Segnalazioni bibliografiche


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«Studi Cassinati», anno 2018, n. 1
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Ildefonso Schuster – Ildefonso Rea, Il carteggio (1929-1954). Tra ideale monastico e grande storia, a cura di Mariano Dell’Omo, Jaca Book, Milano 2017, pagg. 302, ill. b./n; f.to cm. 15×23; ISBN 978-88-16-30595-3; € 30,00

Il volume è curato da don Mariano Dell’Omo, direttore dell’Archivio di Montecassino, il quale ha inteso celebrare due insigni personalità del Novecento italiano: Ildefonso Schuster cardinale, arcivescovo di Milano, proclamato beato da papa Giovanni Paolo II il 12 maggio 1996, e Ildefonso Rea abate di Cava dei Tirreni e poi di Montecassino, vescovo titolare di Corone. Allo stesso tempo il volume si caratterizza per essere anche un pregevole strumento di ricerca a disposizione di storici e studiosi.

La corrispondenza Schuster-Rea inserita nel volume risulta composta da 191 lettere inedite, rintracciate ed estrapolate anche da un corpus epistolare schusteriano vastissimo che raggiunge le ottantamila unità, e quella scambiata con l’abate cassinese, dunque, ne «costituisce solo un segmento». Già il «compianto predecessore» di don Mariano Dell’Omo nell’Archivio di Montecassino, l’indimenticato don Faustino Avagliano, aveva vagheggiato il riordino dello scambio epistolare, dandone notizia in qualche saggio o articolo.

Il carteggio è una preziosissima testimonianza dei rapporti intercorsi tra questi due autorevoli personaggi legati da «amicizia e affetto» per tutta la vita e che ebbero in comune vari elementi di affinità. I parallelismi non si limitano al fatto di essere appartenuti ambedue all’Ordine di San Benedetto. Infatti ad essi fu assegnato l’identico nome al momento del noviziato (al secolo Alfredo il cardinale, Matteo Renato l’abate) e ambedue divennero «vescovi come il santo di cui portavano il nome»; quindi hanno avuto in comune il 1929 «anno cruciale per entrambi» in cui uno fu elevato al cardinalato e fu nominato arcivescovo di Milano, mentre l’altro divenne abate della SS. Trinità di Cava dei Tirreni (alla cui nomina «non fu certo estraneo lo Schuster»); quindi la dura, difficile e tormentata esperienza del secondo conflitto mondiale soprattutto nella fase di occupazione tedesca, con il primo di famiglia di estrazione bavarese ma a capo della più grande diocesi europea vivendo travagliati momenti in particolare in prossimità e immediatamente dopo il 25 aprile 1945, con il secondo catturato nella sua abbazia di Cava dei Tirreni dai nazisti nel settembre 1943 e portato in ostaggio a Piazzolla di Nola; quindi il comune e profondo senso di dolore e di smarrimento per il «disastro … enorme» della distruzione dell’ultramillenaria badia di Montecassino. Toccò proprio a Ildefonso Rea, per primo, – aggiungo in queste righe – il triste compito di visitare alcuni paesi della Diocesi cassinese (Cervaro, S. Pietro Infine, S. Vittore, Caira) e le rovine della gloriosa Abbazia, rimanendo fortemente addolorato e inebetito di fronte a quell’ammasso enorme di macerie, provvedendo a redigere una prima breve relazione datata 28 maggio 1944 (dieci giorni dopo la conquista da parte dei polacchi del gen. Anders) trasmessa al segretario di Stato della Santa Sede, card. Luigi Maglione e poi una seconda, più circostanziata e dettagliata, il 15 luglio 1944 indirizzata a mons. Domenico Tardini segretario della Congregazione per gli Affari Ecclesiastici Straordinari del Vaticano, mentre, «seppur dalla lontana Milano, il pensiero e l’amorosa memoria del cardinale» negli anni precedenti erano andati spesso a quel monastero che aveva profondamente studiato e dove più volte aveva avuto modo di recarsi nel periodo prebellico (ma anche dopo), finanche di soffermarvisi in ritiro «prima dell’ingresso solenne a Milano» a capo della diocesi ambrosiana. Schuster neppur immaginava di poter più rivedere Montecassino («non lo rivedrò più riedificato» aveva scritto sconfortato il 22 febbraio 1944), invece vi fece ritorno per altre quattro volte, tra l’aprile 1947 e l’aprile 1953. Tuttavia la sua speranza di poter «riconsacrare la basilica cassinese» non poté realizzarsi: morì il 30 agosto 1954 e la consacrazione avvenne un decennio più tardi ad opera di papa Paolo VI, sabato 24 ottobre 1964. Tra l’altro un ulteriore elemento di affinità sembra legare ancora le due illustri personalità: in quella sua breve relazione del maggio 1944 Ildefonso Rea aveva inteso riportare una frase estrapolata dal discorso di S. Massimo tenuto in occasione della dedicazione del duomo di Milano dopo la distruzione da parte di Attila («Dio restaurerà le cose vostre se anche voi restaurerete le cose di Dio»), quella stessa che per due volte il card. Schuster cita in altrettante lettere indirizzate all’abate cassinese il 24 novembre 1946 e il 25 novembre 1953.

Avviata l’opera di ricostruzione di Montecassino i due giunsero, indipendentemente l’uno dall’altro, a individuare identiche soluzioni. L’abate Rea tenne costantemente informato il cardinale dell’andamento dei lavori di ricostruzione riferendogli pure di una «fondamentale scoperta» verificatasi in quei frangenti. Infatti nel corso degli «scavi fatti nel chiostro di ingresso (detto della Posta)» si era giunti al ritrovamento dell’oratorio di S. Martino di Tours (la prima struttura edificata da san Benedetto nell’arce cassinese convertendo il preesistente Tempio di Apollo, dedicata al fondatore del monachesimo in Francia nel IV sec., ampia circa 7×7 metri e capace di contenere circa 30 monaci, della quale, dopo il terremoto del 1349, terza distruzione, si erano perse le tracce). «Il valore simbolico della identificazione della chiesa» aveva portato Ildefonso Rea a informare immediatamente, con lettera del 12 luglio 1952, il cardinale il quale gli rispose il 21 luglio sottoponendo all’abate «due proposte», «due consigli» sul rifacimento della sacra area. Infatti, scriveva, «sistemando il lastrico del chiostro dove hanno identificati i resti perimetrali del tempio desideriano di S. Martino, non si potrebbe delinearne nel pavimento il tracciato a mezzo di mattonelle marmoree? Non si potrebbe circondare quello spazio dove san Benedetto visse, pregò e spirò, in modo che nessuno lo calpesti coi piedi?». Il 31 agosto successivo l’abate rispose che gli aveva fatto «molto piacere veder confermato» dal cardinale quanto era già stato progettato. In sostanza per la risistemazione di quella superficie benedetta i due erano giunti a identiche soluzioni finalizzate a rendere immediatamente visibile, riconoscibile e inviolabile lo «spazio che un tempo fu occupato dalla navata centrale e dalle due navatelle laterali della chiesa di S. Martino».

Infatti nel chiostro le strutture edilizie preesistenti, rinvenute nel 1952, ora risultano delineate da mattonelle. Al pari è uno spazio chiuso, non calpestabile come negli auspici di Schuster, che si è andato poi ad arricchire con il posiziona- mento al suo centro del gruppo scultoreo donato dal cancelliere tedesco Konrad Adenauer e scolpito da Attilio Selva. L’artista vi rappresenta la morte di san Benedetto sostenuto da due discepoli, una «scena così solenne e misurata» che di fatto «isola e salvaguarda lo spazio del chiostro cui allude lo Schuster». In sostanza, scrive don Mariano Dell’Omo, il «danno enorme del bombardamento avvenuto la mattina del 15 febbraio 1944 sfociava infine, come per miracolo, in un’accresciuta conoscenza del passato e in un più grande amore per i valori che quel passato trasmetteva in vista del futuro che già s’intravedeva nella speranza. Era come l’auspicio benedicente del cardinale che più di ogni altro aveva amato e studiato Montecassino e il suo santo fondatore Benedetto».

Del volume, don Mariano Dell’Omo firma l’Introduzione che è un prezioso arricchimento della ricostruzione dei rapporti intercorsi fra i due Ildefonso. I meriti di don Mariano non si fermano qui. Tutto il volume risulta essere corredato da un significativo e consistente apparato di note relativo ai tantissimi temi trattati nell’epistolario dalle due eminenti personalità. Ognuna di quelle meticolose note è un concentrato di notizie, informazioni, approfondimenti, dati, indicazioni, precisazioni, il tutto condito con puntuali, ampi e specifici riferimenti bibliografici. In definitiva don Mariano è riuscito in un’impresa ardua e difficile per chi si appresta a rivestire i panni del curatore, quella, cioè, di essere compendioso e al tempo stesso rigoroso e completo (Gaetano de Angelis-Curtis).

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Gaetano De Angelis-Curtis, «Qui tutto è silenzio». Il carrista scelto Aldo Delfino da Cervaro a El Alamein (1920-1942), Centro Documentazione e Studi Cassinati, Cassino 2018, pagg. 95, illustr. col. e b./n.; f.to cm. 16,8×23,8; ISBN 978-88-9759-240-2; € 12,00

Aldo Delfino, poco più che ventenne, fu richiamato alle armi sei mesi dopo l’entrata in guerra dell’Italia. Iniziò l’addestramento militare a Siena come carrista scelto del Regio esercito italiano. Nell’estate del 1942 venne trasferito al fronte, in Africa settentrionale dove perì all’inizio di novembre nel corso della terza battaglia di El Alamein. Il volume tratteggia la figura del giovane carrista così come emerge dalle lettere che scrisse a madre e fratello in quei circa ventidue mesi tra addestramento e prima linea, prima di scomparire in una delle più cruenti battaglie della Seconda guerra mondiale.

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Cesare Erario, Eugenio Maria Beranger, Académie Vitti 49 Boulevard du Montparnasse Paris. La storia e i protagonisti (1889-1914), Museo “Académie Vitti” Atina, Casamari 2015, pagg. 238, illustr. col. e b./n.; f.to cm. 20,7×27; ISBN 978-88-940750-0-7

Il volume ripercorre la storia dell’«Académie Vitti», fondata a Parigi nel 1889 da Cesare Vitti, dalla moglie Maria Caira e dalle sorelle di quest’ultima, Anna e Giacinta, che fu attiva fino al 1914. I fondatori erano essi stessi modelli e scultori e provenivano da Casalvieri nell’ambito di un particolare fenomeno migratorio che aveva portato a Parigi, nel corso dell’Ottocento, nume-rosi modelli e modelle provenienti da vari centri della Valle di Comino. Nella capitale francese erano poi finiti negli ateliers, posando per i più grandi artisti del tempo (Rodin, Matisse, Cézanne ecc.). Anche Cesare Vitti e le sorelle Caira riuscirono a farsi apprezzare negli ambienti parigini tanto da giungere ad aprire e gestire un’accademia, un atelier d’arte privata tra i più vivaci di Parigi, che nel corso dei venticinque anni di vita ha avuto «fra i suoi docenti grandi Maestri e figure di assoluto rilievo come Paul Gaugin, che insegnarono a giovani artisti provenienti da varie nazioni dell’Europa, dell’America Centrale e Latina, ma, soprattutto, a pittrici e scultrici dell’America del Nord». In concomitanza con lo scoppio della Prima guerra mondiale la famiglia Vitti-Caira fece ritorno definitivamente in Valle di Comino andando a risiedere in un casa ubicata in contrada Scito di Atina acquistata qualche tempo prima. Cesare scomparve nel 1926, mentre la moglie Maria, con la sorella Giacinta, vissero la triste esperienza del passaggio degli eventi bellici della Seconda guerra mondiale lungo la Linea Gustav. Il volume è il frutto di una complessa e approfondita ricerca condotta in Italia e in Francia, sulla scorta di un’ampia documentazione archivistica e bibliografica, da Cesare Erario assieme ad Eugenio Maria Beranger, l’importante storico dell’alta Terra di Lavoro e della Valle di Roveto prematuramente scomparso (gdac).

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Ad Atina inferiore, in località Schito, in quella che fu la residenza della famiglia Vitti-Caira è stato allestito, ed è funzionante dal 17 agosto 2013, il «Museo “Académie Vitti”». Vi sono conservati ed esposti numerosi disegni, fotografie e cartoline inedite che ripercorrono con puntualità la vita dell’Académie a Parigi, che operò in un periodo cruciale per l’arte moderna.

Il «piccolo ma interessante» Museo è diretto con capacità professionale unita a passione da Cesare Erario, giovane dinamico e competente, discendente della famiglia Caira. Esso rappresenta un vero gioiellino culturale incastonato nella Valle di Comino, ma in generale di tutto il comprensorio, ed è da visitare.

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Costantino Jadecola, Riflessi della Grande Guerra tra Ciociaria e alta Terra di Lavoro, Centro di Studi Sorani “Vincenzo Patriarca”, Sora 2017, pagg. 176, illustr. b./n.; f.to cm. 17×24; ISBN 978-88-6781-052-9; € 18

Ultimo lavoro in ordine di tempo, dedicato, nel centenario della Grande Guerra, ai riflessi che il Primo conflitto mondiale ebbe sulle popolazioni della provincia di Frosinone. A quel tempo quel territorio non aveva né organicità, né unità amministrativa, sopraggiunta solo nel 1927 quando il fascismo istituì la provincia di Frosinone unendo Comuni appartenuti fin lì alla provincia di Roma (circondario di Frosinone) e alla storica provincia di Terra di Lavoro (tutto il circondario di Sora e parte di quello di Gaeta) e l’operazione svolta magistralmente da Costantino Jadecola con una indagine, al solito approfondita, è stata quella di collazionare aspetti, questioni, avvenimenti, situazioni, prodottisi nei due ambiti. Il ritmo del volume è incalzante e procede in ordine temporale dalle inquietudini della vigilia, alla mobilitazione, al richiamo dei militari e l’avvio al fronte, al ruolo della donna e del mondo religioso, alla solidarietà, alla disfatta di Caporetto fino alla vittoria, comprendendo anche l’epidemia di “spagnola”, l’arrivo su questo territorio dei profughi del nord-est e, nell’immediato dopoguerra, l’erezione dei Monumenti ai caduti. Chiudono il volume cinque preziose Appendici dedicate a: Cari saluti (brevi notizie pubblicate sui periodici del tempo e relative a militari tornati in congedo o impegnati al fronte); Dai «corrispondenti in guerra» (le vicende belliche raccontate dagli stessi militari al fronte); Storie di eroi (i caduti di guerra ricordati nei giornali locali coevi); I decorati (l’elenco degli insigniti delle Medaglie al Valore Militare); Sotto altre bandiere (l’elenco dei soldati di questo territorio caduti con la divisa di altri eserciti) (gdac).

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Giovanni Petrucci, Giuseppe Picano nella scultura del settecento napoletano, Caramanica Editore, Minturno 2017, pagg. 118, illustr. col. e b./n.; f.to cm. 17×23,5, s.p.

Dopo aver licenziato una prima monografia su Francesco Antonio Picano (Archivio Storico di Montecassino, Montecassino 2005 con Premessa di d. Faustino Avagliano) l’iniziatore, lo sculptor novus, ecco l’autore allargare la sua ricerca a Giuseppe Picano, figlio di Francesco Antonio suo primo maestro tanto da mettere in difficoltà nel confermare l’attribuzione di certe sculture (soprattutto quelle a cui successivi restauri hanno abraso data e nome) ad uno dei due Picano, rendendo impossibile, o quanto meno problematico, stabilirne la paternità. Giovanni Petrucci ha scavato con competenza e passione negli archivi alla ricerca di documenti, di carte, di atti dai quali ricavare notizie sulla vita, sulle opere realizzate da un artista poco conosciuto nella sua stessa patria d’origine, S. Elia Fiumerapido, ma che, secondo le ricerche svolte, sarebbe nato a Napoli nel 1716 e non a S. Elia nel 1725. Giuseppe Picano plasmò la ceramica, l’argilla, la cartapesta, il legno, lo stucco, il marmo, e Giovanni Petrucci ha catalogato e redatto con certosina accuratezza 145 schede di statue, crocefissi, stucchi ecc. presenti a Napoli, a S. Elia o in altre città, di attribuzione certa o documentata o probabile o per giudizio dei critici, pure quelle andate distrutte o perdute (gdac).

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19Recensioni7Angelo Nicosia (a cura di), Quaderni Coldragonesi 7, Comune di Colfelice, Colfelice 2016, pagg. 120, illustr. col. e b./n.; f.to cm. 21×29,7; ISBN 978-88-95101-55-2, s.p.

Angelo Nicosia (a cura di), Quaderni Coldragonesi 8, Comune di Colfelice, Colfelice 2017, pagg. 143, illustr. col. e b./n.; f.to cm. 21×29,7; ISBN 978-88-95101-61-3, s.p.

Settimo e ottavo volume della collana annuale, coordinata da Angelo Nicosia e pubblicata dal Comune di Colfelice per impulso del suo brillante sindaco, Bernardo Donfrancesco.

Il settimo numero ricomprende otto contributi, di altrettanti autori, relativi a scoperte e indagini archeologiche (Aquinum, Fabrateria Nova e Balsorano), alla proto-industria sorana, a vicende di stampo locale (Colle San Magno e Colfelice), ad aspetti religiosi (ex voto a Fontana Liri) per finire a quelli folcloristici, sociali e ambientali raccontati da viaggiatori stranieri.

L’ottavo numero (dedicato agli amici e collaboratori Ernesto Guida, Eugenio Maria Beranger e Bianca Maria Da Rif) si compone di undici contributi di altrettanti autori relativi alle monete di Aesernia del III sec. a.C.; al restauro e valorizzazione di edifici di culto (il santuario sito in località Pozzo Faito di Monte San Giovanni Campano e la chiesa detta «La Canonica» ubicata a Pontecorvo); a rinvenimenti archeologici (Interamna Lirenas); ai luoghi di destinazione degli ebrei espulsi da Sora nel 1541; all’impegno politico di parlamentari locali come Federico Grossi a favore del territorio; alle trasformazioni amministrative del territorio (la nascita della provincia di Frosinone, distacchi e fusioni di Comuni); al monte Cairo con le sue caratteristiche naturali e la sua storia; ad aspetti di stampo locale (il restauro del Palazzo Riccardi di Colfelice e il territorio locale nel medioevo); e infine la riproposizione di un articolo già edito dedicato alle querce (gdac).

Da segnalare la gradita novità per studiosi e appassionati voluta dal sindaco Bernardo Donfrancesco e dal curatore Angelo Nicosia che hanno deciso di rendere disponibili tutti gli articoli comparsi negli otto numeri di «Quaderni Coldragonesi» finora pubblicati (anno 2010 – anno 2017) che sono liberamente consultabili sul sito del Comune di Colfelice all’indirizzo: www.comune.colfelice.fr.it/pubblicazioni/quaderni-coldragonesi.html

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Alessandra Acconci, Ilenia Carnevale (a cura di), Archeologia, arte e storia nella Valle di Comino. Nuovi dati dal territorio di Atina. Atti del convegno 8 e 9 luglio 2016, Palazzo Ducale – Atina, Arbor Sapientae Editore, Roma 2016, pagg. 160, illustr. col. e b./n.; f.to cm. 21×29,7; ISBN 978-88-94820-10-2, s.p.

E’ il volume d’esordio della nuova collana editoriale del Museo Archeologico di Atina e della Valle di Comino, dedicata alla pubblicazione degli Atti dei convegni organizzati dal Museo stesso «con l’intento di aggiornare la conoscenza sullo stato delle ricerche storiche, archeologiche e artistiche del territorio». In questo primo volume sono stati inseriti nove articoli che rappresentano le relazioni tenute nel corso del convegno tenutosi nell’estate 2016). Di essi quattro sono ricompresi nella sezione I (Età antica. Studi di archeologia) e cinque nella II (Medioevo). Centro principale delle ricerche risulta essere soprattutto Atina e il suo territorio (la cisterna di piazza Garibaldi, il Palazzo ducale, le cappelle e la Collegiata, i Cantelmo) ma luoghi di interesse sono anche Casalattico, il litorale abruzzese, Badia Morronese ecc. Molto ben curato, con un buon apparato fotografico, il volume appare opportunamente chiuso da dodici tavole a colori (gdac).

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AA.VV, Il terremoto del 13 gennaio 1915 nell’alta e media Valle del Liri, vol. I, Quadro generale: il sisma, i soccorsi, il racconto, le conseguenze, vol. II, Approfondimenti, contesto culturale, testimonianze, Associaz. culturale «Il Liri», Valle Roveto 2016, pagg. 512, illustr. b./n.; f.to cm. 17×24; ISBN 978-88-908317-2-0, € 20

Ponderoso ricordo, in due volumi con complessivi 29 saggi (di cui 13 pubblicati sul primo e 16 sul secondo), del devastante terremoto della Marsica che produsse oltre 30.000 vittime (più di 10.000 nella sola città di Avezzano pari all’83% della popolazione locale e 600 in Valle Roveto). I saggi descrivono come fu raccontato il sisma dagli organi di stampa nazionale e internazionale (in particolare anglosassone), le testimonianze nella letteratura, i danni al patrimonio storico-artistico, le vittime, l’opera espletata dall’Esercito, la solidarietà umana, i soccorsi, la ricostruzione di alcune strutture scolastiche, persino ricordi, il tutto relativo alla Valle Roveto, a Sora e al sorano. I due volumi, che si avvalgono del prezioso contributo di Eugenio Maria Beranger e a lui sono dedicati, raccolgono la ricerca di studiosi, appassionati, docenti che hanno provveduto a consultare gli Archivi storici comunali, quelli nazionali e quelli di famiglia, le biblioteche e le collezioni di privati cittadini per non dimenticare, cento anni dopo (gdac).

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