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«Studi Cassinati», anno 2021, n. 1-2
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di Salvatore Cardillo
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«Supra quod Tarracina oppidum, lingua Volscorum Anxur dictum, et ubi fuere Amyclae sive Amynclae, a serpentibus deletae, dein locus Speluncae, lacus Fundanus, Caieta portus, oppidum Formiae, Hormiae dictum, ut existimavere, antiqua Laestrygonum sedes. ultra fuit oppidum Pirae, est colonia Minturnae, Liri amne divisa, Clani olim appellato, Sinuessa, extremum in adiecto Latio, quam quidam Sinopen dixere vocitatam».
È questo il passo della Naturalis Historia di Plinio1, senza il quale avremmo perduto – per sempre – la notizia dell’esistenza di un luogo, detto Pirae, localizzato tra Formia e Minturno e che lo stesso Plinio segnala scomparso già ai suoi tempi (fuit oppidum).
Nessun altro autore classico, greco o latino, nomina la presunta cittadina di Pirae, o Pyrae, ed il silenzio su di essa attraversa tutto l’Impero ed il Medioevo.
Fu l’umanista Antonio Sebastiani, detto il Minturno, a recuperare – nel XVI secolo – il ricordo della località scomparsa. Infatti, nell’ode Diva Reparata egli scrive: «Et tandem venit Laurentis ad arva Maricae. Est Promontorium, Piras dixere priores, Nunc vero Argentum, mutato nomine, dicunt…»2.
Il poeta, nel ricordare Pyrae, ne colloca l’esistenza sul monte d’Argento, il promontorio che da Scauri guarda ad est, verso Minturnae. Qualcuno ha voluto vedere anche nei versi successivi: «Gens Agarena, Dei contemptrix impia, totas, Diruta Syrarum, heu!» un riferimento a Pyrae, interpretando il lemma Syrarum quale deformazione di Pyrarum3. Riteniamo, tuttavia, la considerazione inesatta, in quanto Syrarum dovrebbe riferirsi semplicemente ai luoghi di provenienza delle reliquie di Santa Reparata4 e cioè alla regione siriaco-palestinese. Non sappiamo se il poeta traettese abbia riportato un’antica tradizione locale, a lui nota, che identificava il sito di Pirae con il monte d’Argento o se abbia semplicemente dato sfogo al proprio estro.
Nel 1624 Filippo Cluverio, pubblica l’opera Italia antiqua. Nel secondo volume menziona la citazione pliniana e in modo del tutto laconico, ma con un metodo che ricorda quello storico moderno, afferma: «Ergo jam tum Plinii tempestate Pyrae opidum nullum existit, eoque incertum, quo situ id fuerit»5, sottolineando che – vista la stringata indicazione di Plinio – la localizzazione del sito era alquanto incerta.
A tal proposito, tra la fine del XVI secolo e l’inizio del XVII, il cartografo Abraham Oertel, latinizzato Ortelius, diede alle stampe il Parergon, una raccolta di carte storiche nella quale compariva anche il Latium Novum. In essa l’oppidum Pyrae viene collocata non sulla costa, ma verso l’interno, in altura, in una posizione che potrebbe ricordare l’odierna Castellonorato. È un caso praticamente unico. Dopo Ortelio, nelle mappe e cartine successive, Pirae, se citata, viene sempre disegnata sulla costa, in posizione pressoché equidistante tra Formiae e Minturnae.
Negli anni successivi, non troviamo molte citazioni della presunta città scomparsa e si nota come nella famosa diatriba tra Erasmo Gesualdo6 e Francesco Maria Pratilli7 sui monumenti e le località del golfo di Gaeta, nessuno dei due contendenti, che pure polemizzarono praticamente su tutto, nomini Pirae e i suoi resti. Quasi che – in fondo – il ricordo di essa, sui luoghi, fosse oramai labile o evaporato.
Nel secolo successivo cominciano – invece – tra gli eruditi, le disquisizioni sulla localizzazione e sull’origine dell’oppidum.
Nel 1819 Domenico Romanelli in Antica topografia istorica del Regno di Napoli III, aveva proposto di collocare lo scomparso centro, «da presso la scafa di Minturno»8, ossia verso la foce del Garigliano dove nell’alto medioevo sarebbe stato allestito il transito del fiume tramite imbarcazioni. L’ipotesi è ripresa da Giuseppe Del Re in Descrizione topografica fisica economica politica de’ Reali Dominj al di qua del faro nel Regno delle Due Sicilie con cenni storici fin da’ tempi avanti il dominio de’ Romani, I9.
Pasquale Cayro, supponendo un’origine ellenica, la collocava in altura, presso il promontorio di Scauri10, entrando in piena polemica con Gaetano Ciuffi il quale, al contrario, riteneva che essa fosse ubicata «vicino la proprietà D’Urso, in località Faraone»11. Ancora nel 1858 il canonico Ciuffi, in una comunicazione intestata quale Pyrae, segnalando il ritrovamento di una colonna di granito scura, trasportata poi a Napoli, per «Sovrana disposizione», affermava che essa era stata ritrovata in un terreno che si trovava «…nel perimetro dell’antichissima Pire, appartenente alla nominata Teresa d’Urso»12.
Nicola Corcia riprendendo l’ipotesi che Pirae fosse localizzabile presso il Garigliano, ne suppose un’origine greco-pelasgica13.
Differentemente Pasquale Mattej, riferendosi poeticamente al promontorio di Gianola, a cui dedicò un denso articolo sul periodico napoletano di informazione culturale Poliorama Pittoresco, ricorda: «il romano villaggio di Pire sulle cui rovine il tuo Scauri si edificava, ricordando il nome di un famoso consolare, si avrà finalmente un nome non oscuro»14. Il Mattej identificava la città scomparsa quale “romana” e sembra essere il primo in assoluto che accenni ad una edificazione sulle sue rovine di una villa consolare degli Emili Scauri. Piuttosto significativo appare quel «nome non oscuro». Sulla questione, torneremo in seguito15.
L’eccentrico canonico Francescantonio Riccardelli dedica a Pyrae parecchie pagine e – tra una fantasia e l’altra – si inventa anche un ipotetico «Castro Pireo», una fortificazione mai tramandata dalle fonti16. L’estrosa narrazione del Riccardelli, mescolando notizie veritiere ad altre piuttosto stravaganti, si spinge ad affermare che «il villaggio di Pire era diviso in due metà … Aveva una popolazione di 3.000 abitanti, con una piccola colonia greca. Un piccolo castello presidiato dalle milizie di Minturno, e varie fabbriche di materie cretacee decoravano la nobiltà di questo villaggio … Il porto di Pire dovette essere uno dei famosi del nostro golfo»17, e di illazione in illazione continua il racconto tra improbabili epigrafi ritrovate sui luoghi ed il supposto tempio di Giano, eretto dai “Piresi”, dediti al suo culto.
Il XX secolo risulta decisivo per le ipotesi di localizzazione di Pirae e per le sue pretese origini. Nel 1923 Francesco Ribezzo effettuò un sopralluogo sul territorio e determinò una linea di ricerca sulla quale verrà poi seguito in maniera pressoché unanime: riconoscere nelle mura poligonali ubicate a Scauri il sito della antica Pirae ed attribuire agli Aurunco-Ausoni la loro edificazione18.
Riteniamo assolutamente improbabile l’affermazione del Ribezzo che Ecateo fosse tra le fonti logografiche ed annalistiche di Plinio: Ecateo è stato una delle fonti principali di Stefano Bizantino e se egli avesse nominato Pyrae, Stefano di Bisanzio la avrebbe riportata, come fa puntualmente con molte altre città scomparse19. Nell’attribuire le mura a Pirae, il Ribezzo ipotizza una datazione piuttosto alta, VI – V secolo a.C., ma fornisce anche la notizia interessante che vi sarebbero stati degli scavi in zona, di cui però non aveva potuto vedere i resti: «Una particolareggiata descrizione di questi avanzi mi fece il prof. Pietro Fedele della R. Università di Roma, mentre io non ho ancora avuto agio di osservarli personalmente e, quel che più rincresce, di determinare il rapporto tettonico e topografico che corre tra essi ed il muro di cinta…»20.
Di questi presunti scavi non si hanno informazioni ed è questo uno dei maggiori limiti delle indagini storiche ed archeologiche: sul sito della pretesa Pirae a Scauri, sinora, sono stati effettuati solo ricognizioni e sopralluoghi, spesso parziali, ma non sono mai stati eseguiti scavi scientifici né indagini topografiche approfondite, che tanto servirebbero – ove fosse possibile – a mettere in luce la reale conformazione dei luoghi e il loro passato.
Tracciata la linea che vedeva negli Ausoni i responsabili dell’edificazione delle mura poligonali scauresi, nel 1933 l’archeologo statunitense Jotham Johnson datava le mura più antiche ritrovate a Minturnae al 500 a. C., mentre le mura di Scauri-Pirae, definite come pseudo-poligonali, sono ritenute successive alle fortificazioni minturnesi21. Durante gli scavi minturnesi, promossi dal senatore Pietro Fedele, lo studioso recuperò delle iscrizioni repubblicane nelle quali veniva richiamata anche una gens Pirana/Peirana22. La scoperta, associata a ritrovamenti successivi di bolli laterizi su dolia, in cui si richiama sempre a dei Pirani/Peirani, ha portato ad ipotizzare che il cognomen fosse legato proprio alla cittadina di Pirae e che la gens si fosse specializzata nella produzione di dolia, grandi vasi utilizzati generalmente per la conservazione di derrate alimentari23, il cui commercio sembra espandersi sino alle coste delle Gallie.
In un articolo del 1934 molto denso, ma che suscita anche molti dubbi per l’arditezza dell’ipotesi, Mario Di Fava, associando il toponimo Piroli a Pirae e identificando l’oppidum riportato da Plinio con la mitologica Telepilo, abitata dai Lestrigoni e citata da Omero24, propone una ricostruzione topografica della città che si sviluppa imponente dalla villa romana sotto il promontorio scaurese, costruita sui luoghi di accesso da oriente, sino all’attuale Formia, inoltrandosi per diversi chilometri verso l’interno nell’area di Itri, Penitro e Spigno25. Bisogna dire, tuttavia, che ben difficilmente una cittadina di tale estensione, notevole per l’antichità, sarebbe caduta nel silenzio più totale, se si esclude la rapida citazione pliniana.
In Aurunci patres, Giuseppe Tommasino, dedicò a Pirae la bellezza di quasi trenta pagine26. Dalla sbrigativa citazione di Plinio, il Tommasino – che sembra ragionare più come un classicista-letterato ottocentesco che come uno studioso dedito ad un più recente metodo storico – ricava, in base alle fonti conosciute, notizie certamente non provate né verificate. L’oppidum diviene un castrum, quindi una cittadina fortificata, con valenze anche militari; ritorna il riferimento ad Ecateo; la nascita del castrum si dovrebbe ad un gruppo ausonico staccatosi da quello originario di Campodivivo, contrada presente verso l’interno nel comune di Spigno Saturnia. Alzando la datazione dell’insediamento al VII-VI sec. a. C., si afferma che il borgo era legato alle consorelle della, peraltro inesistente, pentapoli aurunca27, di cui sarebbe stato alleato nelle guerre sannitiche contro i romani. Non manca il puntuale riferimento al console Marco Emilio Scauro che avrebbe posseduto due fantomatiche ville: una nel golfo di Gaeta ed un’altra presso i resti della scomparsa città di Pirae, regalando – in tal modo – il toponimo attuale alla cittadina scaurese28.
Le due diverse tipologie murarie, già segnalate dal Di Fava, vengono confermate dal Lugli che scrive: «Nel promontorio di Scauri, le due pareti che fiancheggiano la porta dell’antica città, che fu probabilmente Pirae, sono fatte in due modi differenti, a destra più rozzo e a sinistra più raffinato»29.
Le suggestioni di inizio Novecento influenzano tutti gli studiosi locali successivi e nei decenni seguenti, le mura poligonali della presunta Pirae, fruiscono costantemente della datazione più alta (VII o VI sec. a. C.), mentre l’oppidum scomparsa viene accostata comunemente agli Ausoni-Aurunci.
Tuttavia è già nel 1947 che M. E. Blake smentisce J. Johnson sulla datazione delle mura di Minturnae e Scauri. Affermando, addirittura, che le mura scauresi sono di fattura migliore rispetto a quelle minturnesi, le data entrambi intorno al IV secolo a. C.30. Da sottolineare che il Johnson, dopo l’intervento della Blake, ritrattò la sua datazione molto alta sulle mura rilevate a Minturnae, classificandole come coeve all’insediamento dei coloni romani del 296 a. C., non tornando – invece – mai più sulla barriera poligonale scaurese.
Intorno all’ultima decade del XX secolo, si cominciano a rilevare alcune autorevoli obiezioni e verifiche sulla datazione del sito arcaico.
Maria Paola Guidobaldi scrive chiaramente: «Coevi alla colonia [di Minturnae] sono invece i resti dell’oppidum di Pirae…Si tratta di muri in opera poligonale di III-IV maniera Lugli, molto simili alla cinta del castrum di Minturnae, provvisti di un bastione quadrangolare sul lato meridionale e di una porta scea ad ogiva tronca»31. La Guidobaldi, nel datare le mura alla prima età repubblicana, ipotizza si trattasse di un’opera difensiva della prima occupazione romana, contro i possibili pericoli provenienti dal mare.
A Giorgia Rosi dobbiamo quella che – forse ancora oggi – è l’indagine più minuziosa sui luoghi. Netto il giudizio della Rosi: «Le mura, che presentano un primo tratto avvicinabile alla quarta maniera ed un secondo di piena quarta maniera, potrebbero essere datate fine IV – inizi III sec. a. C. L’associazione con la cinta poligonale della vicina Minturnae costruita intorno al 296 a. C., anno di fondazione della colonia romana, sembra far propendere per una datazione del poligonale di Scauri agli inizi del III sec. a. C. o poco dopo … Tralasciando il confronto con Minturnae, va escluso, come sembra, che la cinta di Scauri debba essere considerata opera di popolazioni preromane, in questo caso aurunche o ausoni, stanziate appunto in questa zona»32. L’autrice sembra concordare sulla funzione strategica del sito, ad opera dei coloni romani, a controllo della fascia costiera sottostante e della via Appia.
Di “congetture” difficili da sostenere, parla apertamente Paul Arthur che, per i resti archeologici visibili, propende per una datazione fluttuante tra il II e il I sec. a. C., mostrandosi molto scettico anche sull’attribuzione della villa romana agli Emili Scauri33.
Nel 1995 Maria Teresa D’Urso, nel riepilogare molte delle supposizioni precedenti, offre un sunto delle ipotesi etimologiche del toponimo34.
Nella sua poderosa opera sulle ville marittime romane, Xavier Lafon, mostrando qualche perplessità sull’attribuzione del sito all’antica Pyrae, giudica i resti contemporanei o leggermente posteriori alla colonia minturnese del 296. a. C., affermando che, più che di una villa vera o propria, si dovrebbe parlare piuttosto di un punto difensivo in prossimità del mare. Molto interessanti le considerazioni seguenti. Il Lafon afferma che la trasformazione in villa dell’area, avvenne successivamente, quando la funzione difensiva, con il tempo, era divenuta inutile. Lo studioso, avvicina la villa romana scaurese alle ville fortificate presenti sul territorio di Paestum35.
Caterina Paola Venditti conferma, nel suo pregevole lavoro sulle villae del Latium adiectum, una datazione bassa per le mura poligonali, nell’ambito del III sec. a. C.36.
Recentemente lo studioso Massimo Pasquale Fedele ha dato alle stampe un ultimo contributo che propone un’ipotesi tutta nuova: l’insediamento della presunta Pirae sarebbe un piccolo stanziamento greco, legato alla vicina Ischia, sede della prima colonizzazione ellenica nel Tirreno37. Il lato dell’isola che dà verso la costa laziale, da Casamicciola a Lacco Ameno, a Forio, è ben visibile da Scauri e i rapporti commerciali sono stati ben intensi, tanto che se ne trovano tracce ancora nel XVIII secolo38. Il Fedele ipotizza un emporio, una sede pacifica di scambio commerciale e di traffico di materie prime, con le popolazioni autoctone del circondario e dell’interno.
Del resto, se il porto romano sommerso scaurese, ancora poco studiato, avesse avuto un antenato in un precedente approdo strutturato, pre-romano, difficilmente quest’ultimo potrebbe essere stato aurunco, popolo non certo noto per le qualità marinaresche. Solo indagini scientifiche approfondite potrebbero risolvere il dilemma.
Alla luce di tutto questo, si constata, dunque, come le tante suggestioni legate alla perduta Pirae, abbiano portato ad equivoci piuttosto grossolani. Tale è l’errore, ad esempio, dei monaci cassinati, che, nel Codex Diplomaticus Cajetanus, identificarono la località di Piroli quale deformazione di Pirae, quando invece, come detto, la località è ancora ben esistente tra Itri e Formia, sopra la valle di Conca di Gaeta39.
Altrettanto fuorviante è l’interpretazione fornita, da alcuni studiosi, sulla medievale Massa Pirana40.
Detto che un toponimo che viene citato in età romana, non ricompare improvvisamente dopo 700 anni, per poi scomparire nuovamente e questa volta definitivamente nel nulla, la Massa Pirana, citata nel Liber Censuum41 del Camerario Cencio, futuro papa Onorio III, poco ha a che fare con Pirae e si deve – anzi – collegare ai tanti toponimi segnalati nel CDC, che hanno quale riferimento il già citato territorio di confine tra Itri e Formia e che – oltre a Piruli – vengono tramandati quali Pire o Caput Piro42. Del resto, alcuni toponimi citati nello scritto medievale, sembrano potersi individuare certamente nei territori tra Itri e Formia: è il caso delle località Casula, Teianellum, Amphiteanorum e Quadrantala43, mentre – almeno per il momento – non siamo riusciti a trovare riscontri congrui per i nomi Testianum e Talassarotis. Nel testo originale compare anche la forma Scauriis, comunque staccata dalla Massa Pirana. Non è detto che essa debba riferirsi con certezza all’attuale Scauri di Minturno, vista anche l’omogeneità degli altri fondi, tutti localizzabili – come detto – tra Gaeta, Itri e Formia. Essa, infatti, facilmente potrebbe essere ricollegata agli scauia, scauiis, sempre citati nel Codex44, in relazione ai cantieri navali di Gaeta. Nel documento tramandato, di metà VIII secolo, vengano indicate, quale riferimento, anche le prime mura di fortificazione bizantine («foris muros castri Caetani»).
Se si eccettua Antonio Sebastiani, è solo nell’Ottocento che comincia il “gioco erudito” della localizzazione del sito della presunta Pirae e se essa viene – più o meno – sempre indicata nel territorio di Scauri, è solo nel Novecento che l’oppidum viene fissato nell’area delle mura poligonali.
La datazione molto alta, dei primi decenni del secolo, è oramai messa fortemente in dubbio dagli studi più recenti. Anche se, nella cronachistica locale, nella pubblicistica di propaganda, quella che potremmo chiamare “storia per turisti”, si tende a far prevalere la datazione più alta, presumibilmente, a nostra opinione, per mal interpretate questioni di “prestigio”. In conclusione, facendo qualche considerazione a margine, seppur lasciando l’approfondimento della questione in mano agli archeologi competenti, non essendo certo esperti inviolabili di studi sulle tracce materiali antiche, si potrebbe forse ipotizzare che la presunta Pyrae fosse un centro di produzione e di stoccaggio. Le mura – infatti – sembrano non essere propriamente “urbiche”, poiché costruite a ridosso della collina con funzione di terrazzamento del centro. Se fossero state di un castrum o di un oppidum, con funzioni difensive, le avremmo presumibilmente trovate in altura con un perimetro murale maggiore e con almeno due porte. Nell’area conosciuta – invece – manca qualsiasi traccia del resto perimetrale, di quelli che dovrebbero essere i restanti tre lati del baluardo, e questo è davvero strano, vista l’imponenza della cinta poligonale che dà verso il mare. Inoltre, il sito sembra essere davvero poco difendibile: dal promontorio ad ovest, il cosiddetto Monte d’Oro, la roccaforte sarebbe stata facilmente attaccabile ed agevolmente conquistabile.
La verità è che – tornando alla stringata annotazione di Cluverio – di Pirae, o Pyrae, come della Minturno italica, in fondo, non conosciamo ancora nulla di assodato.
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NOTE
1 Plinius, Naturalis Historia, III, 28.
2 Abbiamo recuperato il carme dedicato a S. Reparata, Diva Reparata, negli Acta Sanctorum dei Bollandisti, sul sito https://www.heiligenlexikon.de/ActaSanctorum/8.Oktober.html.
3 L’interpretazione è presente in B. Fedele, Minturno. Storia e folklore, Marina di Minturno, rist. an. 2004, pag. 441 n. 935. L’opera originale venne stampata nel 1958. Il Fedele ripropone l’ode Diva Reparata, pp. 439-441.
4 Syrarum quale siriane, visto che nell’antichità la regione siriana comprendeva anche la Syria Palaestina. Da Cesarea sarebbero arrivati sui lidi scauresi i resti mortali di S. Reparata, il cui mito agiografico si sovrappone e confonde con quello di S. Albina, altra martire le cui spoglie sarebbero giunte a Scauri via mare da Cesarea. La tradizione popolare vuole che il corpo di Reparata, sepolto a Scauri, fu traslato verso sud dal principe di Benevento Sicone, che regnò dal 817 al 832, su richiesta della figlia malata, perché la martire intercedesse in suo favore. Il racconto narra che il trasporto si interruppe miracolosamente a Teano dove i buoi che trasportavano il carro quasi si inginocchiarono, facendo incagliare il carro stesso (M. Broccoli, Teano sidicino sacro antico e moderno III, 3, Napoli 1823 pp. 13-14, 164). Se le reliquie di S. Reparata riposano, secondo la tradizione, ancora a Teano, quelle di S. Albina sarebbero invece custodite presso il Duomo di Gaeta dove, si tramanda, sarebbero state trasportate nell’alto medioevo per salvaguardarle dalle incursioni saracene dell’VIII-IX secolo. Un racconto agiografico della vita di S. Albina è custodito nell’Abbazia di Montecassino, in un codice datato intorno all’XI secolo (cfr. M. R. Caliman, Una fanciulla di nome Albina, la santa di Scauri: da Tremensuoli a Scauri: una comunità in cammino, Marina di Minturno, 1989). Se il culto di S. Reparata presso la comunità scaurese è andato con il tempo scemando, quello di S. Albina è tuttora esistente ed è ancora presente una parrocchia ad essa dedicata.
5 P. Cluveri, Italiae antiquae item Siciliae, Sardiniae e Corsicae. Tomus secundus, Lugduni, 1624, p. 1079.
6 E. Gesualdo, Osservazioni critiche di Erasmo Gesualdo sopra la storia della via Appia di D. Francesco M. Pratilli e di altri autori nell’opera citati, Napoli, 1754.
7 F. M. Pratilli, Della via Appia riconosciuta e descritta da Roma a Brindisi. Libri IV, Napoli, 1745.
8 «Da Gaeta riprendendosi la via Appia, dopo Formia, e prima del fiume Liri, trovarsi doveva la città di Pira…Io sospetto, che dovesse alzarsi sotto la scafa di Minturno, dal lato destro del fiume presso il mare. Qui dal sig. Notarjanni furono osservati molti residui di antichità, a’ quali non seppe dar alcun nome, anzi parlando di Pira confessò di non averne potuto indovinare il sito» (D. Romanelli, … cit., Napoli, 1819, p. 427).
9 G. Del Re, … cit., Napoli, 1830, p. 285.
10 P. Cayro, Notizie storiche delle città del Lazio vecchio e nuovo. II, Napoli, 1816, pp. 140-141: «…arguir possiamo, quasi con certezza, che in tal sito vi si fosse stabilita unione de’ Greci pel commercio marittimo, venuti dalla Grecia, ed un tal nome avessero dato alle abitazioni con torri fortificate … e dev’esservi stata la Città, che dal suddetto Plinio si nomina, e par che sia conforme a quanto si è scritto».
11 G. Ciuffi, Sulla situazione dell’antica Pira, in «Bullettino Archeologico Napoletano», n. XXVI (9 dell’anno II), I Aprile 1844, p. 65. L’area Faraone si può localizzare, approssimativamente, ai confini tra le frazioni minturnesi di Scauri e Marina di Minturno, tra la via Appia e la costa.
12 M. Ruggiero, Degli scavi di antichità nelle province di Terraferma…, Napoli, 1878, pp. 408-409.
13 N. Corcia, Storia delle Due Sicilie: Dall’antichità più remota al 1789, Napoli, 1843, p. 490: «…Nell’oscurità della sua origine, questo solo può conghiettarsi che, fondata dai Pelasgi, nel di lei nome fu rinnovata la rimembranza della regione alla quale appartennero, dir voglio la Pirea, parte nota della Tessaglia. Anche il Cramer, senza notare questa analogia, ne sospetta l’origine greca». J. A. Cramer, A Geographical and Historical description of ancient Italy, vol. II, Oxford, 1826, p. 132: «This name would seem to indicate a Greek origin».
14 P. Mattej, Le torri, il promontorio detto di Gianola e le antichità ivi esistenti, nelle adiacenze di Mola di Gaeta, in «Poliorama pittoresco», 10/18, 1845, p. 143. L’ode è ripresa quasi letteralmente da P. Micheletti in Storia dei monumenti del Reame delle Due Sicilie, Napoli 1846, p. 618.
15 Vedi nota 27.
16 F. Riccardelli, Minturno e Traetto: svolgimenti storici antichi e moderni, Napoli, 1873. Troviamo la “descrizione” del villaggio di Pirae alle pagine 61-66, mentre il presunto Castro Pireo viene citato alle pagine 106-107.
17 Ivi, p. 62 e ssg.
18 F. Ribezzo, Torre, porta e cinta poligonale inedite di Pirae ausonica, in «Rivista Indo-Greco-Italica di Filologia Lingua Antichità», VII (1923), Fasc. I-II, pp. 113-121.
19 Stephanus Byzantinus, Ethnica. Si pensi alla perduta Scari, in Lycia, mai ben identificata. Stefano la riporta puntualmente. Vedi voce: Σκάροι.
20 F. Ribezzo, … cit., p. 120.
21 J. Johnson, Scavi a Minturnae. Vol. I. I monumenti del foro repubblicano, Filadelfia, 1935, traduzione a cura dell’Archeoclub di Scauri, 1985, p. 22.
22 J. Johnson, Excavations at Minturnae II, 1933, pp. 43, 67.
23 S. Dominic Ruegg, Ricerche subacque nella Minturnae Romana. Fiume Liri-Garigliano. Parte I, Rapporto, Marina di Minturno, 1999, p. 127. Piranus Philomusus, Caius Piranus Felix, Caius Piranus Cerdo, Caius Piranus Sotericus, Caius Piranus Primus, i vari nominativi rilevati nei bolli stampati sui dolia, recuperati nei differenti relitti scoperti, sparsi attraverso tutto il mar Tirreno. Si va dalla regione del Grand Ribaud, in Provenza, a Ladispoli, da Petit Congloué, vicino Marsiglia, a Diano Marina, all’isolotto della Giraglia, al nord della Corsica. Un puntuale resoconto sui vari cognomina Piranus rilevati nei tanti dolia recuperati nel Mediterraneo occidentale, si trova in G. Olcese, Atlante dei siti di produzione di ceramica, Roma, 2011-2012, pp. 536, 558-559, 610, 612, 616.
24 Hom., Od. X, 82 e XXXIII, 318.
25 M. Di Fava, L’opera poligonale bugnata nell’Agro formiano, in Atti del III Congresso di Studi Romani, pp. 406-414, in part. p. 412. Di Fava individua nelle fortificazioni attribuite a Pirae due diverse tipologie murarie, che per G. Giovannoni, L’acquedotto romano di Angitia, in Atti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia. Rendiconti, XI, 1935, p. 78, corrispondono a due maestranze diverse che lavorarono contemporaneamente: un tratto di mura strettamente in opera poligonale, nel quale si apre la porta, che presenta, come molte fortificazioni italiche, rilievi di tipo itifallico, e un altro di tipo bugnato. Piroli è toponimo ancora presente ai confini tra Itri e Formia, sopra la valle di Conca di Gaeta.
26 G. Tommasino, Aurunci patres, Gubbio, 1942, pp. 290-308. Lo stesso Tommasino, qualche anno addietro, aveva dedicato a Pyrae solo un paio di fugaci accenni in La dominazione degli Ausoni in Campania. Suessa Aurunca ed i suoi avanzi archeologici, S. Maria C. V., 1925, pp. 266, 268.
27 È solo nel XX secolo che, proprio il Tommasino, sembra forgiare il termine, ripreso poi da poeti quali Domenico Tambolleo e Angelo Josìa, divenendo poi luogo comune ed assodato. Nel 1925, infatti, Tommasino nella sopraricordata opera La dominazione degli Ausoni in Campania…, 1925, a pag. V, nella encomiastica dedica al Senatore del Regno e Ministro della Pubblica Istruzione Pietro Fedele, cita per la prima volta il lemma “pentapoli”. Si consideri che in Ab urbe condita, Tito Livio nomina solo tre “urbes”, Ausona et Minturnae et Vescia, e nessun autore classico fa cenno ad alleanze in funzione anti-romana tra cinque città aurunche, o presunte tali. Si legga a tal proposito: S. Cardillo, La Pentapoli Aurunca: un’invenzione storico-poetico-letteraria, in «Studi Cassinati», a. XX, nn. 3-4, luglio-dicembre 2020, pp. 198-205.
28 Messe oramai in soffitta le suggestioni romane, dovute alla affinità con il cognomen “Scaurus”, legate soprattutto alla figura del console e senatore Marco Emilio Scauro, il toponimo sembra doversi invece avvicinare al lemma scarium / scaria, approdo, cantiere navale, luogo dove le imbarcazioni si tirano in secca, toponimo presente in innumerevoli testimonianze lungo tutto il Mediterraneo. In particolare, esso sembra potersi legare al termine scaula, barca piatta, antenata della gondola, la cui testimonianza documentale arriva sino al XIV secolo, principalmente nell’alto Adriatico. Entrambi i termini sono di origine greco-romana, tra basso-Impero ed alto-Medioevo. Si verifichi al riguardo Salvatore Cardillo- Massimo Miranda, Scauri. Un territorio tra Longobardi e Bizantini. Nuove prove etimologiche, in «Annali del Lazio Meridionale – Storia e Storiografia», a. XVII, n. 33, giugno 2017, pp. 21-48, ed anche Salvatore Cardillo, Tra Scauro e scarium. Toponimi marinareschi nel Mediterraneo e loro diffusione, in Memorie Romane del Promontorio. Mamurra e Scauro tra tradizioni ed etimologia, Atti della Giornata di Studi, Comprensorio Archeologico di Minturnae – 23 settembre 2017. Gaeta, deComporre Edizioni, 2019, pp. 163-179.
29 G. Lugli, La tecnica edilizia romana, I. Roma, 1957, p. 66.
30 M. E. Blake, Ancient Roman construction in Italy from the prehistoric period to Augustus, Washington 1947, pp. 95-96.
31 M. P. Guidobaldi, La colonia civium romanorum di Minturnae, in «Dialoghi di Archeologia», a. 6, n. 2, 1988, p. 128.
32 G. Rosi, Il territorio di Scauri, in Minturnae, a cura di F. Coarelli, Roma, 1989, pp. 108-110.
33 P. Arthur, Romans in Northern Campania. Settlement and Land-use around the Massico and the Garigliano Basin, London, 1991, pp. 58-59 e tavole VIII-IX. Sia la Guidobaldi, che la Rosi, che Paul Arthur smentiscono il nume tutelare Coarelli che pure, nel 1982, aveva aderito alle ipotesi di un insediamento anteriore alla conquista romana: «Accanto al vecchio paese di Scauri sono resti, poco conosciuti e studiati, di un piccolo centro fortificato di età preromana …Si è pensato di identificare questa fortificazione con il centro antico di Pirae» (F. Coarelli, Lazio, Roma-Bari, edizione 1984, p. 368).
34 M. T. D’Urso, Oppidum Pirae tra Formiae e Minturnae, in «Formianum», III, 1995, p. 39. Le molteplici ipotesi sulla derivazione dell’etimo spaziano dal significato di approdo a quello di promontorio, ricordando anche P. Cayro che, op. cit., avvicina l’etimo a quello di Pyrgi (approdo con torri), p. 141. Di strutture di difesa e di avvistamento, legate a Pyrgi, si accenna anche in La Magna Grecia e il mare. Studi di storia marittima, a cura di F. Prontera, legando l’etimo alle strutture fortificate del porto etrusco (p. 68).
35 X. Lafon, Villa maritima: recherches sur les villas littorales de l’Italie romaine (III siècle av. J. C.- III siècle ap. J. C.), Rome, 2001, p. 39. Muovendosi con molta circospezione, il Lafon ritiene che per la villa non si possa escludere una data di edificazione intorno all’inizio del I secolo a. C., lasciando in dubbio l’identificazione del sito con la fortezza di Pirae (pp. 77-78, 385).
36 C. P. Venditti, Le villae del Latium adiectum. Aspetti residenziali delle proprietà rurali, Bologna, 2011, pp. 215-216.
37 M. P. Fedele, Pirae. La città sommersa di Scauri, Scauri, 2019.
38 Ancora nel 1706 un ufficiale spagnolo, incaricato della descrizione del sistema difensivo litoraneo dell’alta Campania, descrivendo i luoghi, riporta che: «[a Scauri] vi è buon fondo per imbarcazioni, un ruscello molto abbondante di acqua buona, che fa andare alcuni mulini dove quasi tutti gli abitanti dell’isola di Procida e d’Ischia vanno a macinare il loro grano» (Archivio di Stato di Napoli, Carte Montemar LXXIII, riportato in A. Mauro, Le fortificazioni nel regno di Napoli, Napoli, 1998, pp. 32-33).
39 CDC, Documento XLV, Donazioni di Docibile al figlio Gregorio, anno 944: «…seu et in loco qui dicitur Piruli». Abbiamo già visto come cada in errore il Di Fava. Nello stesso equivoco finiscono R. Castrichino, Scauri da eskhàra, 1978, p. 25 e A. Lepone che in Scauri, Marina di Minturno-Scauri, 1993, inserisce il documento con la citazione di Piroli, nel paragrafo Toponimo e documenti dedicato alla toponomastica scaurese, p. 52, per poi riproporre nuovamente la voce in Marco Emilio Scauro. Princeps Senatus, Marina di Minturno, 2005, p. 107.
40 Che il lemma medievale Massa Pirana debba riferirsi a alla presunta Pirae e al territorio di Scauri, è ipotesi sostenuta dal Castrichino, … cit., pp. 27-28. La congettura è ripresa poi dal Lepone, Marco Emilio Scauro…, 2005, p. 106.
41 «Idem in eodem Theodoro notario casale Casula et Testianum; prestat … auri solidos; et fundum Teianellum, prestat … auri siliquas, et fundum Quadrantala, prestat … auri siliquas, ex corpore masse Talassarotis, et fundum Amphiteanorum ex corpore masse Pirane, prestat … auri solidos, et campum positum in Scauriis prestat … auri siliquas, omnia ex corpore patrimonii Caietani juris Romane ecclesie, et terram vacantem foris muros castri Caietani, prestant omnia … auri solidos» in Le Liber Censuum de l’Eglise Romaine. I- II, 1910, col. 75, p. 354. Il documento, datato intorno al 745, prevede benefici di papa Zaccaria verso il notaio Teodoro.
42 CDC, Doc. L, anno 946: «… qui dicitur Caput Piro … casale Caput Piri»; Doc. LXII, anno 962: «…in Pire sorbo in loco Flumitica»; Doc. CXXXXVI, anno 1024: «…in loco qui dicitur Caput Piru».
43 Vi sono buone probabilità che Amphitheanorum sia una lettura corrotta di “Amphitheatrorum”, richiamandosi il testo all’area dell’anfiteatro formiano. Secondo la Passio S. Erasmi, redatta dal monaco Giovanni, futuro papa Gelasio II, il santo fu sepolto dal vescovo formiano Probo proprio nei pressi dell’anfiteatro di Formia: «…partem juxta amphiteatrum..», cfr. V. von Falkenhausen, S. Erasmo a Bisanzio, p. 79 in Formianum, cit. Nel CDC troviamo poi il toponimo Quarantula (Quadrantula) nel documento LI, anno 950: «…ipse insule de flumicello, et in Quarantula…». Sempre nel CDC, documento CXXXXI, anno 1020, troviamo: «…pertinuit in toto bocabulo Tianellu…», testo riguardante una donazione del duca Marino ai suoi discendenti. La località Caseole (Casula) compare nel Catasto Onciario di Itri, vol. I, 2007, a p. LXVII. Nello stesso catasto onciario itrano compare anche Piroli, a p. LXX. Nel Catasto Onciario di Gaeta, tomo I, 2010, compare ancora Piroli a p. 145. Si notano anche altre località con la radice Pir-, quali Pirolillo–Pirolello, p. 148, o Pirolozzo a p. 173.
44 La forma scavia/scaviis è attestata nell’atto di donazione con il quale «Riccardus consul et dux Caietanus» cede a titolo gratuito al popolo gaetano, oltre all’edificio della curia, anche tutte le relative pertinenze, compresi «…tota ipsa scavia iusta litus maris posita» e «…omnes vero tam vineis quam scaviis una et enim cum tota ipsa prenominata curia in plagia publica posita», CDC II, doc. CCCXI, anno 1127. La forma è facilmente avvicinabile alla forma scariis, presente in tutto il Mediterraneo, comprese le repubbliche marinare di Amalfi e Genova.
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