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«Studi Cassinati», anno 2020, n. 1-2
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di P.G.G. Montellanico
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Volentieri «Studi Cassinati» pubblica l’articolo dell’ing. Montellatico il quale è tornato nei luoghi natii dopo aver passato tutta la vita lontano da Castrocielo. Da un documento notarile redatto 170 anni fa, scampato fortunosamente alla distruzione e ritrovato fortuitamente, ne ha saputo e voluto trarre meritoriamente elementi di storia, tradizioni, usi dei suoi luoghi.
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Al di sopra dell’abitato di Castrocielo si trova la frazione de «l’Olivastro» che forse è la più antica del paese. Nel corso dei tragici eventi della Seconda guerra mondiale dopo la distruzione della città di Cassino del 15 marzo 1944 continuarono i bombardamenti alleati sul territorio immediatamente oltre la «Linea Gustav» con l’intento di colpire le vie di rifornimento tedesche. Così il 16 e il 17 marzo 1944 gli attacchi aerei si concentrarono su Castrocielo e anche la frazione de «l’Olivastro» fu colpita pesantemente. Ne fu testimone un giovane castrocielese, Luigi Gizzi, allora tredicenne, che riuscì a salvarsi rifugiandosi in una grotta ubicata nella parte bassa della frazione e che ha raccontato la tremenda esperienza vissuta. Oggigiorno è pericoloso addentrarsi tra le rovine dell’Olivastro a causa dei cumuli di grosse pietre, di erbe infestanti, di rovi e arbusti cresciuti sulle rovine e di una lussureggiante vegetazione spontanea ma, anni prima, gente senza scrupoli aveva spogliato le case abbandonate da tutto quello che si poteva portare via. Furono rubati infissi, porte, finestre, travi per alimentare il fuoco dei camini, divelti tutti i pavimenti in cotto, ceramiche, pietre lavorate, persino portali di pietra con arco a tutto sesto e chiavi di volta sono stati smontati per andare a ornare nuove ville e ostentare l’appartenenza a una improbabile antica stirpe. Solo il portale d’ingresso del “supporto”1 del palazzo signorile di “Gnora Giustina” è rimasto intatto, senza dubbio perché essendo molto in alto, la sua asportazione sarebbe stata una impresa troppo pericolosa per l’incolumità dei saccheggiatori.
Fra i vari immobili situati nella frazione de «l’Olivastro», danneggiati dai bombardamenti del marzo 1944 c’era la casa D’Adamo-Catalano (poi restaurata nel dopoguerra), mentre furono distrutte totalmente le altre come quelle delle famiglie Notargiacomo, Pistilli e Delli Colli-Montellanico (in quest’ultima trovarono la morte il 16 marzo 1944 Anna Maria Delli Colli e Maria Antonia Montellanico, rispettivamente, nonna materna e zia dell’autore). In sopralluoghi dell’abitato distrutto de «l’Olivastro» è stato possibile scoprire all’interno di una casa sventrata un altarino quasi intatto dentro un’edicola a tutto sesto risparmiato dalla distruzione grazie ad una parte del soffitto in legno non crollata che l’ha protetto. Tale cappella privata faceva parte di una casa ubicata in un vicolo posto all’inizio, sulla sinistra, della strada «l’Olivastro», che, secondo gli studi di Bernardo Bertani, noto cultore di storia locale, era appartenuto a
Giovanni Battista Maturo, suo prozio in quanto fratello di sua nonna Maria Francesca. L’immobile di Gnora Giustina, andato cappella privata a «l’Olivastro».semi distrutto, era un palazzo signorile con gli stucchi del
salone superiore dipinti in quattro medaglioni paesaggistici, con una loggia con tre aperture a tutto sesto che affacciavano sulla verde valle del Liri sottostante e un portone d’ingresso sotto un “supporto” che divideva in due la strada de «l’Olivastro», tutti elementi che davano allo stabile un tono di preziosità insieme ad una sicura eleganza. Bernardo Bertani, il quale viveva a Roma con i suoi genitori ma in età adolescenziale trascorreva le vacanze estive e i giorni festivi a «l’Olivastro», si soffermava a cercare tra le macerie del palazzo di famiglia semi distrutto qualche oggetto e in un uno di quei pellegrinaggi sentimentali trovò tra le antiche carte paesane una copia di un testamento scritto nella prima metà dell’Ottocento, salvandola dalla distruzione.
Questa la trascrizione del testamento di Donata Montellanico – 1849, copia al numero 61 del repertorio – Regno delle Due Sicilie:
«Testamento per atto pubblico fatto da Donata Montellanico avanti a me notaro assistito da quattro testimoni – l’anno mille ottocento quaranta nove, il giorno primo del mese di luglio – nel Comune di Palazzolo = Ferdinando Secondo per la grazia di Dio Re del Regno delle Due Sicilie, di Gerusalemme e Duca di Parma, Piacenza, Castro ec. ec. Gran Principe Ereditario di Toscana ec. ec.
A richiesta fatta a noi Saverio Ricci del fù Ambrogio publico e Regio notaro residente nel comune di Colle San Magno, Provincia di Terra di Lavoro, e testimoni che appresso saranno nominati, ci siamo conferiti nella casa della testatrice sita in detto comune, strada L’Olivastro, dove giunti abbiamo trovato la detta Donata Montellanico del fù Domenico e vedova di Antonio Leone, di età maggiore, cognita a me notaro, giacente a letto, inferma di corpo ma sana di mente e diritti sensi come si scorge dal Suo discorso.
La quale temendo di essere sorpresa dalla morte, ad oggetto di prevedere ogni discussione dopo del Suo tempo à dichiarato di voler fare il suo testamento nel seguente modo:
– 1° Come fedele Cristiana raccomando l’anima mia all’Onnipotente Iddio creatore del cielo e della terra pregandolo a volermi assistere in punto della mia morte, ed indi accogliermi negli Suoi eterni beati riposi.
– 2° Dichiaro di non avere ne ascendenti ne discendenti di parte alcuna, ma bensì parenti collaterali.
– 3° Dichiaro di non possedere altro se non due case l’una sopra l’altra con stalletta al di sotto della gradinata di esse, tutti i mobili ed altro esistente dentro dette case, non che pochi generi, e denaro da esigersi, le di cui scritture e notamenti si conservano dal sacerdote Don Benedetto Materiale.
– 4° Do e lascio all’intero clero partecipante di questo comune di Palazzolo, la somma di Ducati cinquanta coll’obbligo d’impiegarli in capitale o acquisto di stabili, col ritratto delle annualità o rendita voglio che annualmente si celebrano dal clero sudetto tante messe lette capienti acio che si ritrarrà in suffragio dell’anima mia e di quella del fù Antonio Leone mio marito a grana venti l’una con l’obbligo di dirle sempre nell’altare del Cuore di Gesù e Maria ch’esiste dentro di questa chiesa madre; e perché è mia volontà che questo legato sia perpetuo, così obbligo il clero succitato ad iscriverlo nella tabella degli obblighi perpetui.
– 5° Do e lascio al sacerdote Don Serafino Fantaccione Ducati Dieci contanti, coll’obbligo di celebrare tante messe lette a grana venti l’una in suffragio dell’anima mia.
– 6° Do e lascio a Francesca Montellanico mia germana, in combenso [sic] dell’assistenza la casa terranea che esiste al di sotto della gradinata di questa mia abitazione, nonché il letto come si ritrova, consistente in scanni, lettiera … materasso, due lenzuoli, e coverta di lana.
– 7° Do e lascio a titolo di legato particolare ad Angelo Montellatico mio fratello ducati sei, ad Innocenzo Montellatico, altro mio fratello ducati quattro, a Rosa Catenaccio fù Pasquale mia nipote ducati dieci ed a Stella Tedeschi fù Costantino altra mia nipote ducati quattro.
– 8° Per l’esecuzione di questa mia volontà lascio e nomino esecutore testamentario Don Benedetto Materiale pregandolo anche di accettare questo incarico, ed a soddisfare tutti gli legati predetti a misura che ritirerà il denaro, e che venderà queste due case, se dopo soddisfatti tutti gli legati predetti vi avanzerà denaro, voglio debba spendersi al funerale, e celebrazioni di tante messe lette alla ragione, come sopra, di grana venti l’una.
– 9° Dichiaro io suddetta di non sapere scrivere.
– 10° Rivoco e annullo qualunqualtra disposizione o testamento avessi potuto fare prima di questo, e voglio che il seguente solamente debba eseguirsi perché conforme alla mia volontà».
La «parte disponente» era dunque Donata Montellanico, contadina domiciliata a Palazzolo, senza prole, vedova di Antonio Leone, figlia del fu Domenico, con due fratelli, Angelo e Innocenzo, una sorella, Francesca, e due nipoti, Rosa Catenaccio e Stella Tedeschi. Il testamento fu rogato dal notaio Saverio Ricci nella casa della testatrice a partire dalle ore 11 e alla presenza di quattro testimoni (Don Evangelista Pelagalli fu Don Pasquale, proprietario, Francesco Testa figlio di Biagio, cordaro, Giuseppe Coarelli fu Domenicantonio, benestante, e Luciano Di Rollo fu Vittorio, contadino).
Dopo un attento esame del testamento viene facile immaginare il “notaro” Saverio Ricci2, che il primo luglio 1849 da Colle San Magno si reca a Palazzolo, a cavallo o a dorso di un mulo, seguendo l’unica via possibile, quella della mulattiera «Gliu Muriglie», che sbocca proprio di fronte alla strada «L’Olivastro» dove si trova la casa della signora Donata Montellanico giacente a letto che l’aspetta per la stesura dell’atto.
È davvero interessante soffermarsi sugli argomenti trattati in questo testamento i quali esulano completamente da quelli che ci si può aspettare, nella nostra epoca, da un simile documento notarile.
Colpisce prima di tutto la grande importanza data dalla testatrice, come cristiana, al futuro della sua anima. Era una donna del popolo, umile, analfabeta e devota alla Chiesa cattolica la quale era soprattutto interessata a convincere i poveri che le loro sofferenze terrestri sarebbero ricompensate da una vita eterna e felice nel Paradiso di Dio. Analizzando brevemente il testo si possono mettere in evidenza gli articoli relativi alla fede che sono i più numerosi e i più importanti stilati dal notaio, ben quattro (artt. 1, 4, 5, 8), mentre due riguardano i beni materiali donati agli eredi (artt. 6 e 7) e invece gli altri cinque sono disposizioni di carattere generale. La chiesa madre citata nell’art. 4 del testamento è la chiesa di Santa Maria Assunta in cielo o della Madonna di Castrocielo sull’Asprano. Inoltre nel testamento sono citati i cognomi più comuni di Castrocielo e dintorni: Coarelli, Di Rollo, Fantaccione, Materiale, Pelagalli, Ricci, Tedeschi, Testa mentre quello di Montellanico è oramai quasi estinto.
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«L’OLIVASTRO», «STRADA L’OLIVASTRO» e «GLIU’ MORRONE»
La parola “Olivastro” potrebbe essere la denominazione di un certo tipo di ulivo, oppure potrebbe fare riferimento a un campo di ulivi spontanei. Tuttavia l’ipotesi è fuorviante perché non esiste, a mio parere, nessun cultivar dell’ulivo che abbia questo nome. Il Dizionario Zingarelli precisa che la voce «Olivastro» (con i sinonimi ilatro, lillatro, olivastrella) è una «pianta delle oleacee, un arbusto o arboscello sempre verde della macchia con parecchie varietà a foglie più o meno larghe (philatre avariabilis)». Da ciò se ne potrebbe dedurre che i primi abitanti de «l’Olivastro», originari della medievale universitas Castrum Coeli sul monte Asprano, costruirono le loro case in una “macchia di olivastri” e vollero ricordarlo dando questo nome all’abitato.
La Strada «l’Olivastro», che è la via principale della frazione, è una denominazione toponomastica antica tramandata oralmente e ricordata dagli anziani del posto fino alla guerra. Poi si è andata perdendo. Infatti negli ultimi decenni dell’Ottocento il suo nome era stato sostituito da un nuovo nome, «Via Indipendenza», per ricordare le guerre risorgimentali che avevano consentito l’indipendenza italiana da altre nazioni straniere. Non solo il nome della Strada «l’Olivastro» fu cancellato ma anche quelli di altri vicoli del centro storico furono sostituiti, anche se oggigiorno sono dimenticati, con nomi della dinastia sabauda o degli eroi della Prima guerra mondiale. Allora furono inseriti nella toponomastica cittadina Via Vittorio (il principe, poi divenuta Via Vittorio Veneto con l’armistizio del 4 novembre 1918), Via Margherita (la regina), Piazza Umberto I (il re), Via Roma (capitale d’Italia), Via Cesare Battisti (martire di Belfiore) con una prassi tipica dei vincitori già attuata nell’antico Egitto, dai Romani ecc.
L’accesso dal monte alla frazione «l’Olivastro» avveniva tramite la strada «Gliù Muriglie» mentre la parte più bassa veniva indicata come «Gliù Marrone», una parola dialettale il cui significato è quello di uno strapiombo sotto una spianata dalla quale si può godere una bella vista. Nel corso dei secoli il toponimo «Gliù Marrone» è stato sostituito da Via degli Aranci. La strada è ben esposta al sole e si potrebbe pensare che il suo nome sia stato dedotto dalla presenza di alcuni agrumeti. La Via degli Aranci soddisfa pienamente questa definizione in quanto si presenta come un lungo terrazzo con quattro case da un lato e uno strapiombo di diversi metri su quello opposto dal quale si gode un bellissimo panorama della Valle del Liri. Sotto questo strapiombo si coltiva negli orti delle case costruite lungo la spianata. In ordine di successione erano quelle D’Adamo-Catalano, Notargiacomo, Delli Colli-Montellanico e Pistilli, tutte andate totalmente distrutte nel corso della guerra ad eccezione della prima.
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«LA MADONNA DEI SETTE COLORI»
La località de «L’Olivastro» è riportata nell’Atlante geografico del Regno di Napoli di G.A. Rizzi Zannoni del 1808 che cita anche le seguenti zone ubicate nel territorio di Castrocielo: Cantalupo, Colle, Le Grazie, Castro Coeli, Fossato, Il Campo, Il Monacato, Palazzuolo, M. S. Silvestro, La Forma, Capo d’Acqua e la chiesa di S. M[aria] del Pianto titolo senz’altro suggerito dall’espressione sofferta della Madonna vicina al figlio Gesù nell’affresco della Crocefissione dipinto dietro l’altare, presumibilmente nel Trecento. Oggi però la chiesetta di Capo d’Acqua è conosciuta come quella della «Madonna dei Sette Dolori», altro titolo già riferito da Pasquale Cayro nella sua Storia sacra e profana d’Aquino e sua diocesi. Nel libro secondo del 1811 è scritto alla pag. 63: «San Nicola de Flumicello di Castro Cielo indi San Nicola de capite aquarumposit in territorio Palatiolo … ed ora si nomina la Madonna de’ Sette Dolori». L’ultima frase conferma che la chiesetta era già conosciuta nel 1811 come quella della Madonna dei Sette Dolori e prima ancora sotto il nome di San Nicola. Cosicché si hanno tre denominazioni successive per la stessa chiesa: San Nicola, S. M. del Pianto e Madonna dei Sette Dolori3. L’inesauribile fantasia popolare si è sfogata nell’enumerare sette dolori della Madonna per le sofferenze corporali subite dal figlio Gesù prima di morire in croce: la flagellazione, la corona di spine, i chiodi nelle mani, nei piedi e la lancia nel costato.
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BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO
Bernardo Bertani, Castrocielo sparito, Grafiche Reggiori, Cittiglio (Va) 2000
Bernardo Bertani, Notizie storiche su Castrocielo, Biblioteca del Lazio meridionale, n. 2, Montecassino 2000
Luigi Gizzi, Le Odissee nelle ombre del conflitto, Tip. Arte Stampa, Roccasecca 2002
Antonio Martini, Il mite arciprete Don Gaetano De Paola e la liberazione dei Polacchi, Universitas Pedismontis Vetera et Nova, Piedimonte San Germano 2019
Pietro Montellanico et al., Il Millennio di Castrocielo, Grafiche Reggiori, Cittiglio (Va) 1998
Pietro Montellanico, L’antica casa di pietra di nonna Anna Maria Delli Colli a “Gliù Marrone”, quaderno n. 21, 2015
Pietro Montellanico, Il palazzo di Gnora Giustina in via L’Olivastro, quaderno n. 41, 2016
Giovanni Antonio Rizzi Zannoni, Atlante geografico del Regno di Napoli, 1808
Pasquale Cayro, Storia sacra e profana d’Aquino e sua diocesi, Vincenzo Orsini, Napoli 1811
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NOTE
1 Il “supporto” è una parola dialettale che sta a indicare un’arcata in muratura sovrastante un vicolo per unire due case su lati opposti. In via de L’Olivastro ce n’era uno anche nella casa della nonna di Bernardo Bertani, mentre un altro è presente nel centro storico di Castrocielo.
2 Il loculo in cui fu seppellito il notaio Ricci è ubicato nella Chiesa della Madonna di Castrocielo sul monte Aprano. Sulla lapide appare questa scritta: «L’eterne danze degli immortali / lascia un momento / o padre / e vieni a rileggere il tuo testamento / onestà ed integrità / di notaio di cancelliere di sindaco / ed il raro amor paterno / ed accetta i fiori / che riverente depone / sopra il tuo sacro e venerato avello / A SAVERIO NOTAR RICCI / / nato il 22 febbraio 1792 / morto il 13 settembre 1881 / la sua amata figlia / Letizia Ricci Q[uesta] M[emoria] P[ose]» (trascrizione di Mario Santopietro, 13.10.2013).
3 Già a metà del Seicento è attestata a Roma la presenza di una chiesa dedicata alla Madonna dei Sette Dolori progettata da Francesco Borromini e ubicata poco oltre ponte Sisto.
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