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«Studi Cassinati», anno 2022, n. 3
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di Costantino Jadecola
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Il Primo dopoguerra, quello seguito alla Grande guerra, fu, come di solito accade, più sconvolgente della guerra stessa: l’Italia piangeva i suoi 600mila morti mentre le finanze dello Stato erano ormai allo stremo. Chi era stato in guerra aveva difficoltà a reinserirsi nella normalità di una vita alla quale non si era più avvezzi, peggiorata da ristrettezze, stenti ed umiliazioni – oltre che da una pandemia, la spagnola – e, specie nelle campagne, con le agitazioni sociali che erano all’ordine del giorno. Quanto alla provincia di Frosinone, a quell’epoca ancora divisa nei due circondari di Frosinone (Roma) e Sora (Caserta), essa vantava una popolazione complessiva di 414.414 abitanti. Dei circa 14.000 che erano partiti per il fronte, almeno 4.600 non avevano fatto ritorno a casa perché vittime della guerra mentre altri, sui 1.800, tornarono ma con gli evidenti postumi bellici impressi sul proprio corpo.
Insomma, «i soldati che tornano dal fronte per la maggior parte contadini, operai e artigiani, si trovano nuovamente di fronte agli stessi problemi che avevano lasciato per andare a combattere: contratti feudali vecchi di secoli nelle campagne e supersfruttamento nelle fabbriche mentre i ceti urbani sono colpiti dallo spettro della disoccupazione e dall’indigenza per il forte rincaro dei viveri e dei beni di prima necessità»1.
Forse per cercare di porre un freno a tale stato di cose c’era stato un deputato di Atina, Achille Visocchi, che nel governo Nitti era stato ministro dell’Agricoltura, il quale si era fatto un nome per aver emanato «un discusso e presto disapplicato decreto»2, quello del 2 settembre 1919, n. 1633, altrimenti noto come “decreto Visocchi”, con il quale si dava ai prefetti la facoltà di assegnare ai contadini delle campagne centro-meridionali organizzati in associazione o ad enti legalmente costituiti con un occhio di riguardo alle associazioni dei combattenti, i terreni incolti o mal coltivati, in occupazione temporanea, per un massimo di quattro anni. Ma erano passati già sette mesi da quando il decreto era stato emanato che esso aveva trovato applicazione su appena 3.000 ettari del territorio interessato mentre, intanto, la situazione precipitava e si acuivano i contrasti tra coloni e proprietari terrieri.
Cosa che accadeva, fra l’altro, nella cosiddetta Valle dei Santi e, in particolare, a Sant’Apollinare dove, nel mese di gennaio del 19203, circa 200 soci avevano dato vita ad una Lega tra i contadini dipendente dalla Camera confederale del lavoro di Caserta e aderente alla Federazione nazionale dei lavoratori della terra che il 25 di quel mese poteva beneficiare di un non indifferente supporto da parte dell’avvocato socialista Bernardo Nardone4 che, in una conferenza tenuta nei locali della stessa Lega, «senza dubbio accese maggiormente gli animi e procedette contemporaneamente alla costituzione di una cooperativa agraria. Fallite le prime trattative tra i proprietari e conduttori dei fondi»5 – i proprietari erano «pronti a concedere le richieste circa la mezzadria, il contributo alla semenza e l’abolizione delle prestazioni» ma «mostravano l’impossibilità di addivenire alle altre concessioni», si arrivò al 16 febbraio quando fu proclamato uno sciopero generale: un corteo di almeno 150 persone munito di bandiere rosse si mosse dai locali della Lega per incontrare, appena dopo, un altro corteo formato da almeno altre 200 persone proveniente dalla frazione Giunture, quella, per intenderci, dove il Gari si unisce al Liri dando vita al Garigliano. Ma c’è anche chi parla di almeno 500 persone. A “fronteggiare” la situazione, decisamente critica, c’era il maresciallo dei Reali Carabinieri responsabile della stazione di San Giorgio a Liri, Giovanni De Luca, con quattro carabinieri6, che, quando i due cortei si riunirono, mentre invitava alla calma, fu destinatario di una bastonata in testa – si disse che avesse tentato di strappare una bandiera – che gli procurò una lesione guaribile in oltre 20 giorni; andò meglio al carabiniere Alfredo Ghinelli, anche lui colpito alla testa, ma con una ferita guaribile in 10 giorni. In definitiva la giornata si concluse con la denuncia di 57 persone, undici delle quali assicurate alla giustizia, mentre i più fecero perdere le proprie tracce.
La protesta, ovviamente, non interessa solo i lavoratori della terra ma anche gli operai delle industrie, essenzialmente cartarie, che ancora operavano nel triangolo Isola del Liri-Sora-Arpino, quell’area a suo tempo definita da Matteo De Augustinis la Manchester del sud, oltre che ad Atina e Sant’Elia Fiumerapido, i quali reclamavano salari migliori, una riduzione dell’orario di lavoro e provvedimenti contro il carovita. Le occasioni per ribadire certi concetti beneficiarono di un paio di manifestazioni popolari: quella che si svolse ad Isola del Liri il primo maggio 1919 e l’altra, definita “sciopero internazionalista”, che tra il 20 e il 21 luglio successivo avrebbe come scenario il triangolo industriale lirino e il Polverificio di Fontana Liri quando, seppur «con arresti preventivi che colpiscono sindacalisti, i lavoratori si astengono dal lavoro e partecipano a manifestazioni e comizi»7.
Se «l’industria italiana era cresciuta durante il conflitto grazie alla protezione e alle commesse statali (…) con la fine della guerra le viene a mancare gran parte della domanda, con conseguenze tuttavia diverse per le grandi e per le piccole e medie imprese»8. Ne consegue che, se i grossi «possono continuare nella loro politica di espansione (…) per molte piccole e medie aziende, la conversione dell’economia di guerra in economia di pace significa la chiusura o, quanto meno, un forte calo dell’attività e della manodopera» con la conclusione, nella gran parte dei casi, di un ritorno dei lavoratori alla terra dopo esperienze decisamente migliori.
Un caso emblematico è quello della cartiera Visocchi di Atina i cui operai «intristiscono (…) tra fatiche snervanti e compensi irrisori» tant’è che il sistema sembra addirittura ripiombato in «pieno medio evo»9 al punto che l’on. Achille Visocchi viene addirittura preso a sassate durante una sua visita in cartiera. Ne consegue che il 15 giugno ad Atina, «davanti ad alcune centinaia di persone, Ettore Valente (avvocato socialista che fu anche Sindaco di Isola del Liri, nda) incita ad organizzarsi per porre fine ai salari di fame e allo sfruttamento continuo nelle fabbriche e nei campi10 e pone le basi di un focolaio socialista nel feudo moderato controllato dal ‘visocchismo’». Il successivo sciopero (21 luglio) è caratterizzato da una grossa partecipazione; è, invece, addirittura unanime fra le maestranze del Polverificio di Fontana Liri11.
«È fuor di dubbio che la caratteristica, il ‘fattore nuovo’ delle lotte operaie del ‘biennio rosso’ è costituito dal loro generalizzarsi, coinvolgendo non solamente i settori industriali più consistenti o le categorie più sindacalizzate, ma tutti: dai cartai ai vetrai, agli edili, ai tessili, dai meccanici ai contadini, la grande industria come la media e la piccola».
Il 14 marzo 1920, ricorrenza centenaria della nascita di Vittorio Emanuele II, viene dichiarato festa nazionale e si dispone, perciò, di esporre la bandiera sugli edifici pubblici ed anche di attivare «le luminarie di uso». Questa è la disposizione. Ma alle 10,45 di quel giorno da Aquino parte un telegramma indirizzato al sottoprefetto di Sora estremamente esplicito: «Autorità locale rifiutano inalberare bandiera non ritenendo festa nazionale. Firmato Corpo musicale»12. Una decisione che non è errato definire clamorosa e che, in assenza di altri stimolanti particolari, è difficile da commentare e arduo da inquadrare.
Come pure si ignora se in quel primo scorcio del 1920, la Lega dei contadini di Aquino avesse già dato vita a qualche clamorosa manifestazione di protesta del tipo di quella messa in atto il mattino dell’11 aprile successivo – che, viste le adesioni, non è errato definire di massa – e così sintetizzata dal prefetto di Caserta Domenico Caruso nel telegramma al ministero dell’Interno: «500 contadini della Lega di Aquino con bandiera condotti da tal Conte Domenicantonio vice segretario Lega invasero quel municipio espellendone impiegati e chiusi locali consegnarono chiavi Comandante Stazione dei RR. CC. reclamando allontanamento attuale Amministrazione. Stessi individui poi imposero ottennero sospensione lavoro opificio Pelagalli senz’altri incidenti. Sul posto inviato Funzionario P.S. con carabinieri. Riservomi riferire»13.
Intanto ciò che era accaduto a Sant’Apollinare, cioè l’accordo per «una migliore divisione dei prodotti», si ripropose, oltre che a Sant’Ambrogio sul Garigliano, a Sant’Andrea del Garigliano e a Vallefredda14, a Cassino, dove «i lavoratori minacciarono violenti disordini, galvanizzati anche dalle dimostrazioni di carattere anticlericale avvenute tra il 20 e il 21 giugno contro l’abate di Montecassino, che aveva proibito di tenere una processione religiosa»15, a Roccasecca ed Alvito con l’apertura di vertenze finalizzate alla conquista di nuovi contratti; alcuni giorni dopo la protesta investe i comuni di Villa Santa Lucia e Piedimonte San Germano per concludersi appena dopo mentre, tra il 5 e il 15 di luglio, nuovi patti vengono sottoscritti ad Alvito, Arpino, Atina, Roccasecca, Cassino e San Donato Val Comico al punto che l’«Avanti!»16 può orgogliosamente parlare di «vittoria dei contadini a Cassino».
Ancora quel 15 luglio, viene trovato ucciso, nelle vicinanze dell’abitazione del padrone, Gioacchino Evangelista, fondatore della Lega dei contadini di Cassino; sempre in quei giorni, è vittima di un aggressione Luigi Selmi segretario della Federterra; dieci giorni dopo, Isola del Liri ospita un congresso delle Leghe – dove si ribadisce «l’esigenza di promuovere la costituzione di cooperative agricole»17 – che si conclude con un «imponentissimo corteo» definito dall’«Avanti!»18 «una prima affermazione del risveglio meraviglioso dei contadini del circondario di Sora».
È, invece, l’11 agosto quando, come telegrafa il prefetto di Caserta al ministero dell’Interno, «Lega contadini Aquino, sfondata porta campanile suonando stormo campane raccolse leghisti in numero di circa 400 persone portaronsi masseria proprietario Testa Giuseppe pretendendo con violenza spartizione granone con i fittaiuoli proprietario sopraffatto violenza cedette imposizione senza altre conseguenze. Inviato funzionario e adeguato rinforzo carabinieri per stabilire ordine pubblico affermare rispetto leggi e proprietà privata procedendo contro eccitatori e responsabili reati, riservomi ulteriori notizie»19.
Forse furono proprio i molti arresti seguiti all’assalto al casino Testa – cui peraltro ne seguirono altri, tra cui quello al “casino di Bòcce” – ed in particolare quello di Pasquale Pagliuca, che era il vice presidente della Lega, a suscitare la vibrata protesta dell’avv. Bernardo Nardone, segretario della Camera del Lavoro di Cassino, manifestata anche nel corso di un comizio tenuto ad Aquino20 che, peraltro, non dovette essere l’unica manifestazione del genere se, riferendosi a «quello del 29 agosto, ore 19» il prefetto di Caserta, nell’informarne il ministero dell’Interno, parla di «altro comizio pubblico partito socialista per protesta arresti noti leghisti» avvenuto, però, «senza prescritto preavviso», motivo per il quale, precisa il prefetto, «saranno denunziati oratori e promotori sensi art. 1 legge P.S.»21.
Il 19 agosto i leghisti di Aquino aderiscono allo sciopero generale indetto dalla Camera del lavoro di Cassino a seguito sia degli «sfratti contro i contadini iscritti alla Lega» che degli incendi di covoni di proprietà degli stessi «bruciati dagli avversari senza che quest’ultimi vengano menomamente disturbati dalle autorità»22. Il motivo, forse, per il quale il 12 settembre successivo l’avv. Nardone torna di nuovo ad Aquino per tenere un altro comizio.
Ma al di là di queste manifestazioni prettamente locali, i leghisti aquinati hanno l’opportunità di mettersi in luce specialmente durante i lavori del congresso socialista di Terra di Lavoro svoltosi a Roccasecca tra il 7 e l’8 novembre di quell’anno. Nei rapporti al ministero dell’Interno del prefetto di Caserta si legge, infatti, che «non oltre 400 contadini leghe Aquino e Roccasecca, con bastoni e bandiera rossa, tentarono entrare comune Roccasecca, ove sventola tuttora al palazzo municipale tricolore nazionale. Per evitare conflitto con circa 200 ex combattenti riuniti quella piazza, forza pubblica impedì entrata nel paese ai leghisti che allontanaronsi»23.
Il primo giorno, infatti, il congresso si svolge presso l’aula consiliare del comune, allora, come oggi, ospitato nell’antico palazzo Boncompagni. Poi, però, essendosi verificati alcuni incidenti ed essendo stata esposta dai congressisti la bandiera rossa al balcone del municipio, l’autorizzazione ad utilizzare l’aula viene revocata cosicché, per il prosieguo dei lavori, gli organizzatori sono costretti a spostarsi presso i locali dell’albergo di proprietà di Pasquale Mattia, nelle vicinanze della stazione ferroviaria.
Ma accade anche che, «durante la notte del 7 ed 8 corrente», come si legge nella relazione inviata dal prefetto di Caserta al ministero dell’Interno, «l’autorità informata che i cittadini di Roccasecca si preparavano ad opporsi, anche con violenza, in caso di ritorno dei congressisti nel centro abitato e che i socialisti facenti parte del Congresso, a loro volta, modificando la precedente decisione, avevano invitato i componenti della Lega socialista dei contadini del comune di Aquino a spalleggiarli nel loro ingresso a Roccasecca, provvide a far trovare colà altro funzionario di P.S., il capitano comandante la Compagnia carabinieri di Sora, nonché altro rinforzo allo scopo di evitare l’urto fra le parti in contesa, conoscendosi anche per antiche rivalità campanilistiche che i Roccaseccani non avrebbero, senza distinzione di partito, tollerata la presenza dei naturali di Aquino.
«Ad insistenza dell’ing. Bordiga24, anche lui componente il Congresso, e nonostante l’avviso contrario di tutti gli altri, fu organizzato un corteo al quale presero parte i congressisti e 300 contadini di Aquino, armati di bastoni. Il corteo stesso si diresse verso Roccasecca allo scopo di insediarsi con la forza nella sede comunale, ma all’entrata del paese i funzionari di P.S. e gli ufficiali dell’Arma fecero rilevare ai congressisti l’imprudenza dei loro propositi ed i congressisti stessi, ritenendo giusto quanto venne loro prospettato si allontanarono senz’altro e, riunitisi in detto albergo, presso la stazione ferroviaria, chiusero il Congresso senza ulteriori inconvenienti»25. Tuttavia, quanto era accaduto finì in Parlamento a seguito di una interrogazione dell’onorevole Vittorio Lollini cui il 7 dicembre 1920 rispose il sottosegretario di Stato per l’interno Camillo Corradini.
In un clima di forte tensione sociale si arriva alle consultazioni amministrative del 1920 che si svolgono a scaglioni tra settembre e l’inizio di novembre. Grande ma non inatteso è il successo sia dei socialisti che della Lega dei contadini.
Decisamente più dettagliato è il resoconto di un giornale del tempo del quale, però, non si conosce la testata, su un altro episodio verificatosi ad Aquino: «La Lega dei contadini numerosa di oltre 300 soci, sì è recata a bandiera spiegata sotto la casa municipale, costringendo gli impiegati comunali ad andar via e chiuse le porte dette le chiavi al maresciallo dei carabinieri dichiarando che alla sua volta le avesse consegnate al R. Commissario che si voleva fosse venuto da Caserta. Dopo del Municipio presero le chiavi dell’ufficio del dazio e dell’Annona e le consegnarono allo stesso maresciallo, che per esser solo in Caserma fece benissimo ad accettarle. Nel ritorno che la Lega fece alla sede sociale si emisero abbassi ed evviva tutti significativi. La Lega in corpo si portò alla locale cartiera paglia per dichiarare a chi la gestisce di aumentare agli operai la mercede giornaliera sotto minaccia di sciopero. Passando i leghisti cacciarono da sotto i portici del tempio di S. Maria della Libera una carovana di zingari che ivi aveva fissata la dimora. Pel ritorno in Aquino del concerto cittadino, che si era recato in un paese vicino, si organizzò una seconda dimostrazione che per puro miracolo non degenerò in un eccidio. Iersera vi furono alcuni colpi di revolver sparati non si sa per qual motivo e l’arresto di due o tre persone, ma gli arresti non furono mantenuti. Mentre scrivo», riferisce, preoccupato, l’anonimo cronista, «si è improvvisata una grande dimostrazione sotto il municipio che ieri mattina venne riaperto e guardato da buon numero di carabinieri. Speriamo che finisca bene».
Due giorni dopo il prefetto Caruso con un altro telegramma indirizzato al ministero dell’Interno, chiarito che la dimostrazione dell’11 aprile «trae origine da avversione a quella Amministrazione Comunale» ed anche «da soprusi ad opera qualche impiegato», riferisce che quella stessa mattina «circa 500 persone rinnovarono dimostrazione chiedendo dimissioni Amministrazione e allontanamento impiegati colpevoli. Intervento Carabinieri ha impedito invasione municipio e violenze. Provvedo per scelta persona adatta reggere sorte comune ricondurre calma»26.
Un altro “assalto” al municipio di Aquino viene segnalato all’inizio del mese di giugno sempre di quel 1920 quando circa 300 contadini «riunitisi improvvisamente», dopo aver saputo che presso la sede comunale era in corso una riunione di proprietari terrieri, ne approfittarono per avanzare le loro richieste che ebbero una positiva, anche se imposta, accoglienza, addirittura da parte «di alcuni proprietari dissenzienti»27.
Sempre ad Aquino, dove si ritiene si sia votato domenica 26 settembre, dal ritaglio di un giornale del tempo28 si legge che «nelle elezioni comunali ha completamente trionfato la lista portata dalla Lega dei Contadini». Il nuovo sindaco è «il sovversivo», come lo definiscono i rapporti di polizia, Pasquale Pagliuca che «con la sua propaganda in favore dei leghisti riuscì ad averli compatti alle elezioni». Sta di fatto che, a caldo, si meritò gli elogi dell’on. Vittorio Lollini che, scrive lo stesso giornale, «giunse qui in automobile» ed «al municipio tenne un breve e applaudito discorso»29.
L’elezione a sindaco di Pasquale Pagliuca segna l’ascesa al vertice del potere pubblico locale di un personaggio in auge nell’Aquino di quegli anni forse anche per via del fatto di qualificarsi anarchico cosa, questa, che sicuramente mitizzò la sua figura ma gli procurò anche non poche attenzioni da parte delle autorità di pubblica sicurezza che sin dal 3 maggio 1915 lo avevano messo “sotto osservazione”. Iscritto al partito anarchico di Ancona, «si vuole che in passato sia stato in corrispondenza epistolare col noto anarchico Malatesta» e che per un certo periodo abbia ricevuto il giornale anarchico «La Volontà» oltre a «foglietti volanti sovversivi». Infatti, si legge sempre nel riferito “cenno biografico”, «fin da quando frequentava le scuole, coltivava idee sovversive, idee che manifestò pubblicamente dopo gli avvenimenti del giugno 1914 in Ancona (settimana rossa)», al punto da farlo ritenere «coimplicato» insieme a Raffaele Valente ed all’avv. Gaetano Di Biasio in un supposto complotto contro il re.
Ed arriviamo a quello che è sicuramente il più grave episodio verificatosi in quegli anni nel Cassinate. Era il 13 dicembre 1920, un lunedì, e ad Aquino, secondo un’antica tradizione, si festeggiava Santa Lucia.
Se, fino a sera ormai inoltrata, il tempo trascorse nella ordinaria consuetudine di una giornata di festa, a un certo punto della serata, invece, qualcosa cambiò radicalmente il corso degli eventi. Ma cosa?
È voce comune che a causare quella svolta sia stata la contrastante richiesta avanzata da esponenti socialisti da un lato e nazionalisti dall’altro, gli uni a pretendere che a conclusione del concerto la banda suonasse Bandiera Rossa o l’Inno dei lavoratori, gli altri, invece, la Marcia reale.
Pare che siano state proprio queste richieste, esaudite o meno poco conta, a trasformare quella serata di festa in una serata di sangue anche se, secondo altre fonti, l’origine del tutto dovrebbe, piuttosto, farsi risalire ad una “provocazione” messa in atto da alcuni reduci della Prima guerra mondiale che a un certo punto del concerto avrebbero preso a lanciare dei “vriccigli” (sassolini) verso i musicanti ed i loro strumenti, disturbandoli così nell’esecuzione dei brani.
Sta di fatto che il presumibile “tafferuglio” che ne nacque – ma è solo un’ipotesi – dovette assumere dimensioni tali «che i tre Carabinieri di servizio ed un appuntato della Guardia di Finanza»30 presenti allo scontro non sarebbero stati in grado di ristabilire la calma31 cosicché uno dei tre si sarebbe recato in caserma, che a quel tempo era ubicata in via San Tommaso (poi via Cavour ed oggi via mons. G. B. Colafrancesco), per informare di ciò che stava accadendo il maresciallo Saverio Di Palma. Ma nemmeno l’intervento di questi sarebbe stato in grado di placare gli animi. Anzi, oltraggiato da Alfredo De Cesare, un muratore ventiquattrenne appartenente al Fascio combattenti, Di Palma non esitò ad arrestarlo. Durante la sua traduzione in caserma, si suppone all’altezza del Seminario, i carabinieri sarebbero stati «raggiunti da oltre 50 persone, maggioranza socialisti, scopo impadronirsi arrestato, parte armata bastoni, che minacciarono e colpirono militari stessi»32: il carabiniere Antonio Di Nuzzo, nativo di Riardo, riportò lesioni al viso guaribili in dieci giorni mentre l’altro, Antonio Parisella, un ausiliario nativo di Fondi, fu destinatario di «un colpo di bastone tirato violentemente da tal Fusco Costanzo, latitante»33, che gli procurò la frattura dell’«osso nasale» poi giudicata guaribile in venti giorni, con riserva. Ma Costanzo Fusco, esponente di rilievo dei socialisti locali, che motivo aveva di aggredire i carabinieri? Non certo quello, è lecito supporre, di favorire la liberazione di De Cesare. E, allora, perché agì come agì?
Ma leggiamo il prosieguo del primo rapporto del prefetto di Caserta al ministero dell’Interno: «Arrestato (cioè De Cesare, nda) fu tradotto camera di sicurezza ed intanto folla, fattasi sempre più minacciosa, tentò più volte assalire Caserma e da taluni si esternò proposito incendiarla. Maresciallo Di Palma, visto grave pericolo, unitamente carabinieri Di Nuzzo Antonio e Parisella Antonio (quello che, secondo la stessa fonte, era stato ferito all’«osso nasale», nda) armatisi moschetto, uscirono fuori caserma. Ma, appena fuori della porta, partirono dalla folla due colpi rivoltella sparati da persona rimasta finora sconosciuta, andati a vuoto. Seguito a ciò, predetto Maresciallo, visto pericolo gravissimo ed il sicuro assalto alla Caserma, esplose contro folla 3 colpi moschetto e Carabinieri anzidetti 6 colpi ciascuno a pallottola, a brevissima distanza. In seguito a ciò folla diedesi alla fuga. Rimase ucciso Gazzellone Gennaro fu Pietrantonio, anni 35, da Roccasecca, operaio, qui domiciliato, pregiudicato, ex disertore. Vi furono cinque feriti gravi, uno dei quali Insardi Francesco di Giuseppe, d’anni 18, è deceduto prime ore stamane. Indagasi per identificare autori violenza ed accertare responsabilità»34.
Sono momenti di terrore. C’è da precisare, però, che i carabinieri appostati alle finestre sparavano anch’essi. Ma in aria, disattendendo, a ragione, le disposizioni del maresciallo.
Quelli che stanno in strada, colti di sorpresa da quella assurda, inconsulta e violenta reazione, subito si diradano cercando scampo dove possono; chi, invece, per puro caso si trova da quelle parti, forse anche ignaro di ciò che sta accadendo, non ha nemmeno il tempo di sorprendersi.
A sentire i testimoni, il maresciallo Di Palma sembrerebbe quanto mai accanito in una difesa che non avrebbe ragione alcuna di essere perché priva di controparte. I colpi volano ad altezza d’uomo e mietono vittime: Francesco Insardi, 18 anni35, muore nelle prime ore del giorno dopo. Le sofferenze di Gaetano Rea, 56 anni, si protrarranno, invece, per un giorno ancora.
I feriti, poi: Luigi Venditti, non ancora 10 anni; Giuseppe Iadecola, figlio di Tommaso, che, ricorda Rocco Evangelista, «viste le sue condizioni, quella notte stessa lo portammo alla stazione di Roccasecca per mandarlo a Roma all’ospedale. E pensare che stava per partire militare»36; Orazio Rea, infine, che il segno di quel proiettile si è portato dietro per il resto della vita: «Passai parecchi guai. Dovevo essere operato al Policlinico, a Roma. Ma poi non fui operato più perché si trattava di un tipo di pallottola a mitraglia che gli austriaci chiamavano ‘dum dum»37, cioè un tipo di proiettile «ad esplosione» privo di carica esplosiva all’interno che, però, sfruttava il principio dell’espansione.
Se questa è, come dire, la versione ufficiale, essendo stata in buona parte desunta dai rapporti del prefetto di Caserta al ministero dell’Interno, secondo la tradizione orale, invece, a seguito del “tafferuglio” scoppiato a margine del concerto bandistico in piazza Pasquale Pelagalli, oltre a De Cesare, sarebbero state tradotte in caserma anche altre persone: pare Bernardino Conte e Felice Capezzone.
La notizia ha il suo giusto rilievo sui giornali che riferiscono, ovviamente, ciò che si dice nei rapporti di polizia. Chi si discosta da questa linea è l’«Avanti!», organo del partito socialista, che dell’accaduto offre una sua personale interpretazione38.
Tra gli altri che vengono nell’immediato a rendersi conto dell’accaduto è il già ricordato avv. Bernardo Nardone dal quale onestamente ci si sarebbe attesa una presa di posizione da par suo. Invece, sotto la data del 14 dicembre, egli nel suo diario si limita appena ad annotare di essere andato con Di Mambro (esponente socialista di Cassino, nda) ad Aquino.
Dell’eccidio viene investito anche il governo a seguito di una interrogazione presentata dai deputati Vittorio Lollini, Oddino Morgari, Luigi Mascagni e Domenico Marzi, cui il 21 febbraio 1921 risponde il sottosegretario di Stato per l’interno Camillo Corradini in un intervento che, per certi versi, sembra discostarsi nei contenuti da quelli che sono stati i rapporti della prefettura di Caserta al ministero dell’Interno. Mentre del processo che s’interessò a quel tragico avvenimento non si ha traccia delle conclusioni alle quali giunse.
Il primo marzo 1921 si costituisce a Cassino il Fascio di Combattimento con la squadra di azione comandata da Alberto Pegazzani ed intitolata a Enrico Toti che nel corso di quell’anno avrebbe partecipato a 3 azioni (Cassino, Sant’Angelo in Theodice e Sant’Apollinare) e ad altrettante in quello successivo (Santa Maria Capua Vetere, Sant’Elia Fiumerapido e San Giorgio a Liri)39.
È il 24 aprile 1921 quando in una trattoria di contrada Ponte Olmo, a Sora, l’ufficiale giudiziario Giuseppe Marzano, «fervente nazionalista, fu mortalmente ferito con colpi di sgabello da quattro uomini di fede politica avversa. La morte di Giuseppe Marzano, secondo il prefetto Domenico Caruso, aveva prodotto nella cittadinanza una viva inquietudine da cui sarebbero potute scaturire imprevedibili conseguenze. La mattina del 26 aprile, in un atto di rappresaglia, ventiquattro giovani nazionalisti della squadra romana dei Sempre Pronti per la Patria e per il Re devastarono la sezione socialista di Sora»40. Alcuni giorni dopo, invece, il 30 aprile, «durante la campagna elettorale per le elezioni politiche, il leader nazionalista Paolo Greco e l’onorevole Achille Visocchi arrivarono ad Alvito in gran pavese. Dal corteo si staccarono alcuni facinorosi che, fermatisi davanti alla sezione del Psi, tolsero l’effigie di Lenin dandole fuoco. Poco dopo, altri manifestanti pretesero dal sindaco socialista, Romeo Gentile, la bandiera rossa, immediatamente bruciata. Nel pomeriggio Greco e Visocchi andarono a San Donato Val di Comino, accompagnati da scherani che invasero il municipio consumando atti di pura violenza» così come il primo maggio, sempre a Sora, Paolo Greco e Fulco Tosti di Valminuta furono protagonisti di «un agitatissimo comizio» conclusosi con violenti trambusti41.
Intanto si viene a sapere che ad Arpino la vita è «sconvolta dai continui alterchi provocati dai fascisti, quasi tutti studenti, capeggiati dall’avvocato Francesco Di Fazio», e tra i quali «uno dei più accesi era il giovane Augusto Pelagalli», tant’è che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giovanni Porzio, il 4 maggio 1921 scrisse al ministero dell’Interno, per richiamare l’attenzione sui fatti di Arpino, «dove squadre di giovanetti armati intimoriscono i cittadini e provocano disordini»42.
Dal Bollettino dell’Ufficio Stampa dell’Ani, Associazione Nazionalista Italiana43, si apprende che nel luglio 1922 sezioni sono in via di costituzione ad Atina e a Pontecorvo – quest’ultima verrà inaugurata il 15 ottobre – mentre quelle di Roccasecca e di Coldragone «sono state visitate dall’infaticabile deputato nazionalista della circoscrizione On. Paolo Greco».
Lo stesso Paolo Greco che il 3 agosto 1922 scrive al capitano Aurelio Padovani, uno dei leader del fascismo campano, per sollecitare un’aggressione da compiere «per debellare il centro bolscevico di Isola Liri» precisando che «questa notte dal 4 al 5 agosto i Sempre Pronti Nazionalisti in forze faranno un’operazione contro la camera del Lavoro e il Municipio di Isola Liri. Occorrono 50 fascisti per fare operazione insieme. Spese tutte a nostro carico. Devono partire da Napoli alle 16,40 e arrivare a Roccasecca Scalo dove si fermeranno e troveranno gli autocarri necessari per il trasporto a Isola Liri. Il capitano Panzera, comandante dei Sempre Pronti per la Campania, sarà a Roccasecca per le disposizioni. Confido sul tuo alto senso di patriottismo e sulla tua buona amicizia»44.
Dal canto loro, i fascisti di Aquino, per soddisfare il desiderio di alcuni proprietari terrieri, starebbero approntando una spedizione punitiva contro i contadini che durante la trebbiatura avevano bruciato dei covoni di grano e assalito i magazzini: lo segnala, il 20 settembre, il prefetto di Caserta Igino Coffari al ministero dell’Interno45.
Intanto, dal 3 al 5 ottobre 1922 ha luogo a Caserta il secondo congresso provinciale del PNF cui sono presenti duecentocinquanta fascisti provenienti da tutta la provincia – la sub-federazione del circondario di Sora è rappresentata da Adolfo Graziani, Michele Arpino e dal segretario politico Gioacchino Baisi – in previsione di quello di Napoli dove, tra il 24 e il 26 ottobre, decine di migliaia di camicie nere si riunirono in un raduno che doveva servire da prova generale e nel corso del quale Mussolini fu molto chiaro: «O ci daranno il governo o lo prenderemo calando a Roma».
Arriviamo così alla «marcia su Roma», un riuscito bluff46 giocato da Mussolini, il quale assistette da Milano all’evolversi della situazione per arrivare nella capitale a cose fatte. Capeggiata dai quadrumviri Balbo, Bianchi, De Bono e De Vecchi, la «marcia» iniziò il 26 ottobre, con Perugia come quartiere generale dell’iniziativa. Il 27 ottobre circa ventimila camicie nere partirono da Santa Marinella, Tivoli, Monterotondo e dal Volturno e, requisendo convogli ferroviari, si diressero verso la capitale, difesa da 28.400 soldati.
Uno dei “posti di blocco” divenne Valmontone. «‘Le squadre – scriveva Giorgio Alberto Chiurco47 – nella notte dal 27 al 28, parte in treno, parte in camions, parte a piedi, raggiungono Valmontone ove era stato ordinato il concentramento, onde sorvegliare le provenienze da Napoli e Roma, sulla Casilina e sulla ferrovia’. In realtà nessun concentramento era previsto a Valmontone dove invece vigilavano, all’interno della stazione, un distaccamento del Genio ferrovieri e un certo numero dei Reali Carabinieri che bloccarono senza problemi la “marcia” dei fascisti del basso Lazio verso la capitale. Scriverà a questo proposito Antonino Repaci48: ‘Non si rese necessaria l’interruzione perché i 1.500 fascisti giunti per ferrovia, in ottemperanza all’ordine del comandante discesero volontariamente dal convoglio’»49.
E proprio qui, fra gli altri, giunsero anche i fascisti del basso Lazio, i quali si presentarono al sindaco della città, Vittorio Simeoni, che era anche presidente della Lega dei Contadini, chiedendo con la forza da mangiare e da dormire. «Il Sindaco, costretto ad ubbidire, fece il giro di tutti i forni e di tutte le pizzicherie del paese, mentre per farli dormire requisì le scuole, che all’epoca si trovavano nel palazzo comunale, ed alcuni locali del Palazzo Doria. Quando i fascisti lasciarono Valmontone, il paese si ritrovò con un debito di 100.000 lire con gli alimentaristi, senza calcolare i danni materiali»50. Ma non fu l’unico problema. Infatti, quanto all’ospitalità, «il Comando prese posto nel Palazzo Doria Panfili mentre la truppa trovò ricovero nei granai della residenza del principe»51.
A Caserta, intorno alle ore 23,40 sempre di quel 27 ottobre, mentre si era in attesa della partenza dello speciale convoglio per Roma, echeggia uno scoppio formidabile. Dopo l’iniziale smarrimento provocato dall’esplosione, mentre vetri e calcinacci ancora cadevano, gli squadristi con il loro capo Armando De Biasi si precipitarono all’interno della stazione dove uno spettacolo terribile si presentò ai loro occhi. Il sedile dove era seduto il diciottenne squadrista Marcellino D’Ambrosa, uno dei “lupi del Matese”, era «divelto, sfasciato e, a qualche metro dal posto, in un angolo della sala in mezzo a calcinacci, c’era il corpo del disgraziato inerte, con i vestiti a brandelli, squarciato dallo scoppio», ovvero vittima di una delle bombe a mano che portava con sé. Inoltre, «furono raccolti gravemente feriti: il maggiore Mario Sordi fascista, Pietro Bianchi soldato del 20 artiglieria, Marco Visconti soldato 158° fanteria, Francesco Messeri fascista di Caserta, Luigi di Caprio fascista d’Alife»52.
Alle 6 del mattino del 28 ottobre 1922 il governo dichiarò lo stato d’assedio, ma il re si rifiutò di controfirmarlo e Luigi Facta, che presiedeva il governo, si dimise. Intanto, mentre le camicie nere entravano nella capitale, minacciando di occupare i ministeri, Mussolini, che era a Milano, fu convocato dal re. Partirà il 29, intorno alle 20, viaggiando in treno, in un vagone letto, e giungerà a Roma intorno alle 11 del 30 ottobre quando il re gli conferirà ufficialmente l’incarico di formare un nuovo governo di coalizione.
«Solo dopo (…) Mussolini si ricordò delle sue camicie nere» che, «un po’ forse inviperiti della lunga attesa sotto l’acqua, un po’ per salvare la faccia della ‘marcia rivoluzionaria’, si diedero a provocare gli operai del quartiere San Lorenzo, dove ci furono una dozzina di morti. Mussolini impartì alla polizia e all’esercito ordini severissimi d’impedire a qualunque costo altri tumulti. Gli scalmanati se la rifecero soprattutto con gli alberghi, le trattorie, i caffè, le taverne, i bordelli dove gozzovigliarono tutta la notte senza pagare il conto. L’indomani sfilarono sotto il Quirinale. Dove il Re li salutò dal balcone (…). La sfilata durò sei ore. Poi, su ordine di Mussolini, i marciatori vennero avviati alla stazione e rispediti alle sedi di origine. La rivoluzione era finita. O, meglio, non era mai cominciata»53.
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NOTE
1 M. Federico, Il “Biennio rosso” in Ciociaria 1918-1920, E.D.A. Frosinone 1985.
2 S. Casmirri, I volti del potere provinciale: affari e politica in Terra di Lavoro prima e dopo l’unità, in Ead. (a cura di), Le élites italiane prima e dopo l’Unità: formazione e vita civile. Caramanica Editore, Marina di Minturno 2000, p. 84.
3 Quel mese, a Sant’Apollinare, i proprietari cav. Giuseppe Renzis, avv. Teodoro Triglione, arciprete d. Virgilio Mignacca, arciprete d. Palmerino Capraro, domiciliato in S. Ambrogio sul Garigliano, Michele Neri, Federico Di Clemente e Vincenzo Sanni e i contadini Francesco Del Maestro, Angelo Del Maestro, e Giuseppe Simeone sottoscrissero una bozza per un nuovo patto colonico (Cfr. Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione Generale di Pubblica Sicurezza, Divisione Affari Generali e Riservati, anno 1920 (Ci), b. 63, fs. 214 Caserta e provincia, agitazione agraria).
4 R. Fraioli, Bernardo Nardone un rivoluzionario di Terra di Lavoro, Arce, 1999.
5 A. C. S. Ministero degli Interni, Direzione Generale Pubblica Sicurezza. Divisione Affari Generali, 1920, busta 63, fascicolo 214 Telegramma del prefetto di Caserta al Ministero dell’Interno del 18 febbraio 1920. Anche per le successive citazioni, ove non diversamente indicato.
6 I rinforzi – 100 uomini di truppa e 9 carabinieri, agli ordini del vice commissario Luigi Carulli dell’ufficio di Pubblica Sicurezza di Gaeta – richiesti dal Sindaco di Sant’Apollinare, sarebbero giunti solo nel pomeriggio del giorno successivo.
7 L. Fabi – A. Loffredi, Cronache proletarie di lotte, successi e sconfitte. Ciociaria 1919-1922, Spi/CGIL Frosinone e Latina, 2022, p. 41.
8 A. Martini, Biografia di una classe operaia. I cartai della Valle del Liri (1824-1924). Bulzoni Editore, Roma 1984, pp. 123-124, anche per le successive citazioni, ove non diversamente indicato.
9 Questioni operaie, in «Il Volturno», 22 giugno 1919.
10 Atina. Un comizio in piazza, in «Il Volturno», 22 giugno 1919.
11 Fra le maestranze del Polverificio sul Liri, in «Avanti!», 22 gennaio 1919.
12 A. S. Ce, Prefettura Gabinetto, b. 162, f. 1681.
13 A. C. S., Ministero dell’Interno, Direzione generale della Pubblica Sicurezza, Affari generali riservati 1920, b. 63, f. Caserta Telegramma del prefetto di Caserta al ministero dell’Interno del 12 aprile 1920.
14 Dal 1932 Vallemaio.
15 A. Pepe, Le origini del fascismo in Terra di Lavoro (1920-1926), Aracne editrice, 2019, p. 21.
16 6 luglio 1920.
17 M. Federico, Il “Biennio rosso” in Ciociaria … cit., p. 83.
18 4 agosto 1920.
19 A. C. S., Ministero dell’Interno, Direzione generale della Pubblica Sicurezza, Affari generali riservati 1920, b. 63, f. Caserta Telegramma del prefetto di Caserta al ministero dell’Interno del 12 agosto 1920.
20 Ivi, Telegramma del prefetto di Caserta al ministero dell’Interno del 2 settembre 1920.
21 Ibidem.
22 «Avanti!», 20 luglio 1920.
23 A. C. S., Ministero dell’Interno, Direzione generale della Pubblica Sicurezza, Affari generali riservati 1920, b. 63, f. Caserta Telegramma del prefetto di Caserta al ministero dell’Interno dell’8 novembre 1920.
24 Amadeo Bordiga (Resina, 13 giugno 1889-Formia, 23 luglio 1970) fu tra i fondatori e dirigente del Partito Comunista d’Italia (1921-23) e primo aperto oppositore a livello internazionale dello stalinismo (1926).
25A. C. S., Ministero dell’Interno, Direzione generale della Pubblica Sicurezza, Affari generali riservati 1920, b. 63, f. Caserta Telegramma del prefetto di Caserta al ministero dell’Interno del 17 novembre 1920.
26 Ivi, Telegramma del prefetto di Caserta al ministero dell’Interno del 14 aprile 1920.
27 Ivi, Telegramma del prefetto di Caserta al ministero dell’Interno del 5 giugno 1920.
28 «Il Mattino», 1-2 ottobre 1920.
29 Quanto ai risultati di queste elezioni nei 40 comuni del Circondario di Sora le liste liberali ottengono la maggioranza in 23, quelle socialiste in 11, il partito dei combattenti in 3 e il partito popolare in due.
30 A quel tempo la Guardia di Finanza era presente ad Aquino con un proprio presidio ubicato in piazza Pasquale Pelagalli.
31 A. C. S., Ministero dell’Interno, Pubblica Sicurezza, 1920, b. 86, f. 36 Movimento sovversivo in provincia di Caserta.
32 Ibidem.
33 Ibidem.
34 Ibidem. Movimento sovversivo in provincia di Caserta.
35 Era nato il 20 novembre 1902 da Giuseppe, “fabbro ferraro”, e da Clementina Fortuna, “donna di casa” (Archivio storico del Comune di Aquino, Atti di nascita).
36 A. Macioce (a cura di), La notte di Santa Lucia, Video.
37 Ibidem.
38 «Avanti!» 15 novembre 1920. A. XXIV, n. 299. Lo stesso articolo viene pubblicato il 17 novembre 1920, a. XXIV, n. 301.
39 L. Fabi – A. Loffredi, Cronache proletarie … cit., pp. 115-116.
40 A. Pepe, Le origini del fascismo … cit., p. 23.
41 Ibidem.
42 A. C. S., Ministero dell’Interno, Divisione Generale Pubblica Sicurezza, Divisione Affari Generali Riservati, Anno 1921 (Gi Fascio), b. 94, fs. Fascio Caserta e Provincia.
43 Numero 28 del 15 luglio 1922. ACS, MRF, b.49, fs. 119, sfs. 5 PNF Federazione Provinciale di Terra di Lavoro (Caserta) – Fusione Associazione Nazionalista e PNF – 1923, ins. Corrispondenze, Caserta 1922.
44 A. C. S., MRF, b.49, f.119, sfs. 5 PNF Federazione Provinciale di Terra di Lavoro (Caserta) – Fusione Associazione Nazionalista e PNF – 1923, ins. Corrispondenze, Caserta 1922.
45 A. C. S., Ministero dell’Interno, Direzione Generale Pubblica Sicurezza, Divisione Affari Generali Riservati, Anno 1922 (Gi Fascio), b. 118, fs. 4 Aquino.
46 G. Rotondi, Focus, 27 ottobre 2017
47 G. A. Chiurco, Storia della rivoluzione fascista. Volume V, 1922, Firenze 1929, p. 194.
48 A. Repaci, Mito e realtà della marcia su Roma, Roma 1962, p. 5.
49 M. Federico, Frosinone negli anni del Fascismo. L’Archivio della memoria 10, Frosinone 2019, pp. 33-34.
50 https://www.prolocovalmontone.it/it/cenni-storici.
51 L. Fabi – A. Loffredi, Cronache proletarie … cit., p. 218.
52 www.corrierece.it/notizie-cronaca/2012/10/28.
53 I. Montanelli, L’Italia in camicia nera (1919-3 gennaio 1925), Rizzoli Editore, Milano 1976, pp. 188-189.
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