un solo momento ho dimenticato le mie radici, la mia Italia, i miei fratelli che in Patria venivano oppressi e vessati da un nemico troppo grande, potente e spesso spietato.

In quei giorni di tumulto, il 5 aprile 1945, conobbi due persone che mi porto ancora oggi nel cuore: la mia Divisione, la 95esima, liberò un campo di concentramento poco lontano da Dortmund e Soest, l’Oflag 83, e più oltre lo stammlager IV F dove erano confinati e reclusi circa 500 soldati italiani. Tra questi il bersagliere Carmine D’Alessandro di Pignataro Interamna e l’allora Tenente dei carabinieri, poi Generale, Luigi Margiotta di Cervaro.

I due autori Erasmo Di Vito e Francesco Di Giorgio.

I due autori Erasmo Di Vito e Francesco Di Giorgio.

Immensa fu la sorpresa di trovare due conterranei, due fratelli, in quei luoghi tanto lontani da casa.

Essi mi narrarono la loro storia e le vicende che li portarono alla prigionia. Le vicissitudini patite da quei miei compatrioti accrebbero il già grande rispetto che nutrivo per la mia terra natia e alimentarono il desiderio di compiere il mio dovere.

Per loro io feci quel che potei, quel che la guerra mi permise; feci in modo di far giungere notizie ai famigliari nella lontanissima Ciociaria, poche parole per far sapere loro che i figli adorati erano ancora vivi e finalmente salvi, per fare avere loro quel sollievo di cui certamente avevano bisogno.

Non è mia intenzione dare anticipazioni delle vicende contenute nel libro, ma intendo soffermarmi su alcuni sentiti ringraziamenti.

 Innanzitutto vorrei ringraziare il già citato Francesco Di Giorgio e il suo collega Erasmo Di Vito perché racconteranno alcuni episodi della mia vita nel loro libro, dando nuova importanza a vicende successe molti anni orsono. Questa cosa mi riempie di orgoglio.

Vorrei ringraziare i miei amici Luigi Margiotta e Carmine D’Alessandro, che il destino ha voluto farmi incontrare in guerra e poi di nuovo in pace qualche anno dopo.

Il gen. Luigi Margiotta.

Il gen. Luigi Margiotta.

La loro forza, il loro coraggio, la dignità dimostrate nei giorni di agonia sono stati di ispirazione per tutta la mia vita, mi hanno spronato nei momenti di sconforto.

Io liberai quei due signori dalla prigionia, ma la verità è che essi sono diventati miei eroi, i miei esempi da seguire.

Un grande ringraziamento lo riservo al signor Pasquale D’Alessandro e al signor Antonio Murro che in tempi diversi nel dopoguerra mi hanno aiutato a ritrovare quei fratelli tornati fortunatamente a casa.

Concludo questo mio intervento ricordando e ringraziando una persona speciale, che mi ha in più di tutto e tutti riempito il cuore di commozione mista a felicità.

Parlo della signora Anna, madre del Generale Luigi Margiotta. Quando ebbi l’onore di conoscerla nel 1946 fui travolto dalla riconoscenza che quella donna mi riservava: «mi hai fatto il dono più grande che una madre possa ricevere, tu mi hai nutrito le speranze di una madre» con queste parole la donna mi accolse cingendomi le braccia al collo.

Quel gesto disinteressato che per me era fraterna amicizia, lo scrivere quelle poche parole su un foglio bianco, per una madre era il senso profondo della parola “speranza”.

Negli anni ho ricevuto molti onori e medaglie per i miei sacrifici in guerra, ma le parole di quella donna restano la testimonianza più cara e duratura.

Un ultimo pensiero. Il destino ha voluto che io servissi in armi gli Stati Uniti d’America, il paese che ha ospitato da migranti me e la mia famiglia.

Ma io voglio ribadire qui, davanti a Voi, che sono rimasto e sono orgoglioso di essere italiano!!

Signori Vi ringrazio per aver ascoltato le mie parole, Vi auguro una buona vita e come mi piace concludere di solito:

Viva l’Italia e Viva gli Stati Uniti d’America.

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* Sulla figura di Antony Tony Vittiglio cfr. G. de Angelis-Curtis, Antony Tony Vittiglio e il «più bel regalo che puoi fare a una mamma», in «Studi Cassinati», a. XV, n. 2 , aprile-giugno 2015, pp. 118-123.

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