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«Studi Cassinati», anno 2020, n. 1-2
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di Daniela Fraioli*
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La nostra epoca, appena entrata nel terzo decennio del ventunesimo secolo, è senza dubbio un tempo di limitato silenzio, ove questo significhi uno spazio in cui ci si possa sottrarre dal continuo flusso di informazione, che imponente, non demorde dal voler plasmare la nostra percezione della realtà. Nel frastuono, ipnotico, le comunicazioni sono ormai difficilmente distinguibili, il vero sbiadisce, la parola perde il suo valore salvifico poiché inquinata da falsi profeti. Aumenta, dunque, il volume, la confusione e l’incredulità.
Forse per questo, oggi più che mai, entrando nello spazio espositivo della moderna Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale, messo a disposizione dal Magnifico Rettore Prof. Giovanni Betta, dove dal 24 gennaio 2020 sono esposte permanentemente Le Opere della Testimonianza dell’artista Vittorio Miele, presentate dal prof. Marcello Carlino, la prima percezione è proprio quella del silenzio.
Nato nella stessa città di Cassino nel 1926 e maestro indiscusso del secondo dopoguerra, in questa collezione composta di trenta opere tra dipinti e grafiche e risalente alla metà degli anni Ottanta del secolo scorso, egli racconta la sua sconvolgente esperienza umana che, sotto i bombardamenti che distrussero la Città Martire nel 1944, lo vide perdere la sua famiglia intera. Eppure, a vent’anni dalla morte dell’artista, la scelta del figlio, Rocco Zani, di restituire alla città e alle prossime generazioni questa preziosissima documentazione, spirituale ed artistica, è il riscatto ultimo di un legame indissolubile.
L’arte sublime di Vittorio Miele è, infatti, documentazione purissima, muta quasi, nella quale solo gli echi di una barbarie assurda emergono dalle immagini come urla sorde. Rimane allo stesso tempo priva di quella stessa violenza nel linguaggio pittorico. Al contrario, come nei disegni di un bambino che riporta il vissuto senza giudizio, la comunicazione è imbevuta di uguale innocenza e credibilità, per cui la drammaticità della narrazione esplode portando lo spettatore in quella stessa realtà temporale, spaziale ed emotiva facendone ormai esperienza intima, non più confutabile.
I colori, reminiscenti come nelle forme, dei più alti esempi della pittura espressionistica del Nord Europa – straordinaria l’evocazione de l’Urlo di Munch nell’opera a tecnica mista Lo sposalizio degli istinti – ne respingono la virulenza e sono invece sopiti, delicati, come la madre che regge il suo bambino in Il rosso e l’urlo. La notte, fisica e psichica, che incombe sui corpi ormai astratti di Fossa Comune o sui bianchi cadaveri in Senza titolo 1 non perde equilibrio cromatico, né struttura compositiva. La donna col suo bambino scheletro nella ‘pietà’ contemporanea che è il Prologo è lì, ferma, guarda fuori, senza fiatare.
Se vi fosse mai bisogno di conferma dell’orrore della guerra, in un mondo deciso a rimuoverla dalla sua memoria storica e a dimenticarne le cause, l’opera di Vittorio Miele è La Testimonianza, resa innegabile dalla potenza e bellezza trasformante della sua maestria.
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* Storico dell’arte e traduttrice.
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