Eleuterio Riccardi: estrazione territoriale e contesto storico.


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«Studi Cassinati», anno 2019, n. 2
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Il preside Bernardo Donfrancesco si è occupato a più riprese della figura di Eleuterio Riccardi. Una sua prima pubblicazione, edita nel 1986 e intitolata Il fornaciaro, è uscita quando la comunità di Colfelice è venuta a conoscenza della figura dello scultore. Quindi il 6 dicembre 1987, in occasione dei 103 anni dalla nascita dello scultore a Coldragone, aveva organizzato in qualità di sindaco, una cerimonia commemorativa con l’intitolazione di una piazza cittadina che da piazza XVII dicembre è divenuta «piazza Eleuterio Riccardi». A quella cerimonia fece seguito, nel pomeriggio, un convegno cui presero parte Gemma Riccardi e Aurelia Attili Bernucci, rispettivamente figlia di Eleuterio e una sua allieva, e il prof. Francesco De Rosa, docente e poi dirigente del Liceo Scientifico di Cassino che partecipò in qualità di Assessore provinciale alla Pubblica Istruzione.

Il preside Donfrancesco ha poi ripreso la trattazione dell’argomento pubblicando un articolo intitolato Eleuterio e Gemma Riccardi, artisti di Colfelice inserito alle pp. 121-128 del n. 5_2014 della rivista «Quaderni Coldragonesi». Ora l’autore torna a dedicare una specifica pubblicazione che è anche un catalogo delle opere di Eleuterio Riccardi e un omaggio, allo stesso tempo, a Gemma, figlia di Eleuterio, «la pittrice di Vacanze Romane» che con la sua donazione ha inteso offrire un forte segno d’amore della sua famiglia per il territorio d’estrazione, arricchendo culturalmente e artisticamente il paese d’origine del padre.

Eleuterio Riccardi nasce il 6 dicembre 1884 in una casa ubicata in Piazza dei Risorti (oggi Piazza del Duca) ubicata a Coldragone allora frazione di Rocca d’Arce. Il luogo ufficiale di nascita di Eleuterio Riccardi, dunque, è Rocca d’Arce, Comune allora appartenente alla storica provincia di Terra di Lavoro, cioè provincia di Caserta. Tuttavia nel 1923 Coldragone e Villa Felice si fusero rendendosi amministrativamente autonome da Roccadarce per dare vita al Comune di Colfelice. Quindi, poco più di tre anni dopo, con R.D. n. 1 del 2 gennaio 1927 il Comune di Colfelice assieme ad altri 51 furono sottratti al loro storico territorio di appartenenza, cioè Terra di Lavoro (provincia soppressa, unico caso operato dal fascismo), per essere aggregati alla provincia di Frosinone che veniva istituita contestualmente con lo stesso Regio Decreto.

Il padre di Eleuterio si chiamava Angelo, aveva 38 anni, invece la madre era Geltrude Magno, di professione filatrice.

La coppia ebbe complessivamente quattro figli, tre maschi e una femmina e il nome che gli dettero, quello di Eleuterio, è abbastanza diffuso nell’arcese in generale (Roccadarce, Arce e Colfelice) in quanto Sant’Eleuterio è il patrono di Arce.

Angelo Riccardi era un artigiano dedito alla lavorazione della creta, cioè un vasaio, detto anche in modo dialettale piattaro, cannataro, oppure fornaciaro a Roma che a Londra diventa «Neapolitan Pottery worker = lavoratore napoletano della terracotta». L’attività artigianale era di tradizione familiare in quanto anche il nonno di Eleuterio, che si chiamava Lorenzo era un vasaio. Gli artigiani si approvvigionavano di creta estraendola da talune aree del bosco comunale, la lavoravano nelle loro botteghe e poi la cuocevano nelle fornaci a legno ubicate in quella che si chiamava proprio via delle Fornaci e oggi è diventata Via Guglielmo Marconi. La lavorazione della creta era di tipo tradizionale. Essa veniva depurata, impastata, modellata prima a mano e poi con il tornio a pedale, cotta al forno, essiccata e infine dipinta con una vernice di colore rosso scuro, eventualmente abbellita con qualche disegno (un semplice fiore ad esempio) e poi di nuovo nel forno. Gli artigiani producevano oggetti di terracotta di uso comune come tegami, pignatte e coperchi utilizzati nella cucina; scaldini da utilizzare in inverno per scaldarsi; cannate che erano i recipienti utilizzati per riporvi l’acqua prelevata dal pozzo e portata in casa normalmente dalle donne sulla loro testa; oppure oggetti come i salvadanai. Un’antica tradizione che è andata scomparendo quasi del tutto nel corso degli anni.

Nella bottega di famiglia, il giovane Eleuterio sul finire dell’Ottocento iniziò, sotto la guida del padre, a lavorare la creta. Sono questi a cavallo tra la fine del’800 e il primo decennio del ‘900 gli anni della grande emigrazione italiana. La povertà, la mancanza di terra da lavorare, le malattie (soprattutto pellagra e colera) furono le cause principali dell’emigrazione spingendo le nuove generazioni a lasciare la propria terra. Nel corso di questa prima ondata migratoria, ricordata appunto come la grande emigrazione, lasciarono l’Italia nove milioni di persone. Poco meno della metà degli emigranti proveniva dal meridione e la maggior parte di essi veniva dalle zone rurali. Per la maggior parte essi raggiunsero l’estero, dirigendosi principalmente in America del Sud e in quella del Nord (in particolare Argentina, Stati Uniti, Brasile), oppure in Europa (soprattutto la Francia). Tuttavia non mancò anche una emigrazione interna all’Italia con flussi di persone che si dirigevano dalla campagna verso la grande città.

Anche Angelo Riccardi decise di lasciare Coldragone, di andare a fare fortuna, come si diceva, altrove, trasferirsi da qualche altra parte per dare alla sua famiglia un avvenire migliore. Non scelse la via delle Americhe o quella europea ma la soluzione interna, quella italiana poiché portò la sua famiglia a Roma. Anche qui ci si ritrova dinanzi a una scelta in controtendenza per quei tempi perché per questo territorio, per Coldragone, per l’arcese, per il Cassinate, a fare da attrattore, da catalizzatore era più la città di Napoli (già capitale del Regno delle Due Sicilie) rispetto a quella di Roma che solo da una trentina d’anni era la capitale d’Italia. Si può immaginare la famiglia Riccardi che, raccolte le poche cose di proprietà lascia Coldragone su un traballante scairabà (un francesismo per indicare il carretto, dal francese char a banc) nei primi anni del ‘900 e arriva a Roma.

Nella capitale Angelo Riccardi non cambiò il suo antico mestiere. Continuò a lavorare come piattaro, come fornaciaro, impegnandosi per aumentare la produzione e smerciare così più oggetti di terracotta in definitiva per assicurare migliori condizioni di vita alla famiglia. Proprio questa scelta di raggiungere Roma dette, molto probabilmente, la possibilità a Eleuterio che è poco più di un adolescente (aveva una quindici d’anni) di poter entrare in contatto con una realtà del tutto nuova. Ciò gli consentì di evolversi dalla figura del fornaciaro, del piattaro di paese che limitava la sua produzione agli utensili di uso quotidiano, di poter, in sintesi, affinare ed esprimere tutto il gusto personale, affacciandosi, prima timidamente poi sempre più prepotentemente, sulla scena artistica nazionale e internazionale.

 Trascorse pochissimo tempo da quando si era trasferito a Roma che già nel 1902, a 18 anni, «trov[ò] il coraggio di esporre il suo primo busto in una mostra». «Trov[ò] il coraggio» scrive il preside Donfrancesco nel volume, perché Eleuterio Riccardi aveva un carattere introverso, chiuso, riservato. A Roma si teneva lontano dai circoli artisti, preferiva non far parlare di sé, preferiva lavorare, creare, plasmare, inventare, dar figura ai suoi pensieri, perfezionare e affinare le sue doti artistiche. Nella capitale sono presenti in quegli anni le prime avvisaglie del Futurismo, c’è ad esempio Giacomo Balla, ci sono giovani artisti emergenti che conducono una vita da bohéme molto lontana e poco congeniale a Eleuterio Riccardi con il suo carattere chiuso e schivo che fu anche uno dei suoi limiti maggiori perché gli alienò le simpatie dei critici e dei mercanti d’arte.

Tornando a quella sua prima esposizione del 1902, raccolse consensi ed elogi che lo convinsero a continuare nella produzione di teste e statue di bambini.

Nel 1904, l’8 ottobre, è chiamato a prestare il servizio militare ed è designato per la ferma di due anni, assegnato al reggimento Genio specialisti. È un ragazzo di venti anni, alto un metro e 68 cm., dai capelli neri e ricci, dagli occhi «castagni», dalla dentatura sana; sa leggere e scrivere e come arte o professione è indicato come «scultore». Tuttavia nel corso di quel biennio ottenne una prima licenza straordinaria di convalescenza di un anno e poi una seconda di 90 giorni. Tutto ciò fa presumere che avesse qualche problema fisico. Venne poi posto in congedo il 4 settembre 1906.

Nel frattempo aveva continuato l’attività artistica. Infatti nel 1905 lo si ritrova nella mostra organizzata dalla «Società degli Amatori e Cultori di Belle Arti» nella quale espose una «simpatica e robusta scultura», così recensita nel 1907 da Jahn Arturo Rusconi che la titola Fabbricatore di urne (dove urne sta per vasi) in quanto rappresenta materialmente l’attività del padre Angelo, dal quale aveva appreso l’arte di modellare la materia. Dedicò al padre anche un’altra opera, una scultura in gesso intitolata Il creatore (non nel senso religioso del termine ma da intendere come colui che crea plasmando la materia) ovvero Il fornaciaro. L’opera gli consentì di vincere nel 1909 una Medaglia d’oro a Monaco di Baviera. La scultura verrà poi replicata in bronzo nel 1915 con il nome di ritratto del padre o Il fornaciaro, e ancor nel 1918 sarà rimodellata e limitata al solo busto.

Il 18 agosto 1909 Eleuterio è richiamato alle armi «per istruzioni», assegnato alla Brigata specialisti. Tuttavia tre giorni dopo è rinviato alla successiva chiamata per malattia. Quando poi viene richiamato alle armi per istruzioni il primo luglio 1910, non si presenta ed è denunciato all’autorità militare per non aver risposto alla chiamata «senza giustificata causa». Anche nella successiva chiamata del 13 agosto 1911 non si presenta «senza giustificato motivo».

Nel 1912 riprese la via per la Germania e giunse a Berlino dove rimase due anni. Lì ebbe modo di conoscere la pittura di Vincent Van Gogh che fu una folgorazione artistica per Eleuterio. Lì a Berlino ebbe modo di conoscere una giovane violinista polacca, Eva Sheps, e fu una folgorazione amorosa per Eleuterio. Tuttavia siamo a ridosso dello scoppio della Prima guerra mondiale. Eleuterio fa ritorno a Roma dove inizia un’intensa attività espositiva. Dal punto di vista artistico si sposta dalla scultura alla pittura e nel 1915 espone cinque quadri alla III Esposizione internazionale d’arte della Secessione Romana, altri sette li espone alla IV Esposizione. Continua a produrre intensamente.

Dal punto di vista militare, fu richiamato alle armi per mobilitazione il 24 maggio 1915, cioè con l’ingresso dell’Italia nella Prima guerra mondiale, inquadrato nella milizia mobile, assegnato alla compagnia automobilistica. Tuttavia il 23 ottobre successivo fu riformato in seguito a rassegna, e posto in congedo. Quindi fu richiamato a nuova visita il 21 gennaio 1918 e la Direzione dell’ospedale militare di Roma confermò la riforma.

Dunque non partecipò allo sforzo bellico italiano ma continuò incessantemente a lavorare e a esporre. A fine 1917 partecipò alla «Mostra nazionale di bianco e nero», nel 1918 realizzò il busto in bronzo del padre (attualmente nella sede del Comune di Colfelice), nel maggio-giugno 1918 egli stesso organizzò a Roma la Mostra d’arte indipendente in cui espose numerose opere di pittura e scultura accanto a quelle di artisti come De Chirico, Carrà, Prampolini, Soffici ecc. Nel 1919 espose una delle sue migliori opere a detta della critica, il busto in legno di Giovanni Borelli1 mentre è del 1920 il busto in bronzo del Generale Peppino Garibaldi.

Il periodo compreso tra le due guerre mondiali è stato quello più prolifico per Eleuterio Riccardi che si andò affermando come artista non solo in Italia ma anche a livello internazionale. Infatti nel 1921 lasciò Roma e raggiunse Londra. Superate le prime comprensibili difficoltà di ambientamento, Eleuterio per cinque anni inondò la capitale londinese di opere. Realizzò una serie di busti di donne e nobildonne dell’alta società londinese. Non mancarono, come avviene sempre, critiche alle sue opere ma egli continuò incessantemente a realizzare capolavori apprezzati dalla nobiltà londinese. Realizzò nel 1923 perfino due statue-monumento in marmo alte ben 4 metri che rappresentano Lord Edwin Samuel Montagu, segretario di Stato per l’India dal 1917 al 1922, che poi furono collocate una a Bombay e l’altra a Calcutta in India. La fama di Eleuterio Riccardi raggiunse i palazzi reali inglesi. Venne infatti contattato per raffigurare re Giorgio V e altri membri della famiglia reale. Tuttavia la realizzazione di tali sculture richiedeva l’acquisizione della cittadinanza inglese. Eleuterio Riccardi preferì invece di far ritorno in Italia.

Il rientro a Roma avviene in quelli che Renzo De Felice ha definito come gli anni del consenso al fascismo. L’artista è introdotto da Giovanni Borelli (quello a cui aveva dedicato un busto) negli ambienti più elevati del fascismo. Conobbe Giovanni Gentile, l’importante filosofo, ministro della Pubblica Istruzione e autore della riforma della scuola che porta il suo nome; giunse a conoscere persino Benito Mussolini di cui realizza un duplice busto in bronzo. Il duce appare molto soddisfatto del risultato e quando chiede a Riccardi se avesse bisogno di qualcosa l’artista gli risponde di non aver bisogno di nulla.

12_Colfelice3Dopo aver realizzato nel 1927 sei Tondi che tutt’oggi ornano la facciata del palazzo di giustizia di Messina, tra gli anni ‘30 e ‘40 eseguì numerosi busti in vario materiale (in marmo, in bronzo oppure in legno come quello che rappresenta Corrado Alvaro), pure sculture in cera, un monumento funebre, La morte di Orfeo, collocato nel cimitero di Salerno in memoria del musicista Aldo Simeone; altre sculture di nudi femminili e figure di donne in genere. Contemporaneamente si dedicò anche alla pittura. Negli anni della Seconda guerra mondiale l’attività artistica di Eleuterio Riccardi risulta, per forza di cose, rallentata ma non cessa. Partecipa a varie mostre tra il 1940 e il 1945, e proprio nel 1945 si classifica al primo posto al concorso per un incarico nell’Accademia di Belle Arti a Roma. Passata la guerra Eleuterio Riccardi riprese la sua attività a pieno ritmo. Accanto a sculture e pitture, a statue e quadri realizzò un bassorilievo in ceramica verde scuro. Tuttavia la vista cominciò inevitabilmente a indebolirsi sempre più ma non per questo la sua frenetica attività artistica sembrò risentirne finché il 19 giugno 1963 muore nella sua casa di Via Margutta a Roma.

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