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«Studi Cassinati», anno 2020, n. 1-2
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di Vincenzo Ruggero Perrino
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Nei numeri 2 e 4 del 2017 di questa Rivista veniva pubblicato un Profilo storico dello spettacolo e del teatro nel Lazio Meridionale, nel quale, partendo dall’antichità romana e giungendo alla prima metà del Novecento, si tracciava un rapido quadro delle esperienze sceniche, drammaturgiche e più in generale legate al multiforme mondo dello spettacolo, relative al territorio identificabile con l’attuale provincia di Frosinone. Questa “addenda”, che parimenti procederà in senso storico-cronologico, vuol da un lato dar conto delle ulteriori ricerche nel frattempo condotte, e d’altro lato emendare le sviste e gli errori storiografici contenuti nel saggio precedente. Per quel che concerne l’epoca romana bisogna riferire dell’esistenza di altri teatri e/o anfiteatri. In particolare, recenti campagne di scavi archeologici in contrada Termine di Pignataro Interamna hanno restituito importanti resti dell’antica colonia romana di Interamna Lirenas, che intorno al I sec. a.C. divenne municipium (così che i suoi cittadini divennero a tutti gli effetti cives romani). In quel periodo la cittadina dovette conoscere un periodo di particolare floridezza, il che è confermato dallo scavo del teatro, databile appunto al I sec. a.C. Si trattava con ogni evidenza di un teatro coperto (theatrum tectum), una tipologia architettonica abbastanza ricercata e meno diffusa di quella a cielo aperto (ben attestata, invece, nelle vicine città di Aquinum e Casinum). Diversamente da quel che si può essere indotti a credere, quel che è stato portato alla luce dagli scavi è quello che effettivamente gli antichi romani hanno lasciato, dal momento che, di pari passo con la perdita di importanza strategica della colonia, avevano proceduto ad una graduale demolizione del teatro, probabilmente per riutilizzarne i materiali per altre costruzioni.
L’edificio era circondato su tre lati da un ampio corridoio (anch’esso coperto), a cui si accedeva dall’esterno attraverso undici ingressi di diversa ampiezza, dotati di porte (come attestano gli alloggiamenti dei cardini ricavati nelle soglie di pietra). Sul lato dirimpetto la scena, incastonato tra i posti a sedere, vi era invece un locale che presumibilmente era adibito ad ufficio. Il corridoio era il porticus post scaenam, che serviva ad accogliere gli spettatori in caso di pioggia o durante gli intervalli: dunque non solo un luogo di passaggio, ma anche un elegante spazio a guisa di “foyer ante litteram”. Dal corridoio si accedeva sia alla platea che alla scaena, per mezzo di due aditus maximi, cioè due ingressi pavimentati, simili alle parodoi del teatro greco.
È lecito credere che il palcoscenico fosse decorato con raffinati marmi, dei quali in effetti sono stati rinvenuti numerosi frammenti. Probabilmente il committente dell’edificio fu un facoltoso liberto di nome Anoptes, stando al frammento di un’iscrizione a grandi lettere rinvenuta all’interno del teatro1.
Altre ricerche archeologiche, meno recenti, hanno interessato l’area della Civita, presso S. Giovanni Incarico, laddove si verifica la confluenza del Liri con il Sacco, sito nel quale è localizzata con buona sicurezza la colonia di Fabrateria Nova2. Le indagini archeologiche, condotte dalla seconda metà degli anni Settanta permisero la localizzazione sia degli assi viarii, sia degli edifici che vi insistevano3. Successivamente gli scavi hanno restituito l’intero perimetro dell’anfiteatro (in verità di dimensioni piuttosto esigue e del quale è disagevole individuarne la datazione, stante pure che sono presenti evidenti interventi edilizi successivi), composto di due anelli concentrici (sui quali insisteva la cavea), con due ingressi principali. Il muro esterno poggia su un alto zoccolo d’opera a sacco. Vicino ad uno degli ingressi principali è stato individuato un accesso di servizio che, correndo sotto la soprastante cavea, conduceva direttamente nell’arena, la quota della quale è documentata dalla soglia posta al termine del camminamento. È improbabile, tuttavia, che le fasi originarie dell’edificazione dell’anfiteatro vadano fatte risalire all’epoca della fondazione di Fabrateria Nova; più verosimile una datazione più recente, a cavallo tra la fine del I sec. a.C. e l’inizio del I d.C.
Per quel che riguarda Atina, le cronache storiche – a partire dal Breve Chronicon Atinensis Ecclesiae ritrovato nel Seicento nell’archivio dell’abbazia di Fossanova – parlano di un anfiteatro. Sappiamo che nell’aprile del 63 d.C., innanzi al tribunale cittadino riunito nell’anfiteatro della città, il governatore della Campania, Massimo, decretò la condanna a morte del vescovo Marco. Poiché la Cronaca ci dice anche che il vescovo venne condotto fuori dalla città per subire il martirio, è lecito ritenere che l’edificio si trovasse all’interno della città. Gli storici delle epoche successive, pur ammettendo di ignorare con esattezza il punto di ubicazione dell’anfiteatro atinate, hanno proposte varie ipotesi4. La più verosimile è quella che, anche sulla scorta di fortuiti ritrovamenti, vorrebbe l’anfiteatro ubicato nei pressi del cimitero vecchio5.
Sotto Nerone cominciarono a comparire mimi dilettanti che, scavalcando la rigida e storica separazione fra la gente di teatro e gli uomini liberi, recitarono accanto ai professionisti. Fra costoro incontriamo Fabio Valente di Anagni, personaggio di famiglia equestre (e ricordato come condottiero militare), il quale dapprima recitò velut ex necessitate durante gli Iuvenalia, i giochi istituiti da Nerone, ma poi continuò ad actitare mimos, sponte, per scelta e volontariamente, e per giunta, a detta di Tacito, scite magis quam probe. Gli furono colleghi un Damasippo, un Lentulo e qualcuno delle gentes dei Fabii e dei Mamerchi, ricordati da Giovenale, quali esempi scandalosi della decadenza del patriziato romano6.
Dalla larga diffusione del canto del preconio pasquale, più noto come Exultet, non poteva essere estranea all’abbazia di Montecassino. Infatti, a partire dall’XI sec., è possibile riconoscere un’impronta originale dell’abbazia nel più ampio contesto della Riforma in Italia meridionale: l’imposizione della liturgia di tradizione romana contro quella ambrosiana in uso nell’area beneventana. Direttamente connessa a questo episodio fu la redazione di libri liturgici rigorosamente emendati all’uso romano e l’origine di una nuova recensione illustrata del ciclo dell’Exultet, nel cui processo di formazione è possibile distinguere la dimensione figurativa che le scelte culturali cassinesi avrebbero avuto nel trentennio in cui l’abbazia fu diretta da Desiderio. Numerosi rotoli prodotti a Montecassino nella seconda metà dell’XI sec. – e tra questi il frammento di Exultet Vat. Barb. lat. 592 e anche uno ritrovato ad Avezzano poco meno di cent’anni orsono – offrono un ottimo strumento per decifrare l’insieme delle suggestioni che confluirono nel ciclo “riformato” dell’Exultet e analizzare le linee del contributo cassinese alla Riforma Gregoriana7.
Sotto la navata sinistra della cattedrale di Anagni si trova l’oratorio di S. Tommaso Becket, sulle cui pareti sono raffigurate scene del martirio del santo e storie della Genesi e dell’Infanzia di Cristo, oltre al Giudizio universale, databile tra il 1173 e non oltre il primo quarto del XIII secolo. Nella raffigurazione del giudizio, tra le varie figure, si possono riconoscere in basso le vergini stolte, svestite e afferrate ai polsi da diavoli, capitanati da un Satana che reca un cartiglio sul quale si legge «quid petitis fatve vos»; l’arcangelo Michele con la bilancia; l’arcangelo Gabriele e altri angeli; sull’altra parete del giudizio universale sono invece presenti le cinque vergini sagge, recanti in mano dei calici pieni di olio, accompagnate dalle personificazioni dell’Umiltà e della Superbia. Tra le vergini sagge compaiono S. Lucia, S. Agata e S. Margherita8. Il caso di un’associazione del tema delle dieci vergini al giudizio universale è raro ma non unico, considerato che vi sono esempi analoghi in Francia e Spagna. La fonte comune di queste raffigurazioni va più correttamente individuata nella diffusione del dramma liturgico chiamato Sponsus9: i drammi liturgici, inizialmente pensati per assicurare agli episodi religiosi un’evidenza rappresentativa, fecero da fonte di ispirazione per l’arte medievale, ed è quindi verosimile ritenere che l’autore di quell’affresco avesse visto una rappresentazione del dramma liturgico in questione. Nello Sponsus (il cui unico manoscritto risale alla fine dell’XI sec.), che ebbe una straordinaria diffusione in tutta Europa (come del resto è evidente dalla raffigurazione anagnina e da quelle similari francesi e spagnole), la parabola evangelica viene sviluppata in forma dialogata con versi in latino e in volgare, e si apre con l’avvertimento dell’arcangelo Gabriele alle dieci vergini di non dormire e si chiude con l’abbandono delle vergini stolte al loro triste destino. Secondo la Moretti «nel Giudizio dell’oratorio è molto probabile che la rappresentazione delle vergini stolte traduca in immagine tali strofe».
Sempre in epoca medievale, dobbiamo qui brevemente riferire della posizione ideologica di S. Tommaso d’Aquino sui giullari. Costoro erano stati particolarmente avversati sia dai Padri della Chiesa, sia dalle gerarchie ecclesiastiche per tutto il corso del Medioevo. Tuttavia, con la diffusione della predicazione domenicana e francescana, che sostanzialmente utilizzava tecniche oratorie e affabulatorie molto simili a quelle giullaresche, si verificò una progressiva accettazione dei professionisti dello spettacolo, nel caso dei domenicani sottolineando le differenze, nel caso dei francescani creando una sovrapposizione.
La novità della posizione di S. Tommaso consiste nell’ammettere a livello teorico l’esistenza dell’istrione. Superando la posizione domenicana e francescana, Tommaso ripercorre il tortuoso cammino delle accuse contro i giullari, riformulandole e svuotandole dall’interno; ne riconosce la professionalità (si «fa» l’istrione, non si «è» istrione – Summa Theologiae 2, 2 q. 168, a. 3,3). Si crea così uno iato tra la turpitudine dell’attività e l’umanità del personaggio, incontro alle cui necessità non si può chiudere gli occhi. La teoria del bisogno trasforma il peccato in mestiere e fonda la legittimità del guadagno: non più elemosina o dono, ma lucro. L’istrione può finalmente essere considerato per quello che realmente è, una persona che ha risolto il problema della sussistenza esercitando un’attività estremamente pericolosa per lo spirito suo e altrui. Tuttavia, per trovare giustificazione, l’attività del giullare deve trovare il giusto mezzo tra il piacere e il bisogno. La delectatio diventa una virtù, se viene depurata dai suoi aspetti lascivi e deteriori, e così il giullare può rivestire un ruolo sociale, con precise norme a cui attenersi, e giungere legittimamente a tutti i fedeli.
Nel 1841 il bolognese Giovanni Giordani pubblica una inedita Lettera di Ugo Buoncompagni nella quale vengono descritte le feste per l’incoronazione in Bologna di Carlo V ad imperatore nel 1530. La descrizione, invero non lunghissima, fornisce un ragguaglio non soltanto della cerimonia vera e propria presieduta dal papa Clemente VII, ma anche dei festeggiamenti a corte ai quali convenne la nobiltà di tutta Europa, con sfoggio di grande opulenza e sfarzo. La cerimonia, così rigidamente codificata e dalle forme altamente simboliche e l’apparato grandioso della festa hanno una sicura valenza spettacolare.
Ugo Buoncompagni, che era nato a Bologna nel 1502, fu creato pontefice nel 1572 con il nome di Gregorio XIII. E al suo pontificato va legato anche un altro episodio, che ha per protagonista Isabella Andreini. Costei fu una celeberrima attrice teatrale, moglie dell’altrettanto famoso Francesco Andreini, insieme al quale recitò nella compagnia teatrale bolognese dei «Comici Gelosi», nella quale imparò la pratica della Commedia dell’Arte dall’attore Orazio Nobili, giungendo, al pari di tutta la compagnia, ad un’elevatissima professionalità, tanto da poter recitare davanti alle corti di mezza Europa. Avvenente e bella, fu lodata e osannata dal Tasso, da Giambattista Marino (che le dedicò alcuni sonetti), e da Gabriello Chiabrera (che la definì «saggia tra ‘l suon, saggia tra i canti»). La Andreini non fu soltanto attrice, ma anche scrittrice. Di lei infatti si ricordano una giovanile favola pastorale, La Mirtilla, scritta ad imitazione dell’Aminta di Tasso, lettere e frammenti vari, e soprattutto un gran numero di rime, che pubblicò a più riprese agli inizi del Seicento. Il 12 settembre 1579, mentre la compagnia è impegnata in una serie di rappresentazioni tra Ferrara, Milano e la corte d’Austria, il pontefice Gregorio XIII acquista il ducato di Sora e le relative dipendenze per 100.000 scudi d’oro da Francesco Maria della Rovere e lo diede in donazione al figlio naturale Giacomo Buoncompagni (1548-1612). Giacomo ottenne l’investitura il 23 dicembre del suddetto anno da Filippo II ed è proprio dopo l’investitura che Isabella Andreini scrisse per lui un sonetto (il LXVIII). La stessa ne dedicò uno anche alla sua consorte, la duchessa Costanza Sforza Buoncompagni (1550-1617) (il LXIX) che, impegnata nella promozione delle arti e della cultura, nel 1614 istituì uno dei primi collegi dei gesuiti nell’attuale zona del frusinate10.
In occasione del Carnevale del 1668, ad Anagni, presso la casa dei signori Iannuzzi, viene rappresentata l’operetta scenica di Stefano Serangeli di Montefortino (antico nome della città di Artena) L’ingannatori ingannati, una piacevole commedia, che venne poi pubblicata in Roma. Il Serangeli, che fu autore di altre commedie e opere sceniche date alle stampe tra la fine del Seicento e il primo quindicennio del secolo seguente, ambientò il suo lavoro proprio «in una casetta di Campagna vicino ad Anagni». Nella sua opera Teatro degli uomini illustri (1721), Antonio Ricchi da Cori lo descrive come «ottimo Oratore, e Poeta, che in varie contingenze a dato pascolo erudito a Letterati, specialmente con scenici Componimenti, i quali si rappresentano ne Teatri di Roma, e in ogni parte della nostra Italia»11.
In un poderoso volume di piante urbanistiche, conservato presso la Giovardiana di Veroli, è stato possibile rintracciare la pianta del Palazzo di Città – quello presso il quale sono ancora allocati in parte gli uffici municipali, ancorché il palazzo sia in parte occupato da private abitazioni – dove aveva sede il Teatro del Magistrato, che era stata la sede di alcune rappresentazioni agli inizi del Settecento (tra cui quelle patrocinate da Francesco Giovardi, di cui abbiamo già riferito). La pianta è opera dell’arch. Domenico Schiera, attivo nel XVIII sec. nella cittadina ernica, e autore anche del progetto della cappella Nocchiaroli nella cattedrale verolana.
Per quel che concerne Alatri, com’è noto, grande venerazione la città riserva al santo patrono papa Sisto I. Le celebrazioni liturgiche (e civili) per S. Sisto sono sempre partecipate da un gran numero di fedeli, segno del sincero affetto e devozione che lega gli alatresi al loro patrono. Anche letterari ed artisti si sono spesso cimentati con le vicende storiche (e leggendarie) relative al santo12. Tuttavia, l’opera dell’ingegno più particolare che abbiamo ritrovato risale al 1772. Sul frontespizio viene annunciato che si tratta di un «Componimento sagro a trè voci dedicato al merito sempre grande dell’Illustrissimo e Reverendissimo Sig. Monsignore Nicola Gagliardi», vescovo alatrino dell’epoca. Siamo dunque in presenza di una piccola opera lirica, che stando sempre a quanto riportato sul frontespizio, venne eseguita «celebrandosi nella città di Alatri la festa in onore di S. Sisto primo, papa e martire». Purtroppo, l’opuscolo non ci dice né dove l’opera fu rappresentata (ma è verosimile supporre che la messinscena avvenne nella cattedrale), né chi ne furono gli interpreti. Sicuramente sappiamo che: patrocinatore dell’opera fu Ignazio Brocchitti, sopra contestabile della Carcìa de’ Spidini; autore dei versi cantati fu il sig. Ignazio Eratazzi; autore della musica il sig. Antonio de’ Romanis; l’argomento dell’opera si ispira alle leggende inerenti il viaggio delle spoglie mortali del Santo ad Alatri13.
Ancora per quel che riguarda il Settecento, dobbiamo segnalare due occasioni di recital poetici. La prima è relativa alla monacazione della signorina Caterina Ferrari da Ceprano, che, nel 1718, entrò nel venerabile monastero di S. Maria della Ripa di Pontecorvo. La stessa novizia scrisse i versi di un sonetto, che volle dedicare al vescovo Giuseppe de Carolis, e che dopo la declamazione durante la cerimonia di monacazione, venne pubblicato in un opuscolo a Roma. La seconda riguarda invece la salita al soglio pontificio di Benedetto XIV (1740), occasione per la quale il signor Girolamo Coccoli, cittadino di Arpino, volle dedicare al nuovo papa un sonetto (che verosimilmente venne declamato in qualche pubblica occasione nella città di Cicerone).
Il “popolare” che aveva costituito la fonte più ricca del teatro ottocentesco, attraverso le espressioni del folclore, della magia e dell’alterità, è il fulcro intorno al quale ruota un bel libro di Cesare Pascarella, Viaggio in Ciociaria, nel quale, raccontando appunto di un viaggio intrapreso nella provincia frusinate, mette in risalto anche la ricchezza di tradizioni popolari (tra le quali, grande fascino dovette avere sull’autore il Pianto delle zitelle di Vallepietra)14.
Ricerche condotte da studiosi e storici locali hanno fatto conoscere una ricchissima messe di tradizioni popolari, delle quali forniamo dei rapidi ragguagli rinviando alla bibliografia in note. Legata ad un’antichissima ritualità pagana è la festa di primavera di Pastena, che trova il suo culmine nei festeggiamenti del 5 maggio, ma che è preparata da una serie di riti nei mesi precedenti in concomitanza con il risveglio della natura15. A Vallecorsa, ancora oggi, si celebra “la festa” in onore del santo patrono Michele Arcangelo, che affonda le sue radici in un provvedimento del principe Colonna del 1542: otto giorni di festeggiamenti, accompagnati da attività ludiche, con corse equestri e «giuochi olimpici»16.
Antichissima è anche la tradizione dei festeggiamenti in onore di San Martino ad Anagni, oggi decisamente ridimensionati, ma che in passato erano fortemente partecipate dal popolo. Tuttavia si trattava di una cerimonia, riservata ai soli maschi adulti, che insieme con gli artigiani locali (famosi per burle e scherzi e per gli abbondanti banchetti), alla quale le donne non potevano assolutamente prendere parte17.
Legata ad un intervento miracoloso in occasione di una pestilenza nel 1837, è la festa in onore dell’Assunta a Cassino, preceduta da un triduo preparatorio e scandita in una “peregrinazione” di più giorni per la città martire18. Particolarmente diffuso in tutti i centri della Ciociaria è il culto di Sant’Antonio Abate, nel cui nome sono radicate moltissime tradizioni folcloriche (a parte la rituale benedizione degli animali), come la «panicella» di Supino, o la recita cantata della «Razione» (un’orazione composta di quartine a rima baciata) a San Donato Val Comino19.
Del pari, la tradizionale venerazione per S. Biagio a Veroli – ma anche in altri centri come Frosinone, Ceprano, Vico nel Lazio, Fiuggi, Giuliano di Roma, S. Biagio Saracinisco, S. Ambrogio sul Garigliano – è antichissima, con elementi mutuati da tradizioni precristiane. Di grande suggestione spettacolare è l’elemento del fuoco nei festeggiamenti rituali. A Veroli, oltre alla più usuale benedizione della gola (a memoria di una miracolosa guarigione operata dal Santo), è d’uso la benedizione dei cosiddetti «cellitti di San Biagio», biscotti la cui forma allude a due uccelli tenuti insieme per la coda, che rimandano alla coppia di tortore offerte da Giuseppe in occasione della presentazione di Gesù al Tempio20.
Ma non ci sono soltanto tradizioni di carattere religioso. Per esempio a Ceccano di grande presa popolare era l’attività dei cosiddetti neforari, per lo più provenienti da Venafro, che giravano il paese in occasione dell’Ascensione, facendo da “gazzette viventi” e raccontando fatti, più o meno piccanti, che avevano per protagonisti gli stessi paesani21. Così come a Sora e a Picinisco sono numerosi i documenti che riguardano esibitori di piazza, ciarlatani, mostratori di animali ammaestrati (e tra questi gli «ursanti», cioè gli esibitori di orsi), il cui mestiere si tramandava di padre in figlio, e che spesso si esibivano congiuntamente ad altri professionisti dello spettacolo di strada, cioè gli zampognari e i suonatori di pifferi (specie nel periodo natalizio)22. Ed in generale, accanto alla lista di festeggiamenti legati alla devozione religiosa, la Ciociaria offre un ricco catalogo di festeggiamenti civili, nei quali frequenti erano la presenza di musicisti, balli, fuochi, riti alimentari, che prevedevano una marcata presenza popolare. Spesso poteva accadere, fin dal Settecento, che i festeggiamenti religiosi e quelli civili fossero sovrapposti, come accadde a Guarcino nel 1842 quando si festeggiò S. Agnello con banda, cantanti, orchestra e tamburi23. In ogni caso, le tradizioni folcloriche e popolari estendono la loro influenza fin dentro il Novecento, fornendo materiale di grande fascino anche a scrittori e poeti24.
In ambito scolastico, durante l’ultima parte dell’Ottocento, era d’uso, specie nelle istituzioni religiose, organizzare una particolare forma di “trattenimento”, costituita dalle premiazioni degli alunni. È verosimile ritenere che a questa forma di cerimonia, non a caso definita “solenne”, prendessero parte non soltanto gli studenti, ma anche le loro famiglie, andando in tal modo a determinare una forma paraspettacolare del tutto peculiare. Ne resta traccia in alcuni libretti, che venivano pubblicati con i programmi delle manifestazioni, i nominativi degli studenti premiati nelle varie materie di studio, e l’ordine di ritiro dei premi stessi.
A esempio, per Alatri abbiamo gli opuscoli Solemnis praemiorum distributio apud Seminarium Aletrinum relativi agli anni 1877, 1892 e 1899; per Ferentino, invece, ci sono diversi Solemnis praemiorum distributio apud Seminarium Ferentinum: per il 1885, 1890, 1892, 1893, 1895, 1896 e 1897. Un’analoga pubblicazione, più antica rispetto a quelle delle due cittadine erniche, si rintraccia per il collegio dei gesuiti di Arpino, dal titolo Solemnis praemiorum distributio in conlegio Arpinate Societatis Iesu, risalente addirittura al 1852 (che quindi si aggiunge a quella già segnalata per l’anno 1857). Infine, anche per il Ginnasio comunale di Frosinone abbiamo una Solenne distribuzione de’ premi datata al settembre del 1863.
D’altronde la vita dei collegiali prevedeva anche l’esercizio della scena, soprattutto durante le festività carnevalesche, momento dell’anno in cui, fin dal Medioevo, agli studenti veniva in qualche misura concesso di derogare alle severe regole disciplinari ed educative, e quindi di dedicarsi alla recitazione (che ovviamente, il più delle volte, aveva ad oggetto temi e argomenti sacri). Ne fornisce un esempio anche il Collegio dei gesuiti di Boville Ernica. Infatti, nel Diario del venerabile convitto di Bauco25, che è relativo agli anni 1871 e 1872, oltre ad un resoconto dei festeggiamenti in onore di S. Luigi Gonzaga nel giugno del 1872 (durante i quali ci furono anche intrattenimenti musicali con l’intervento del civico concerto di Veroli), alla descrizione degli uffici liturgici e processionali (di grande valenza spettacolare) per le varie ricorrenze del calendario e alle informazioni su gite presso altri conventi di zona, ci viene data notizia che il 13 febbraio del 1872 – che era il giorno di Carnevale – alcuni convittori, dopo la celebrazione della messa, «diedero spettacolo con i burattini; concorsero molti del paese». Il che conferma che ancora nella seconda metà dell’Ottocento era in voga che gli studenti dessero spettacoli teatrali in occasione del martedì grasso.
Altre manifestazioni pubbliche, di valenza spettacolare altrettanto articolata, sono rintracciabili in altre pubblicazioni, nelle quali è rimasta traccia delle visite pastorali (e dei festeggiamenti ad esse connessi) che alcuni pontefici hanno fatto nel corso dell’Ottocento in quella che all’epoca era la provincia di Marittima e Campagna.
Gregorio XVI, nei primi giorni del maggio del 1843, percorse una parte del Lazio e degli antichi Ernici, visitando (tra le altre) le città di Anagni, Ferentino, Frosinone e Alatri, città nelle quali gli furono tributati solennissimi festeggiamenti, con la partecipazione di cittadini e autorità, letterati, musicisti e folklore26.
Altrettanto magnificenti dovettero essere le cerimonie per la visita al capoluogo ciociaro di Pio IX nel 1863, della quale abbiamo testimonianze ancor più marcatamente spettacolari. Infatti, oltre al consueto apparato folklorico e liturgico, ci resta traccia di manifestazioni poetiche e musicali in tre opuscoli: la raccolta di poesie ed epigrafi Alla santità di N.S. papa Pio IX nella faustissima venuta in Frosinone (Roma 1863), Iscrizioni e poesie alla santità di nostro signore papa Pio IX (Roma 1863), e lo spartito e i versi di un inno composto da Paolo Carletti e verseggiato da Giuseppe Tancredi, cantato innanzi al pontefice nella medesima occasione27.
Le attività di spettacolo propriamente inteso sono riferibili a Frosinone lungo tutto l’arco dell’Ottocento a più luoghi, pubblici e privati. Tra il 1845 ed il 1863 sono menzionati: il locale ad uso di teatro sopra le scuderie della Gendarmeria in Piazza dei Macelli, un «teatro Diurno dalla rampa di strada posta sotto il palazzo apostolico» con palchi temporanei, ed il locale destinato a rappresentazioni nel Palazzo Comunale di Frosinone. Ci si poteva esibire anche in case private purché la sala fosse prima visionata dall’autorità, come nel caso di un gruppo di giovani che chiedono di potersi riunire in casa di Pietro Ricciotti per esercitarsi in «declamazioni ed operette drammatiche morali»28.
Riguardo al capoluogo, ricerche archivistiche hanno rilevato che il più antico tentativo di apertura di un teatro d’uso pubblico risale al 1802, quando Luigi Pesce e Giacinto Scifelli richiedono la concessione degli ultimi due piani di un casamento situato in contrada Il Borgo per realizzarvi un teatro. Dal 1845 e almeno fino al 1863 è registrato l’uso del teatro di proprietà di Benedetto De Sanctis, che è la struttura in cui l’amministrazione appalta le stagioni di spettacolo per il Carnevale, e presso la quale si esibiscono anche gli studenti belle lettere delle pubbliche scuole di Frosinone. Ancora: nel 1873, il Consiglio di Frosinone autorizza il sindaco a stipulare un contratto d’affitto di lire 1000 annue per tre anni, per l’uso della struttura teatrale di proprietà del costruttore Berardi, cercando in tal modo di superare l’impasse derivante dal non disporre ancora di una struttura teatrale nonostante la città sia divenuta capoluogo di circondario.
In questi luoghi frusinati la proposta spettacolare comprendeva prevalentemente opere di genere comico e danzante, ma anche drammatico e di pantomima brillante; musica seria e buffa, rappresentazioni con marionette e ombre cinesi, ma anche spettacoli di acrobati e di prestigio o con animali ammaestrati. Inoltre, la comunità cittadina dedica attenzione particolare all’insegnamento della musica, con la presenza di un maestro di cappella, e grande considerazione è riservata al civico concerto.
Sempre relativamente a Frosinone, nel contributo precedente avevamo dato notizia di Francesco Paolo Fraccacreta. Rettificando le informazioni già fornite, precisiamo che questi era originario della città di Troia, in provincia di Foggia a metà dell’Ottocento. Cultore di lettere e poesia, si trasferì a Roma, dove si dedicò all’insegnamento. Oltre alle tragedie, che volle pubblicare a Frosinone, pubblicò anche un volume di poesie29.
Per quanto riguarda Veroli, una ricerca sia presso l’Archivio comunale che quello della famiglia Campanari, ha rivelato notizie di indubbio interesse. Innanzitutto, soprattutto il fondo preunitario ha restituito una ricchissima documentazione afferente la scuola di musica della cittadina ernica e il civico concerto, generalmente coinvolto nelle principali manifestazioni pubbliche dell’epoca.
Oltre al Teatro del Magistrato, per il quale è impossibile allo stato delle nostre conoscenze stabilire quando esso fu demolito, nella cittadina erano attivi un non meglio identificato «teatro comunale», presso il quale presumibilmente era di casa una «Filodrammatica verolana», attiva almeno fino al primo ventennio del Novecento30; una sala teatrale privata, oggi demolita, che si trovava nella casa della famiglia Franchi de’ Cavalieri; e un teatro nel Seminario vescovile, sulle cui tavole verosimilmente si esibivano i seminaristi, che oggi ha lasciato posto alla sala presso la quale è depositato l’Archivio diocesano.
Altresì interessanti sono i (pochi) documenti “teatrali” dell’archivio della famiglia Campanari: un invito de «I dilettanti comici verolani», diretti da Giuseppe Antoniani, ad Evangelista Campanari e famiglia, per assistere ad una commedia (1835 circa); la richiesta di un direttore di una compagnia melodrammatica al gonfaloniere di Veroli, Giovanni Andrea Franchi de’ Cavalieri, onde sia concesso l’uso del teatro comunale per una rappresentazione (1856); e soprattutto il manoscritto de L’importuno fortunato, una commedia scritta da Vincenzo Campanari (junior), ispirata da una non meglio precisata novella contemporanea, che in calce reca la data dell’«8 febraio 1858».
Anche per Alatri, lo spoglio (purtroppo soltanto parziale) della documentazione dell’Archivio storico comunale ha restituito un’abbondante messe di notizie interessanti inerenti la vita teatrale e più genericamente spettacolare per il comune ernico, in un periodo che va dal 1874 al 1930. Anche qui, come per Frosinone e Veroli, bisogna segnalare la costante e continua attenzione che le amministrazioni comunali (e di conseguenza la cittadinanza) riservava alla scuola di musica e alla società bandistica.
Nel corso di circa un sessantennio è stato possibile ricostruire le vicende inerenti l’andamento della scuola di musica (inizialmente retta dal maestro Luigi Baldassarini, che restò in carica fino al 1882, anno in cui dovette cessare dall’incarico per motivi di salute, aprendo così un periodo di concorsi pubblici in cui si avvicendarono altri maestri), con numerosissime lettere nelle quali il sindaco veniva messo a conoscenza della frequentazione e del profitto degli studenti. Parimenti, la vita del civico concerto, con vicissitudini di vario genere (spesso con invidie e gelosie tra i musicisti, che davano vita a diatribe e vere e proprie vertenze con il coinvolgimento degli organi comunali), si lascia ricostruire con una certa linearità. Tanto per la scuola di musica, quanto per il civico concerto, punto di riferimento è sempre l’Amministrazione comunale che ne sovvenziona l’acquisto delle divise (previamente autorizzate dalla sottoprefettura), di nuovi strumenti o di nuove partiture, e ne richiede i servigi per occasioni di festeggiamenti o ricorrenze pubbliche.
Per quel che concerne più propriamente la vita teatrale, l’archivio conserva numerosi carteggi con capocomici richiedenti l’utilizzo del teatro comunale. In non pochi casi, queste richieste sono accompagnate dall’elencazione dei componenti del gruppo, con le rispettive specializzazioni anche tecniche, e delle opere in repertorio. La vita teatrale si animava in particolar modo in occasione del Carnevale, quando si intensificavano le richieste di poter dare spettacolo in città (come attesta una carta datata 1877 e una corrispondenza con un capocomico – specializzato nel ruolo di Pulcinella – del 1880).
Nel 1879, sollecitato dalla Sottoprefettura di Frosinone, che chiedeva notizie riguardo alla «giostra del bufalo» (per eventualmente poter approntare idonei servizi a tutela della pubblica incolumità), il sindaco dell’epoca, Bellincampi, replicava: «Assicuro la S.V. che da circa un 13 anni orsono in questo Comune non si è mai più tenuta la giostra del Bufalo».
Nel 1882 la Sottoprefettura trasmette (anche) al sindaco di Alatri il «Supplemento al n. 1 del Foglio periodico della Prefettura di Roma», contenente il «Regolamento per i Teatri ed altri locali per pubblici trattenimento della provincia di Roma». Si tratta di un documento estremamente importante che ci fa conoscere la normativa adottata a far data da quell’anno per l’apertura, la tenuta e la sorveglianza dei locali teatrali. Ricevuta la normativa, al sindaco alatrense viene richiesto dalla Sottoprefettura di far conoscere lo stato dei teatri esistenti sul territorio comunale. Dalla risposta del sindaco siamo messi a conoscenza che, all’epoca, esisteva un solo palcoscenico di legno, di fronte alla sala municipale, che però veniva utilizzato pochi giorni all’anno. Della sala teatrale, nella sua replica, il sindaco offre una descrizione piuttosto dettagliata: dalle quinte (in numero di otto di seta dipinta) all’attrezzatura di scena (tre porte, e il meccanismo di discesa del sipario), dalle porte di accesso e di uscita all’illuminazione di candele. Infine, sempre per ottemperare alle prescrizioni del Regolamento della Prefettura, la Giunta nomina una Commissione, deputata all’osservanza delle norme in esso dettate, cominciando con l’effettuare un’ispezione dei locali destinati a «pubblici trattenimenti», e redigendo una relazione che sarebbe poi stata inviata al sottoprefetto.
A gennaio del 1883 – anno in cui anche il civico concerto, a seguito di litigi tra i soci, viene temporaneamente sciolto, per poi tornare a vita nuova e segnalarsi negli anni seguenti come una banda particolarmente apprezzata, tanto da essere chiamata anche nei comuni vicini di Ripi, Collepardo e Frosinone – si verificano problemi anche con la filodrammatica di città, che rivendicava la proprietà della sala teatrale, circostanza che diede vita ad alcuni carteggi e deliberazioni di Giunta.
Del settembre dello stesso anno è una notizia pubblicata nel periodico scolastico «Il Censore», dalla quale si apprende che nel Teatro Comunale, a cura ed opera delle Società Filarmonica e Drammatica, fu organizzata una recita, il cui ricavato era destinato per l’impianto dell’Asilo infantile. Scrive l’anonimo articolista: «Molti Comuni del circondario, ed altri non mancarono di rimettere il loro obolo: molte distinte persone, tra i quali i Deputati del Collegio fecero altrettanto: solo il capoluogo… Frosinone respinse i 10 biglietti!!!». L’incasso della serata poté calcolarsi in circa 600 lire.
Anche le associazioni private erano attive nell’organizzazione di trattenimenti e spettacoli. Per esempio: nel dicembre del 1887, l’Accademia Ernica31 organizzò due recital di «esercizi letterari», uno in celebrazione del giubileo sacerdotale del pontefice Leone XIII, l’altra per la venuta del nuovo vescovo di città; nel luglio del 1894 i soci del Circolo del SS. Cuore di Gesù diedero un «Trattenimento di Musica e Poesia».
Di notevole interesse è anche la documentazione relativa alle feste religiose e alle processioni. A parte la grande mole di materiale costituito dalle richieste di autorizzazione allo svolgimento delle feste, numerosi altri documenti sono relativi ai festeggiamenti per il santo patrono Sisto I, in occasione dei quali parte non trascurabile della festa aveva carattere civile, con trattenimenti di carattere filarmonico e di giochi pirotecnici. In particolare, è di grande interesse la documentazione relativa all’anno 1885, quando si festeggiò in maniera solennissima il centenario di S. Sisto. In generale, anche per gli anni successivi, la festa di S. Sisto si rivela, tra l’altro, anche una vetrina per ensemble musicali del circondario: è del 1898 la corrispondenza con le bande musicali di Veroli e Ferentino, chiamate ad allietare i festeggiamenti patronali.
Infine, in un faldone relativo all’anno 1928, si segnala l’attività del Comitato «Estate Ciociara» che organizzò un programma di festeggiamenti, basati principalmente sulla Mostra agricolo-commerciale, ma che coinvolsero anche la Filodrammatica di Frosinone «La Fiamma».
Durante l’Ottocento dobbiamo segnalare l’attività del compositore Carlo Conti di Arpino, che fu autore della musica di alcune opere melodrammatiche, che riscossero grande successo nei principali teatri italiani. Nato nel 1796, fu ammesso nel novembre 1812 nel R. Collegio di S. Sebastiano di Napoli, dove poté assecondare la sua vocazione musicale, approfondendone lo studio. All’inizio della sua carriera di compositore, il suo più congeniale campo d’azione furono le sinfonie e i pezzi sacri; successivamente si dedicò al teatro, componendo nel corso di una carriera trentennale numerose opere liriche.
I suoi lavori melodrammatici incontrarono l’apprezzamento del pubblico al Valle di Roma, al S. Carlo di Napoli e alla Scala di Milano, dove nell’autunno del 1829 andò in scena il cupo dramma in tre atti Giovanna Shore, appartenente al genere dell’«opera inglese» allora in voga. Benché l’opera ebbe vita breve e travagliata, tanto da indurre gli autori (Conti per la musica e Felice Romani per i versi) a ovviare alla «troppo spaventosa atrocità del soggetto» con una seconda versione – rielaborata anche dal punto di vista musicale – del terzo atto, che si conclude in maniera più serena rispetto alla primitiva versione. Di quest’opera, oltre al libretto scenico a stampa, è stato possibile rintracciare anche la partitura manoscritta del Conti32 il quale, negli anni della maturità, intraprese la stesura di un metodo di contrappunto, dedicandosi così all’attività didattica.
Passando al Novecento, cominciamo con il segnalare, in ambito religioso a Frosinone, i particolari festeggiamenti popolari in onore di S. Gerardo Majella del 1909, dei quali resta traccia in un opuscolo pubblicato proprio nel capoluogo dalla tipografia Stracca.
Nel 1919, a Roccasecca nacque un personaggio di spicco nella musica italiana ed internazionale: il flautista Severino Gazzelloni, il «flauto d’oro», che ha contribuito alla diffusione della musica contemporanea, senza mai trascurare il repertorio classico, di cui è stato ineguagliabile interprete33. Benché attivi a livello internazionale, hanno avuto i natali in comuni ciociari anche altri eccezionali interpreti teatrali (e non solo), tra i quali vogliamo citare almeno: Vittorio De Sica, che nacque a Sora nel 1901, Nino Manfredi, nato a Castro dei Volsci nel 1921, e Marcello Mastroianni, originario di Fontana Liri, dove nacque nel 1924. Nel 1920, un giovanissimo Cesare Zavattini, all’epoca studente presso il Liceo ginnasio «Conti Gentili» di Alatri, partecipò ad una rappresentazione scolastica de La locandiera di Goldoni, insieme con i compagni di classe. Purtroppo, a parte la semplice notizia e una foto di gruppo di coloro che presero parte alla messinscena, non è stato possibile rintracciare alcun resoconto o descrizione dell’evento.
Attivo fin dalla seconda metà degli anni Settanta – e quindi in piena epoca postavanguardista per il teatro italiano – è Amedeo di Sora, attore e regista di Frosinone, e mentore della «Compagnia Teatro dell’Appeso», da lui fondata e diretta artisticamente. La Compagnia si è costituita legalmente nel 1984, ma essa rappresenta la continuazione e lo sviluppo ideale dell’associazione «Il Teatro dell’Appeso», fondata nel 1980. Svolge una costante attività nel settore della pedagogia, della ricerca e della sperimentazione teatrale, all’insegna di una concezione poetica ed artistica del teatro. Pur avendo come fine principale la ricerca e non la mera produzione di spettacoli (che invero rappresentano la verifica sperimentale di una fase e una pausa di riflessione), il gruppo frusinate ha prodotto numerose messinscena di indubbio fascino poetico e di grande impegno culturale ed artistico, che in anni più recenti hanno mirato al recupero e alla riproposizione dell’esperienza poetico-musicale degli chansonnier e dei primi cantautori italiani34.
Diverse pubblicazioni attestano una vivace e ricca attività spettacolare rivolta ai ragazzi, intesi sia come spettatori che come protagonisti del fatto teatrale, in tutti i comuni della Provincia di Frosinone, che, come Ente, patrocinò e coordinò queste esperienze presso le biblioteche comunali35.
Assolutamente non trascurabili sono le esperienze di quello che possiamo definire “teatro amatoriale”, specie nell’Alta Terra di Lavoro (territorio socio-culturalmente molto coeso, al punto che il più delle volte il sostegno economico per questo teatro proviene direttamente dalle casse comunali), del quale scrive lo Sperduti: «l’ingranaggio di questo frammentato spettacolo crea quasi un microsistema teatrale con dinamiche e scambi i quali sembrano riprodurre in miniatura i meccanismi del teatro maggiore, quello commerciale, pur rifiutandone l’economia»36.
La più complessa e inaspettata particolarità del teatro dei dilettanti in Alta Terra di Lavoro risiede nel suo dilatarsi a tutti gli aspetti organizzativi, oltre che creativi, del fatto teatrale, quasi facendo specchio della dilatazione geografica dei confini entro cui si muove. Il repertorio delle compagnie amatoriali (se ne contano almeno una ventina, tra le quali «I Commedianti del Cilindro», «Gli Ex Machina Teatro» e «La Valigia di Prospero»37) poggia sul teatro napoletano: Scarpetta ed Eduardo De Filippo sono gli autori prediletti. Ma ci si dedica anche a farse in vernacolo locale. Molto meno frequente il ricorso ad un repertorio di tipo diverso.
Del pari non possiamo qui tacere l’attività di Guglielmo Bartoli, che, dopo una lunga esperienza con la compagnia frusinate de «I Commedianti», da lui fondata insieme con Luciano D’Arpino nel 1984, ha intrapreso una largamente apprezzata esperienza di teatro di strada, sulla cui onda sono nati eventi importanti come il festival «Fasti Verulani», giunto nell’estate del 2019 alla sua ventesima edizione.
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NOTE
1 Sul teatro di Pignataro Interamna, cfr. G. R. Bellini, A. Launaro, M. J. Millett, Interamna Lirenas: una ricerca in corso, in «Studi Cassinati», 4 (2017), pp. 243-250.
2 Fabrateria Nova venne fondata l’indomani della distruzione di Fregellae nel 125 a.C. A seguito delle proposte politiche di Marco Fulvio Flacco, che voleva estendere i diritti politici romani agli italici, Fregellae fu a capo di una rivolta presto sedata: Strabone (Geografia, V, 3, 10) ci racconta che la città fu distrutta e i cittadini deportati a Roma dove furono oggetto di processi e persecuzioni. Quanti erano rimasti fedeli al Senato romano furono inviati come coloni a Fabrateria Nova, in un sito non distante ma del tutto privo di difese naturali; cfr. L. Crescenzi, L’anfiteatro di S. Giovanni In Carico, in «Quaderni del centro di studio per l’archeologia etrusco-italica», 11 (1985), pp. 109-111.
3 Cfr. A. Nicosia, Fabrateria Nova, Pontecorvo 1977, pp. 21 e ss.
4 Ne fornisce un’esaustiva antologia V. Orlandi, L’anfiteatro perduto di Atina, in AA.VV., Anfiteatri, giochi e spettacoli nell’antichità tra Lazio e Campania, Atti dell’incontro culturale, Atina 18 novembre 2001 Atina (FR), 2001, pp. 17-20.
5 Il Mancini riferiva di un’iscrizione latina del I sec. d.C. nella quale si legge di un edile, Caio Obinio, che diede uno spettacolo “con belve in recinto”. L’iscrizione trovata in località S. Venditto, a confine con Belmonte Castello, «è importante perché dimostra che fu organizzato uno spettacolo con belve feroci e quindi doveva esserci un anfiteatro»; cfr. A. Mancini, La storia di Atina, raccolta di scritti vari, Sala Bolognese 1994, pp. 841-861.
6 Cfr. Tacito, Historiae, 3, 62, 2; e Giovenale, VIII 185-192.
7 Cfr. M. Gabrielli, Un «Exultet» cassinese dell’XI secolo, in «Bollettino d’Arte» 1933, pp. 306-313, e anche G. Cavallo e C. Bertelli, Rotoli dell’Exultet dell’Italia meridionale, Bari 1973.
8 Cfr. F. R. Moretti, La parabola delle dieci vergini nell’Oratorio di S. Tommaso Becket ad Anagni: rappresentazione pittorica di un dramma medievale, in (a cura di) C. Ebanista e A. Monciatti, Il Molise medievale. Archeologia e arte, Firenze 2010, pp. 249-258. Un’altra rappresentazione delle dieci vergini della parabola di Mt. 25, 1-13 si trova nel Codice di Rossano, che per altro in più punti può essere accostato alle scelte sceniche del Dramma della Passione di Montecassino, già analizzato nel precedente contributo.
9 Sul quale cfr. S. D’Arco Avalle e R. Monterosso, Sponsus. Dramma delle vergini prudenti e delle vergini stolte, Milano-Napoli 1965.
10 I due sonetti si leggono in I. Andreini, Rime, Napoli 1696, alle pp. 76-77.
11 A. Ricchi, Teatro degli uomini illustri, Roma 1721, p. 153. Nelle pagine seguenti, oltre a fornire un dettagliato elenco delle opere che erano state pubblicate, il Ricchi enumera anche le opere inedite. Ed inoltre, offre un ragguaglio delle opere letterarie della figlia di Stefano Serangeli, Felice Rosalba, la quale scrisse per lo più opere poetiche, tra le quali spicca Lo Sposalizio della B. Vergine con S. Gioseppe, composizione in modo di Dialogo, à cinque voci.
12 Se ne offre un rapido catalogo in V. Ruggiero Perrino, Un’operetta del Settecento dedicata a S. Sisto, in «Anagni Alatri Uno», maggio 2020.
13 In anni molto più vicini a noi, nel 1984, don Giuseppe Capone scrisse e musicò un’opera analoga, San Sisto I Pontefice e Martire: oratorio per soli, coro e orchestra, con versi in latino. In quell’occasione, l’opera venne eseguita nella cattedrale il 12 dicembre 1984, con grande successo, lo stesso che probabilmente ebbe l’opera del 1772.
14 Cfr. C. Pascarella, Prose (1880-1890), Torino 1920, in particolare alle pp. 89-160.
15 Cfr. G. Ruspandini, La festa di primavera a Pastena, in G. Giammaria (a cura di), Ricerche sulla cultura popolare in Ciociaria II, Anagni 1998, pp. 41-49.
16 Cfr. M. Colagiovanni, La festa di Vallecorsa, in G. Giammaria (a cura di), Il culto dei santi nel Lazio meridionale tra storia e tradizioni popolari, Anagni 1996, pp. 59-67.
17 Cfr. T. Cecilia, La festa popolare di S. Martino ad Anagni, in AA. VV., Il culto dei santi nel Lazio meridionale tra storia e tradizioni popolari, cit., pp. 39-48.
18 Cfr. F. Ciccodicola, Riti protettivi: la processione del 9 luglio dell’Assunta a Cassino, in G. Giammaria (a cura di), Tradizioni, riti e terapie in Ciociaria, Anagni 1995, pp. 31-45.
19 Cfr. i singoli contributi che si leggono in G. Giammaria (a cura di), S. Antonio Abate: culto, riti e tradizioni popolari in Ciociaria, Anagni 1995.
20 Cfr. M. Stirpe, San Biagio a Veroli tra culto e folclore, in G. Giammaria (a cura di), Ricerche sulla cultura popolare in Ciociaria II, cit., pp. 111-119.
21 Cfr. C. Cristofanilli, Le «Nèfora» nella tradizione popolare ceccanese, in G. Giammaria (a cura di), Tradizioni popolari musicali nel Lazio meridionale, Anagni 1998, pp. 21-23.
22 Cfr. E. Silvestrini, Ciarlatani, esibitori di animali, “ursanti” del sorano, a Roma tra Settecento e Ottocento, in G. Giammaria (a cura di), Ricerche sulla cultura popolare nel Lazio Meridionale, Anagni 1999, pp. 105-111.
23 Cfr. G. Giammaria, Note sui festeggiamenti civili in alcuni comuni ciociari nel Sei-Settecento ed Ottocento pontificî, in Id. (a cura di), Il culto dei santi nel Lazio meridionale tra storia e tradizioni popolari, cit., pp. 87-119.
24 Cfr. A. Lauri, Folklore nella Terra di Lavoro, in «Folclore», 3-4 (1950), pp. 3-12.
25 Cfr. B. d’Aversa, Presenza e testimonianza dei gesuiti a Boville Ernica, Casamari 1995, pp. 105-172.
26 Cfr. Principe Massimo, Relazione del viaggio fatto da N.S. PP. Gregorio XVI nelle province di Marittima e Campania, Roma 1843. Di questa relazione esiste anche una sorta di estratto, che comprende la sola parte dedicata alla visita alla città di Alatri, stampata anche questa a Roma nel medesimo anno.
27 Nel precedente articolo avevamo già segnalato che Pio IX, anni prima, e precisamente nel 1850, aveva compiuto un’altra visita pastorale, questa volta ad Alatri, del quale resta traccia in un analogo libricino stampato a Roma e recante la relazione per i festeggiamenti dell’occasione. Nella visita pontificia del 1863, Pio IX si recò anche ad Anagni, viaggio del quale resta ampia traccia nella pubblicazione Il Santo Padre in Anagni il 20 maggio 1863, edita a Roma nello stesso anno. Nella medesima occasione i poeti locali diedero anche sfoggio delle loro abilità con i versi, declamando sonetti e odi, poi raccolti in Quando l’immortal Pio IX felicitava Anagni.
28 Cfr. le note e i testi redatti da Sara Vian per la mostra virtuale «I teatri nel Lazio 1798-1870», consultabili al sito https://movio.beniculturali.it/asrm/ilteatronellazio/it/1/home, dai quali traiamo le informazioni che seguono.
29 Cfr. C. Villani, Scrittori ed artisti pugliesi antichi, moderni e contemporanei, Trani 1904, p. 372.
30 Infatti, G. Trulli nel secondo volume di Tutta Veroli ha pubblicato una foto che ritrae alcuni membri della filodrammatica, abbigliati con costumi di scena, probabilmente scattata nel giardino di casa Spani, e risalente al 1915-1918. Il medesimo autore, nello stesso tomo della sua opera (p. 48) fa un riferimento al «teatro comunale», presso la cui sala si tenne una riunione dei fascisti il 17 aprile del 1921.
31 L’Accademia Ernica era un’associazione culturale ante litteram, sulla falsariga di quelle che da almeno due secoli, erano attive in tutta Italia. In terra di Ciociaria, oltre a questa, che era stata fondata inizialmente ad Anagni nel 1799 dal vescovo Devoti, ma dopo un primo periodo di decadenza iniziato nel 1814 era stata nuovamente restaurata nel 1843 ad Alatri dal vescovo Giampedi, sono da citare l’Accademia degli Elisi, fondata a metà del Seicento a Veroli, e l’Accademia dei Filateti di Anagni, attiva dalla fine del Settecento. Con riguardo a quest’ultima vogliamo qui menzionare almeno l’opuscolo dell’avv. Domenico Casamarte (che in Accademia aveva lo pseudonimo di Eudemo Dirceo, e tra gli Arcadi della colonia alfea era noto come Dorasto Medonio), intitolato Alla nascita fortunatissima di Gesù (Pisa 1793); cfr. M. Maylender, Storia delle Accademie d’Italia, Bologna, 1926-1930.
32 Essa è conservata presso il conservatorio S. Pietro a Majella di Napoli in forma integrale, mentre presso altre biblioteche se ne trovano ricopiature di singoli brani o arie.
33 Su alcuni cenni sull’illustre musicista roccaseccano cfr. C. Jadecola, Nel centesimo anniversario della nascita di Severino Gazzelloni. La favola del «flauto d’oro», in «Studi Cassinati», 2 (2017), pp. 141-144.
34 La storia dei primi trent’anni del gruppo è raccolta nel volume a cura dello stesso Amedeo di Sora, Il Teatro dell’Appeso. 1980-2010. Storia-documenti-testimonianze, Frosinone 2010.
35 Cfr. i vari quaderni di Attività di ricerca teatrale per ragazzi presso le biblioteche della provincia di Frosinone, pubblicati negli anni Ottanta.
36 P. Sperduti, Teatri nell’Alta Terra di Lavoro, in «Teatro e Storia», n. 33 (2012), p. 285.
37 Il volume miscellaneo Teatro in provincia (Castelliri 1994) ci fa conoscere la multiforme attività delle compagnie amatoriali della provincia di Frosinone (se ne contavano ben 22) attive in quel decennio.
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