In ricordo di Mario Alberigo.


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«Studi Cassinati», anno 2018, n. 3
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di Giuseppe Gentile

Mario Alberigo assieme ad Antonio Grazio Ferraro nella celebrazione del 10 settembre 2013 (foto Alberto Ceccon).

Mario Alberigo assieme ad Antonio Grazio Ferraro nella celebrazione del 10 settembre 2013 (foto Alberto Ceccon).

Come ho scritto su «L’Inchiesta» all’indomani della morte del dott. Mario Alberigo, già sindaco di Cassino e uno dei soci storici del Centro Documentazione e Studi Cassinati, la nostra città ha perso uno dei sindaci della ricostruzione. L’ha guidata dopo Di Biasio, Restagno, Malatesta e Gargano, ancora vivente, nomi che insieme a quello di Ferraro, venuto dopo di lui e scomparso qualche anno fa hanno scritto la storia politica e amministrativa di Cassino.

Ora che un altro pezzo di storia di Cassino se ne è andato con Alberigo, credo sia opportuno ricordarlo perché non si perda del tutto la memoria della nostra città, così come non vanno dimenticati uomini e donne senza volto e senza nome, come le «parrelle» di Caira e i tanti che appena rientrati dallo sfollamento hanno ricostruito le proprie case dopo che la guerra aveva reso Cassino un ammasso di macerie e un acquitrino malarico di cui ho parlato nel libro Un testimone della ricostruzione di Cassino, quando giocavo dentro Corte. Il ricordo del primo bombardamento, che per quanto sia lontano nel tempo (10 settembre 1943), ancora è vivo in me con quel grappolo di bombe sganciato da uno stormo di aerei che volava a bassa quota e che ai nostri occhi di bambini esultanti sembravano confetti giganti e non bombe di morte che uccisero oltre un centinaio di persone.

Credo di fare cosa gradita ai soci della nostra rivista e soprattutto a quei cassinati che vi sono iscritti e che non sono più ritornati a Cassino stabilendosi definitivamente là dove erano sfollati, se ricordo questo pezzo di storia scritta da Alberigo alla guida della città. Una storia che ho vissuto al suo fianco, partecipando alle campagne elettorali per le comunali che allora si facevano veramente “porta a porta”.

Un’esperienza indimenticabile insieme a quella fatta da responsabile di un settore importante del Comune, come quello della manutenzione che mi dette la possibilità di toccare con mano, durante il suo sindacato, il suo attaccamento alla città e infine avendolo avuto al mio fianco nelle campagne elettorali che sostenni per l’elezione alla Provincia e alla Regione, facendo tesoro del suo insegnamento nel corso il mio impegno politico.

L’insegnamento di un uomo che come ha scritto l’amico Emilio Pistilli era quello di una persona «mite ed intelligente, signore di altri tempi e di rara onestà», valore questo che per lui era naturale, motivo per cui nonostante abbia guidato la città per poco meno di due anni in un momento politicamente difficile, la sua morte ha lasciato un vuoto incolmabile insieme a tanta tristezza per la perdita di un uomo rimpianto dall’intera città, compreso i suoi avversari politici per il contributo che ha dato al suo sviluppo.

Contributo che viene da lontano che risale all’immediato dopoguerra quando appena rientrato a Cassino, nel 1945, venne incluso, dalla Giunta Comunale presieduta da Gaetano Di Biasio, in un gruppo di lavoro nato per l’elaborazione delle liste elettorali che gli dette ancor giovane la spinta per interessarsi dei problemi della città.

Divenne sindaco di Cassino dopo una lunga esperienza fatta da consigliere e assessore. Un’elezione quella da sindaco difficile da dimenticare per il clima politico che si era venuto a instaurare a causa della crisi nata all’interno della Democrazia Cristiana, che è stata per oltre cinquant’anni il primo partito della città, dovuta allo scontro nato tra Malatesta e Gargano, i due maggiori protagonisti della politica di allora, che dette origine ad una scissione, guidata dal primo, che rese ingovernabile il Comune.

Dalla scissione nacque, ispirato da Malatesta, il Movimento Popolare Cristiano che si presentò alle elezioni comunali con il simbolo del «Guerriero crociato» che ottenne un notevole successo e che finì per dividere in due la città e molte famiglie tra cui la mia, con Alberigo schierato con la Democrazia Cristiana e l’avvocato Pagano, fratello di mia madre, con il «Guerriero crociato». Per me fu naturale schierarmi con “zio Mario”, candidato con la Democrazia Cristiana, sostenendolo in una campagna elettorale accesa dove, dopo Gargano, fu il secondo degli eletti, così come venne eletto anche “zio Totonno”.

 Tuttavia i due schieramenti non erano in grado di governare da soli per cui la crisi invece di risolversi si aggravò ancor più. Di fronte allo stallo amministrativo creatosi, per evitare la venuta del Commissario prefettizio, Gargano fu costretto a dimettersi da sindaco, indicando come suo successore Aldo Recchia il che creò una ulteriore scissione all’interno di ciò che era rimasto della DC, promossa da Alberigo e Di Zenzo il quale nel marzo del 1966 si dimise da assessore aprendo lo scontro con Gargano. Il nuovo gruppo prese il nome di «Democratici autonomi» e si staccò dalla DC guidata da Gargano, unendosi al «Guerriero crociato» sulla base di un documento di sette punti che si ispiravano ai valori della dottrina sociale della Chiesa, indicando come candidato a sindaco Alberigo.

La crisi si protrasse per alcuni mesi anche perché gli assessori della giunta Gargano, all’epoca non dimissionabili, restarono in carica il che creò una situazione a dir poco paradossale, forse unica in Italia, esercitando il loro mandato fino a quando, con l’elezione di Alberigo a sindaco, non si dimisero spontaneamente tranne Edmondo Mascioli il quale restò in carica, partecipando per qualche mese regolarmente alle giunte, dando origine alla cosiddetta «giunta zoppa». L’elezione a sindaco di Alberigo si risolse dopo cinque votazioni tenutesi in due distinte sedute di Consiglio comunale in cui fu votato oltre che dai dissidenti del suo gruppo e da quello del «Guerriero crociato» anche dal Pli di Vincenzo Golini Petrarcone e dal Msi di Renato Casale, con l’astensione di Franco Assante del Pci, a dimostrazione del fatto che di fronte alla situazione di crisi in cui versava la città prevalse il senso di responsabilità di tutti i partiti d’opposizione, tant’è che quella di Alberigo fu un’amministrazione d’emergenza. Riuscì comunque a superare lo scoglio dell’approvazione del bilancio grazie al voto determinante del preside Angelo Gaetani che, seppur critico, non uscì dalla DC convinto della bontà dell’operazione politica fatta, cosa questa che consenti ad Alberigo di arrivare a fine legislatura dopo aver rimesso in moto la macchina amministrativa e aver fatto decantare la situazione riunificando la Democrazia Cristiana con una maggioranza di 23 consiglieri su 30.

La riunificazione dei due tronconi della Democrazia Cristiana venne ufficializzata dallo stesso Alberigo nella seduta del Consiglio comunale del 30 settembre del 1967, con disappunto dei gruppi dell’opposizione che lo accusarono di essersi servito del loro appoggio per ripristinare l’egemonia democristiana sulla città che andava avanti dall’immediato dopoguerra. Alberigo replicò ringraziando le opposizioni e precisando che con la riunificazione il quadro politico si sarebbe presentato chiaro agli elettori alle successive elezioni comunali alle quali venne indicato come capolista Antonio Grazio Ferraro che fu eletto anche con il suo impegno cosa che fu molto apprezzata da Andreotti che in un pubblico comizio lo ringraziò e poi lo chiamò alla sua segreteria particolare.

Si disse che il partito ritornato saldamente nelle mani di Gargano aveva voluto fargli pagare la rivolta di palazzo per cui decise di ritirarsi dall’agone politico. Riprese a tempo pieno la sua carriera di dirigente statale presso il Ministero del Lavoro e fu nominato addetto ai problemi del lavoro presso l’ambasciata italiana a Berna in Svizzera, incarico al quale segui quello di dirigente a Berlino del «Cedefop» (Centro di formazione professionale europeo). Pur se ormai lontano dall’Italia e dalla politica la sua presenza in Germania gli dette la possibilità di dare il suo contributo, sindaco Ferraro, per il gemellaggio tra Cassino e Zellendorf, concludendo la sua esperienza professionale come commissario di bordo di navi italiane che si dirigevano nelle Americhe, il cui compito era quello di rappresentare lo Stato Italiano.

Il periodo di tempo di circa due anni al governo della città da parte di Alberigo fu per tutto il personale e per me in particolare, dato il rapporto di parentela, un impegno molto forte perché pretese da tutti la massima collaborazione, venendo incontro alle loro aspettative sul piano professionale nonché a quelle dei cittadini. Non c’era giorno infatti che non mi chiamasse a qualsiasi ora per verificare se quel tale intervento fosse stato fatto o meno, recandosi spesso di persona a verificare, cosa che ovviamente la gente apprezzava tant’è che è stato uno dei sindaci più rimpianti dalla gente.

Il suo sindacato anche se breve fu molto apprezzato perché fu grazie a lui, allora alla segreteria dell’on.le Folchi, ministro del Turismo, se Cassino divenne sede dell’Azienda di Soggiorno e Turismo e se fu realizzato il Centro Sportivo di Via Appia e se, soprattutto, si risolse un problema annoso come quello della carenza dell’acqua ai piani alti dei fabbricati del centro urbano nonché del Colosseo e della zona di via Casilina Nord, realizzando, su consiglio del geometra Augusto Longo, responsabile dell’Ufficio tecnico comunale, con il quale collaboravo, due pozzi fatti perforare nei pressi del serbatoio Comunale in Via Montecassino.

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