IL FORUM DI CASINUM E LA PORTA CAMPANA

«Studi Cassinati», anno 2023, n. 4

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di

Emilio Pistilli

L’antica Casinum aveva un suo “forum” o piazza per gli affari?

Certamente sì: a confermarcelo sono molteplici fonti.

Le attività e il foro

Dalle fonti storiche e dall’epigrafia sappiamo che gli abitanti di Casinum erano dediti alle attività connesse con l’agricoltura, la pastorizia ed il commercio; ma molto importante era anche l’artigianato: la lavorazione del ferro, la produzione di funi (restiones), dell’olio (caplatores), di canestri in vimini (fiscinae); rinomati erano anche i suonatori in pubblici spettacoli (aeneatores): quasi tutti gli addetti a questi settori erano organizzati in corporazioni, di cui le epigrafi ci danno ampia notizia1.

Non poteva dunque mancare il “foro”, il luogo dove si svolgevano gli affari ed il commercio. Livio e Varrone ci parlano di un forum vetus2 che, secondo l’archeologo Massimiliano Valenti, probabilmente nei tempi più antichi sorgeva all’interno della città3; mentre da nuovi ritrovamenti in località Agnone si potrebbe ubicarlo in quella zona rurale ai piedi dell’antica città. L’appellativo vetus lo porrebbe in relazione con un altro che potremmo considerare novus, forse quello segnalatoci dall’epigrafe della metà del primo secolo d.C. del console Calpurnio Pisone, che ci dà notizia di un foro che era collegato alla città da una strada basolata (vd. ultra).

Questo, anche secondo un’antica tradizione, doveva sorgere in pianura, ai piedi della Rocca Janula, e precisamente sull’attuale “via del Foro”, dove nel medioevo sorse il nucleo della nuova città di S. Germano; il luogo sarebbe stato, secondo quella tradizione, un centro commerciale di notevole importanza, con templi maestosi ed edifici pubblici; numerosi ritrovamenti lo confermerebbero: nel passato la presenza in loco di alcune epigrafi fece ritenere che lì, durante l’Impero, sorgessero una basilica, un tempio della Concordia ed uno di Ercole. La stessa tradizione vuole che tale centro si chiamasse “Eraclea”, ma ciò è tutto da dimostrare.

Ma procediamo con ordine.

Il foro

Di un foro di Casinum si parla già nel III sec. a.C. (a. 212) quando Tito Livio riferisce di un grande sciame di api che si erano posate nel foro4. Non possiamo sapere se lo storico nello scrivere “foro” volesse intendere il classico foro romano con templi ed edifici pubblici o semplicemente una piazza urbana; ma l’esistenza di un foro in Casinum è certa da altra fonte: Varrone ci parla di un forum vetus5. Il problema sorge circa la sua ubicazione: c’è chi lo colloca all’interno della cinta urbana, chi al centro dell’odierna città di Cassino e chi in periferia verso la località Agnone.

Il basolato segnalato da M. Valenti.

L’archeologo Massimiliano Valenti lo colloca nel centro urbano di Casinum – sia pure con qualche dubbio –, esattamente all’interno dell’odierno tornante del teatro romano, dove è venuto alla luce il basolato di una piazza o qualcosa di simile6. Per questo legge l’epigrafe della Porta campana7, di cui si parlerà più avanti, invertendone la direzione: cioè dalla porta al foro, posto all’interno dell’area urbana, mentre, come si vedrà, si preferisce interpretare la direzione verso un foro situato fuori della città.

G. Carettoni, infatti, afferma: «… se gli abitanti dicevano “dalla porta Campana al Foro” si riferivano ad un luogo fuori delle mura, partendo dalla loro posizione dentro di esse; poiché sarebbe stato più logico dire “dal Foro alla porta Campana” se il foro fosse stato nell’interno della città. Ed in quest’ultimo caso, è possibile credere che una via nel cuore di Casinum non fosse ancora pavimentata alla metà del I secolo d. C.? Mentre ciò puó ammettersi per una via che non era neppure la Latina (via è detta semplicemente nell’iscrizione), ma forse una strada di secondaria importanza che univa una delle porte al Foro»8.

Va comunque osservato che una strada di collegamento tra il centro abitato di Casinum, con inizio dalla Porta campana, ed il fondovalle dell’attuale città doveva esserci di sicuro, se non altro per consentire i traffici con i territori collinari e montuosi dell’odierna S. Elia e la Valle di Comino, oltre che la contrada di S. Michele di Cassino, dove è accertata la presenza di ville di epoca romana. Altrimenti non avrebbe avuto senso quella porta.

Conferma tale ipotesi S. Tanzilli – che accetta la tesi di una “via latina nova” entrante nella città di Casinum da una ipotetica “porta romana” –: «Il percorso della via Latina Nova, una volta oltrepassata la porta nord-est (Porta Campana, n.d.r.), con molta probabilità si dirigeva ancora nella stessa direzione, costeggiando a valle o sovrapponendosi all’odierna statale per Montecassino (alcuni muri di terrazzamento a quote differenti e con pendenze parallele, con larghezza tale da contenere la sede stradale, sono visibili a circa 170 mt dalla porta), per raggiungere il centro dell’attuale insediamento urbano di Cassino e, quindi, dirigersi in direzione di Ad Flexum»9.

L’epigrafe di Porta Campana

Ma a questo punto bisogna esaminare l’epigrafe dedicatoria di Calpurnio Pisone, trascritta da Teodoro Mommsen10, relativa ad una “Porta Campana” di Casinum.

                                ………………………………….

                                ………………………………….

                                l · calpvrnio · pisone · Cos

                                ex · c · c · p · p · viam · silice

                                sTernendam · a · porta

                                campana · ad · forvm

                                p · spellivs · p · f · spellianvs

                                sabinvs            Q

                                c · sattivs · c · f · calatro · ii · q

                                c v r a v e r v n T

In essa si fa cenno alla lastricazione di una strada dalla porta Campana al foro.

L’epigrafe ripresa da M. Valenti.
L’epigrafe allo stato attuale.

Nei primi due righi è abraso il nome di Nerone; al 4° rigo si legge: ex c(onscriptorum) c(onsulto) p(ecunia) p(ublica). L’iscrizione fu ritrovata presso l’anfiteatro di Cassino il 12 febbraio 1805 da Erasmo Iannelli durante i lavori di restauro del muro di recinzione della villa situata sull’anfiteatro. Il canonico Vincenzo Mascioli (1765-1827) segnala che ai suoi tempi era ancora negli orti di un certo Fusco. D. Bartolini riferisce di averla vista nel 1827 «fuori dell’abitato, all’entrata della villa Iannelli, in vicinanza de’ Cappuccini»11.

Il sito della Porta Campana.
Il sito della Porta Campana.

Se ne persero le tracce fino al nuovo ritrovamento presso il museo archeologico negli anni 1986-87, a cura di G. Ghini12. La Porta Campana, cui fa cenno l’epigrafe, è identificata a nord-est del museo, al termine di un breve tratto di strada basolata (vd. foto) dove sono visibili gli attacchi di una grande porta13.

A-B-C-D-E-F: tratti emersi di strade selciate – G: ubicazione del foro secondo M. Valenti –
H: la Porta Campana – I: tracciato presunto della strada verso valle indicata nell’epigrafe.

L’epigrafe è attualmente (dic. 2023) posizionata nell’area di ingresso al museo archeologico sul lato destro per chi entra, alla base del muro di recinzione, dietro una panchina in ferro. È in pessimo stato di conservazione a causa delle incrostazioni dovute all’esposizione alle intemperie. Il frammento manca di tutta la parte superiore e quella destra. Dimensioni: altezza del frammento cm. 60 ca; larghezza da cm. 50 a cm.73 ca; spessore cm. 38 ca. Probabili dimensioni originali: cm. 100 in altezza e cm. 120 in larghezza, compresa la fascia di cornice di cm. 10 ca. Visto il retro non lavorato si può dedurne che probabilmente era incastonata in un muro, presso la Porta Campana ovviamente.

L’epigrafe ci informa che nel 57 d. C. fu fatta lastricare, con danaro pubblico, una strada che collegava la Porta Campana al foro: doveva trattarsi di un’opera importante dal momento che si fece un cippo lapideo di notevoli dimensioni per ricordarne la realizzazione; certamente non la via Latina – che alcuni studiosi fanno entrare nelle mura di Casinum – perché al tempo della ricordata epigrafe la via Latina era già sicuramente basolata, visto che lo era anche nel tratto di Interamna; se fosse passata per la città e per la Porta Campana che bisogno c’era al tempo del console Calpurnio Pisone di lastricarla di nuovo?

Far scendere, inoltre, la nuova strada dalla Porta per ricalcare, con un tornante (lett. D), il percorso della via Latina, così come supposto da G. Lena14, significava solo operare un rifacimento, il che era una cosa all’ordine del giorno, non tale, cioè, da richiedere l’apposizione di un’epigrafe.

Allora due sono le possibilità:

a) che la strada per il foro effettivamente scendesse, dopo un tornante, lungo le mura urbane all’esterno, al di sopra dell’anfiteatro, come vorrebbe G. Lena; in tal caso quest’ultimo tratto non sarebbe la via Latina per le ragioni appena dette; inoltre la collocazione del Foro, di cui parla l’epigrafe, sarebbe da ritenere in zona extraurbana.

b) che la strada procedesse, invece, in direzione opposta, cioè verso l’attuale centro urbano di Cassino; in tal modo sarebbe decisamente confortata la tradizione secondo cui il foro di Casinum sorgesse nell’area della chiesa di S. Germano, dove passa, appunto, l’odierna via del Foro; e a riprova ci sarebbe anche il ritrovamento, nel dopoguerra, di una pietra miliare lungo via Riccardo da S. Germano, che è prolungamento di via del Foro; ma di questo si parlerà più oltre.

Una terza possibilità si valuterà più avanti.

Il presumibile tracciato verso valle.

Alle considerazioni di Carettoni circa l’andamento della strada selciata dell’epigrafe di Calpurnio Pisone ne aggiungo qualcuna mia: dalla porta campana al piazzale di Valenti il tracciato sarebbe poco meno di 100 metri, mentre dalla stessa porta all’area dell’attuale via del Foro sarebbe oltre un chilometro e 200 m. Dunque una epigrafe di quella importanza non si giustificherebbe per un tratto così breve come sarebbe quello interno sostenuto dal Valenti, mentre sarebbe pienamente plausibile per l’altro tracciato verso via del Foro. Inoltre una questione di logica: l’epigrafe, come tante altre, aveva funzioni celebrative dell’artefice dell’importante opera pubblica; dunque, posto che la strada lastricata in questione fosse tutta all’interno del centro urbano di Casinum, che senso avrebbe avuto installarla all’uscita della città dove l’avrebbe vista solo chi entrava o usciva dalla Porta, anziché in bella vista all’imbocco del presunto foro?

Quest’ultima osservazione conforta ulteriormente le argomentazioni di Carettoni.

Il foro al centro dell’odierna città?

La possibilità che il foro sorgesse all’interno dell’odierna città di Cassino è sostenuta da un’antica tradizione, confermata, secondo essa, dall’odierna via del Foro, denominazione molto antica, risalente almeno al secolo nono. Ce ne dà notizia un passo dell’Ordo offici in domo s. Benedicti15, quando si descrive l’antico rito pasquale di una processione che partiva dalla chiesa del Salvatore, “non lontano dal foro commerciale”, per giungere in quella di S. Pietro a monastero; il rito risaliva ai tempi dell’abate Bassacio (abate dall’837 all’856). La notizia è tratta dalla cronaca cassinese, dove si precisa “presso” il foro16.

Sulla questione si esprime ancora G. Carettoni: «Secondo la tradizione, riferita da vari autori, il foro di Casinum corrisponderebbe al centro della moderna Cassino, che, come si è detto, sorge ufficialmente poco dopo la metà del IX secolo ad opera di Bertario»17.

A comprovare ancora la presenza di un foro nel luogo ci sarebbe la gran quantità di materiale architettonico di epoca romana utilizzato per la costruzione delle chiese di S. Maria delle cinque torri e del Ss. Salvatore. Ma anche su questo il nostro archeologo ha da dire: «… i rinvenimenti di colonne e di altri elementi architettonici sporadici non costituiscono un indizio sicuro, poiché possono provenire dalla distrutta chiesa del S. Salvatore o da altri edifici medioevali per i quali certo sono stati largamente usati materiali di Casinum, che dovevano abbondare nelle zone circostanti. Di una sola iscrizione, la base della Concordia, sappiamo che venne trovata dentro la chiesa delle Cinque Torri18: ma questo non è evidentemente un elemento sufficiente né sul quale ci si possa basare»19.

Va detto che dopo l’edizione del Carettoni (1940) sono venuti alla luce vari altri elementi architettonici di epoca romana nella stessa area.

Né va dimenticato il ritrovamento di un cippo miliario negli anni ‘70 dello scorso secolo (vd. ultra).

Basamenti di colonne venuti alla luce al di sotto del piano della vecchia chiesa di S. Germano al momento degli scavi per la ricostruzione nel 1973.

A questa colonnina miliare fa cenno diffusamente T. Vizzaccaro riprendendo anche la nota di F. Ponari.

«Nell’anno 715 di Roma il console al tempo di Augusto C. Calvisio Sabino, incaricato di misurare le strade dell’Impero, fissò le colonne miliari. Una di queste fu innalzata in Cassino con il numero LXXXV, distanza che indicava quante miglia era lontana Cassino da Roma e rispondente anche a quella indicata da Antonino nell’Itinerario. Di quanto abbiamo detto fa certamente fede la seguente iscrizione:

                                           C. CALVISIUS C F.
                                               SABINUS COS.
                                               IMP.
                                               LXXXV»20.

Poi, rifacendosi ad un non ben noto anonimo21, aggiunge: «Indubbiamente la colonna miliare fu posta proprio ove da via ‘M. ‘I’. Varrone si biforcava via Riccardo da S. Germano [ci si riferisce alla vecchia toponomastica, n.d.r.] perché colà la via Latina faceva angolo e la ricordano, perché ancora esistente alla fine del XVII secolo, molti storici cassinati»22. E infatti la località fu chiamata “Colonnella”.

Filippo Ponari è più preciso: «… nel luogo oggi detto Colonnella verso la porta appellata di Roma, ivi sono state trovate a molta profondità colonne dritte sulle basi, una delle quali, essendo stata tolta, è di marmo africano. Le altre sono rimaste sepolte»23.

Entrambi gli autori indicano il sito del ritrovamento di una colonna nel luogo più o meno indicato da Antonio Vano24, cioè presso l’incrocio tra via Riccardo da San Germano e via Varrone, dove era ubicata l’antica Porta Romana o Porta San Matteo. In quel punto passavano le mura medioevali provenienti dalla Rocca Janula per scendere fino alla torre d’angolo di via Varrone a cento metri più in basso25. Nello stesso sito, nell’anteguerra c’era il luogo detto Tre Colonne per via di tre tronchi di colonne poste a recinzione della via, ma che probabilmente si rifaceva all’antico “Colonnella”. Interessante la nota di Ponari riguardo alle colonne ancora “dritte sulle basi” e rimaste sepolte: dunque dovrebbero essere ancora lì a grande profondità; Vano parlava di sette metri.

Ponari riteneva che quello fosse il sito di un “antichissimo tempio”, smentito poi da T. Vizzaccaro. Tuttavia, se fosse plausibile la collocazione del foro in quell’area, potremmo pensare che si trattasse del colonnato a margine della piazza: uno scavo in profondità potrebbe essere risolutore.

Va, inoltre, tenuto presente che lì confluivano tre importanti strade: quella che proveniva da Casinum – anche ammesso che non fosse la stessa della Porta Campana ricordata dall’epigrafe di Calpurnio Pisone, una via di collegamento con la città romana, come già detto, doveva senz’altro esserci –, quella che volgeva verso il fondovalle, l’attuale Casilina, che, secondo Carettoni, era il prolungamento della via Latina26, e quella che proseguiva verso nord, ricalcando l’odierna via del Foro, in direzione di S. Elia ed Atina. Un tale crocevia potrebbe giustificare la formazione di uno snodo commerciale, quindi anche di un foro.

Ma anche il monaco archeologo ing. Angelo Pantoni segnalava nel 1961 il ritrovamento in loco di un tratto di strada romana; scriveva infatti: «Sul retro della Chiesa Madre e di quella delle Cinque Torri, a tre metri di profondità, gli avanzi di una strada romana, che per il suo andamento è probabilmente da identificare con quella “a porta campana ad forum “, della quale è ricordata la selciatura in un cippo tuttora esistente, presso la tomba degli Ummidii al “Crocifisso”»27. A confortare inoltre la presenza di una strada di epoca romana nel sito indicato da Pantoni sopravviene il ritrovamento, il 2 febbraio 2011, di un tronco di sarcofago, in pietra locale, in cui si fa cenno alla sepoltura di un personaggio femminile della seconda metà del secondo secolo d.C.28. È noto che le sepolture monumentali sorgevano a margine delle strade extraurbane.

Il foro in località Agnone?

Ma veniamo alla terza ipotesi, che pone il foro (forum vetus?) nella località Agnone.

Nel 1972 fu effettuato uno scavo per la posa in opera dei tubi per l’impianto di depurazione della città in località Agnone, che è situata al di là della strada ferrata Roma-Napoli in prossimità della confluenza del fiume Rapido con il Gari; quest’ultimo separa l’area dal sito delle fonti varroniane, dove sorgeva la villa di Marco Terenzio Varrone. Questo fatto è importante ai fini di quanto andrò dicendo.

Frammento del sarcofago presso via del Foro.

In quella circostanza vennero alla luce, a partire dalla profondità di circa due metri, manufatti litici di varie epoche, dal paleolitico al neolitico, ma forse in giacitura secondaria essendo il sito di carattere alluvionale; inoltre tombe a cappuccina, frammenti di vasellame di epoca repubblicana e imperiale, monete del periodo repubblicano, provenienti per lo più dall’area campana29, una cisterna di terracotta e numerosi scarti di fonderia da crogiolo e da forno30. Scarse le strutture murarie (se si escludono resti di forni), che vennero alla luce, invece, nella campagna di scavo operata nel 1988. In quell’anno si stava costruendo una rampa di accesso alla superstrada Sora-Cassino-Formia a servizio dell’impianto di captazione delle acque per l’acquedotto campano nei terreni adiacenti allo scavo del 1972. Durante i lavori affiorarono allineamenti di muri, il che indusse la Soprintendenza ad effettuare una campagna di scavo. Ne risultò una villa rurale, con officine, canali di scolo, ambienti abitativi, materiale fittile di fattura repubblicana come lo era il materiale del precedente ritrovamento31.

A: area degli scavi di Agnone – B: area del complesso varroniano – C: tratto di strada basolata.

Inoltre affiorò un tratto di strada basolata, contiguo e parallelo al tracciato della superstrada, che volgeva dritto verso il fiume Gari lasciandosi sulla destra, la tomba a tolos ancora esistente e volgarmente detta “tomba di Varrone”. Fu individuato anche un muro ribaltato rivestito da un esteso mosaico, di fattura piuttosto grossolana, nella parte non visibile.

Purtroppo lo scavo si chiuse con la copertura di quanto era emerso, mentre sarebbe stato oltremodo interessante ispezionare i terreni adiacenti.

In sintesi quell’area ci ha rivelato l’esistenza di un insediamento rurale di epoca repubblicana (frequentato fino a tardo impero), con una mansio per il ristoro dei viaggiatori e per il cambio dei cavalli (le numerose scorie di ferro fuso ce lo suggeriscono), per attività di commercio (ce lo dicono le monete di varia epoca e provenienza), con edifici di abitazioni (come la villa emersa dallo scavo), strutture murarie di un certo interesse, come il muro con mosaici, una strada basolata che attesta l’importanza del luogo.

Insomma il tutto potrebbe far pensare ad un foro boario, se non al suddetto Forum Vetus di Livio e Varrone.

A supporto di tale ipotesi qualcuno32 riporta un passo di Varrone: nel suo De re rustica.

Il luogo, secondo quelli33, non doveva essere molto discosto dal “campo marzio” dove si svolgevano i comizi per le elezioni degli edili, dal momento che alla villa giungevano i clamori della campagna elettorale34. Si è voluto individuare il “campo” con il foro di Casinum sollevando, però, una questione fondamentale: si trattava del foro boario, che probabilmente, come abbiamo visto, era situato a qualche centinaio di metri dalla villa, oltre le acque del Gari, o del nuovo foro posto al centro della città di Casinum, come suppone l’archeologo Valenti35? La prima ipotesi (Agnone) potrebbe essere la più attendibile perché il luogo era nelle immediate adiacenze delle proprietà varroniane in Casinum, mentre il foro urbano era ad una distanza eccessiva perché si potessero udire le voci. Tuttavia ogni supposizione potrebbe cadere se si accertasse – come è molto probabile – che, nel momento in cui scriveva, Varrone si trovava non a Casinum ma in una villa pubblica di Roma; e ciò potrebbe essere confermato dalla presenza del console cui si fa riferimento nel brano: «eum ad consulem tractum». In effetti a scorrere attentamente l’ultimo libro del De re rustica leggiamo al cap. 2: «Durante i comizi [che si svolgevano a Roma – n.d.r.] per l’elezione degli edili, Quinto Assio, un senatore appartenente alla mia tribù, e io avevamo votato sotto un sole cocente e volevamo accompagnare nel suo ritorno a casa il candidato del nostro partito. A un certo punto Assio mi disse: “Mentre fanno il conteggio dei voti, vuoi che ce ne andiamo a godere l’ombra della villa pubblica anziché cercar riparo dal sole nella mezza tenduccia privata del nostro candidato?” […] Così ci moviamo e arriviamo nella villa»36; da notare che la villa pubblica era situata nel Campo marzio a Roma.

Ma a togliere definitivamente ogni dubbio sul luogo di cui parla Varrone c’è il passo che chiude il suo De re rustica: «Così parlavamo di queste cose, quando si udì un clamore a destra ed ecco venire nella villa in toga pretesta il nostro candidato come edile eletto. Gli andiamo incontro e congratulatici con lui lo accompagniamo in Campidoglio. Quindi egli se ne andò in casa sua e noi a casa nostra, dopo aver tenuto, o nostro Pinnio, questa conversazione, che ho sommariamente esposta, sull’allevamento degli animali da cortile»37.

Nessun dubbio che non si trattasse del foro di Casinum; riporto questo passo solo perché da più parti si ritiene il contrario. Vale la pena annotare la tesi di F. Ponari che riporta una epigrafe in Casinum in cui compare un certo Pontuleio in relazione al Pantuleius del Re rustica nel passo citato:

l. pontvleivs /

 c. f. ter.

/ pomponia /

uxor38

per dimostrare che Varrone era originario di Casinum39.

Conclusioni

L’ubicazione del Foro di Casinum qui è stata esaminata con tre ipotesi.

– La prima ipotesi: entro le mura, sostenuta dall’archeologo Massimiliano Valenti, si basa sul ritrovamento di grossi lastroni di pietra per pavimentazione all’interno del primo tornante della strada per Montecassino, entro le mura urbane.

È indubbio che nella città vi fosse una piazza, o largario, utilizzata come luogo di incontri e come snodo delle vie interne; sicuramente non mancavano, lì come nelle strade contigue, botteghe e officine artigianali ad uso degli abitanti. Dunque quella del Valenti potrebbe essere qualcosa del genere; la si potrebbe chiamare anche “foro” (così si chiamavano le piazze tra i Latini), ma è difficile che fosse quella segnalata dalle fonti, che di sicuro fanno riferimento ad un luogo di una certa importanza, cosa che non può dirsi per quella di cui parliamo, sia per la limitatezza dell’area pianeggiante, sia per la difficoltà di accesso, da parte di mercanti, allevatori, fornitori di mercanzie varie, dovuta alla configurazione orografica di Casinum, posta come era su uno sperone roccioso cui si doveva inerpicare qualsiasi strada dal fondovalle: a quei tempi ci si muoveva con animali da soma, da tiro e con carriaggi. In definitiva uno spazio ad uso esclusivo locale.

– La seconda ipotesi: località Agnone, dove sono emerse cospicue tracce di un insediamento rurale molto frequentato.

Il luogo è situato all’incrocio di importanti arterie di comunicazione tra nord-sud (Roma e Campania) e est-ovest (i paesi del Golfo e i monti dell’Atinate e delle Mainarde). La prossimità della via Latina e del fiume Gari/Garigliano navigabile ne facevano un luogo di transito quasi obbligato: lì era possibile scambiare merci, acquistare o vendere derrate alimentari, bestiame, prodotti di artigianato. Dunque non è difficile immaginare la presenza di officine, di punti di ristoro, di trattamento degli affari, di luoghi di culto, di insediamenti abitativi – di tutto ciò è emerso solo una minima parte: degli scavi approfonditi potrebbero far luce –. Un tale scenario meriterebbe a pieno titolo l’appellativo di “foro”.

Teniamo presente però, che stiamo parlando di un lungo periodo repubblicano, tra il IV, il III e II sec. a.C.

Nel frattempo la città di Casinum, che era stata per un certo tempo un avamposto sannitico, con la romanizzazione era cresciuta notevolmente di importanza; e infatti al tempo di M. T. Varrone (116-27 a.C.) il suo foro è ricordato come forum vetus, dunque decaduto, per far luogo ad un supposto forum novum.

– La terza ipotesi: via del Foro dell’odierna città, di cui si è già ampiamente trattato.

La possibilità che sorgesse lì il nuovo foro mi pare del tutto verosimile.

La città di Casinum, come già detto, al sorgere del nuovo millennio si era affermata come centro di tutto rispetto. La pax romana aveva consentito lo sviluppo di tutta l’area della valle del Rapido; l’economia era cresciuta grazie allo sfruttamento sistematico delle risorse del territorio; l’agricoltura in particolare aveva richiamato insediamenti extra urbani con la formazione di aziende dedite alla coltivazione di olivi, di cereali, di prodotti per l’artigianato e di quanto accennato in apertura di questo lavoro; ogni attività faceva capo alla rispettiva corporazione.

Inevitabile che si formassero lì importanti latifondi di proprietà di famiglie facoltose di Roma (gli Ummidi, solo per citarne uno). Con la crescita economica la politica dell’Urbe imponeva attività anche di altro genere, come quelle politiche, culturali, artistiche, immobiliari, aggregative. La costruzione di un teatro, un anfiteatro, un imponente acquedotto, templi, ville e tombe gentilizie ne sono la conferma. In questo quadro come non pensare ad un foro per gli affari, il culto, la politica sul modello di quelli classici del tempo dell’antica Roma?

La piccola piazza del centro urbano di Casinum non rispondeva alle esigenze dei nuovi tempi. Né si prestava più il forum vetus di Agnone, ormai piuttosto periferico a causa dei nuovi tracciati stradali connessi con la nuova città e destinato, probabilmente, alle fiere di bestiame e prodotti agricoli, che poco si confacevano con l’eleganza di un nuovo foro, con templi, edifici pubblici, botteghe di pregio. Si spiega così anche la pavimentazione selciata della strada che usciva dalla Porta Campana nel 57 d.C., quella della nostra epigrafe.

Ma c’era tutto questo nel nuovo sito?

Le emergenze archeologiche starebbero a testimoniarlo: resti architettonici come colonne, capitelli, cornicioni e pietre lavorate se ne sono trovati nel corso del tempo in tutta quell’area. Il cardinale Domenico Bartolini nella sua visita a S. Germano, l’odierna Cassino, nel 1827, riferisce di aver osservato molto di quel materiale insieme ad un gran numero di epigrafi40. Qualcuno obietta che probabilmente furono trasportati lì dalla vecchia città dai monaci cassinesi per costruire le loro chiese ed edifici.

Personalmente stento a credere che lo si sia fatto sistematicamente: è vero che quando gli abati decisero di costruire in loco il nuovo complesso monastico (tra l’ottavo e decimo secolo) la Casinum romana era ormai decaduta, ma la giurisdizione politica ed amministrativa non si era estinta: Casinum non era terra di nessuno, era, ora, Castrum Casini e successivamente Castrum Sancti Petri, su cui i Cassinesi del monte non avevano titolo41 e tantomeno potevano asportare liberamente materiale edilizio ed architettonico; ciò non toglie che in seguito – quando la giurisdizione cassinese si era estesa a tutto il territorio circostante – si siano utilizzati materiali di quel genere per rinnovare soprattutto le strutture del superiore monastero.

La città di San Germano in una incisione di Mr. De La Salle del 1703.

Ciò che invece potevano fare senza problemi era utilizzare tutto quello che in abbondanza già si trovava sul posto del nuovo insediamento e che era stato abbandonato a causa della decadenza della città romana. Un esempio significativo è la costruzione di una delle prime chiese dell’area: la chiesa di S. Maria delle Cinque Torri, detta il Riparo. Fu edificata utilizzando il colonnato terminale ancora in piedi di una struttura basilicale precedente e racchiudendolo in un muro su pianta quadrata. Una conferma di ciò è data dai capitelli delle dodici colonne tutti di epoca romana e dalle tre colonne diverse dalle altre inserite per chiudere il quadrato di base. Si spiega così l’insolita copertura con cinque piccole torri. Ne ho trattato ampiamente in Il Riparo del 200042. Se non altro questo ci dice che all’epoca dell’insediamento monastico vi erano ancora colonne e strutture erette al loro posto.

Per concludere, secondo le mie analisi c’è continuità storica tra il forum vetus di Agnone ed il nuovo foro di cui si tramanda il toponimo nel centro dell’odierna Cassino.

1 G. Carettoni, Casinum … cit., p. 28 e passim.

2 Livio, XXVII, 23; Varrone, De lingua latina, VII.

3 Sull’ubicazione del foro di Casinum, in «Quaderni di Archeologia Etrusco-Italica» 24, «Archeologia Laziale»: XII, 2, Dodicesimo incontro di studio del comitato per l’archeologia laziale, Estratto, Consiglio Nazionale delle Ricerche 1995; e più di recente in Le epigrafi della Valle di Comino, 2022, pp. 62 e sgg.

4 T. Livio, Ab urbe condita, XXVII, 23: «… Casini examen apium ingens in Foro consedisse».

5 Varrone, De lingua latina, VII. 29: «Samnites tenuerunt, et nunc nostri etiam nunc Casinum Forum vetus appellant. Item significant in Atellanis aliquot Pappum senem quod Osci casnar appellant …»

6 M. Valenti, Sull’ubicazione del foro di Casinum … cit. e più di recente in Le epigrafi della Valle di Comino, 2022, pp. 62 e sgg.

7 «A porta campana ad forum», vd. ultra.

8 G. Carettoni, Casinum … cit., p. 75.

9 Cassino, Architettura, Archeologia, Arte, Storia, 2016, p. 31.

10 C.I.L., X1, 5204.

11 D. Bartolini, Viaggio da Napoli alle Forche Caudine, Napoli 1827, p. 177.

12 G. Ghini, Il ritrovamento della Porta Campana a Cassino, in «Archeologia Laziale» X (Quaderni di Archeologia etrusco italica 19), 1990, pp. 226-270.

13 Ne intuì la posizione G. Lena nel 1980, Scoperte archeologiche nel Cassinate. Note di topografia antica, Lamberti 1980, p. 8. Non concorda S. Tanzilli, che la vorrebbe più in basso: «la porta nordest non necessariamente deve essere identificata con “Porta campana”, poiché l’iscrizione rinvenuta all’inizio dell’800, di mole consistente, si trovava nei dintorni dell’Anfiteatro e quindi a notevole distanza dalla stessa», loc. cit.

14 G. Lena, Scoperte archeologiche nel Cassinate. Note di topografia antica, Lamberti 1980, p. 8.

15 In Albers, Consuetudines monasticae, Montecassino 1907, p. 23: «mox igitur ut appropinquaberint prope monasterium haud non quin longe ab ipso negociantum foro, incipiunt letania cum qua ingrediantur in ecclesiam Domini Salvatoris».

16 Chron. Cas. I, 32. «… ac prope jam monasterium ab ipso negotiantum foro letanias incipientes, in Ecclesiam Domini Salvatoris intrabant»; anche E. Pistilli, Un antico rito pasquale a Cassino, in«Presenza Xna», aprile 1992, p. 3: «Attorno all’846 una moltitudine di Saraceni provenienti dall’Africa, dopo aver depredato e fatto stragi da Roma a Fondi, fino a Gaeta, rivolsero i loro appetiti verso il monastero di Montecassino, di cui avevano sentito parlare; furono impediti da una miracolosa alluvione del fiume presso S. Apollinare. Visto che era sfumata la sorpresa, presero la via del ritorno saccheggiando i paesi che incontravano. L’abate Bassacio (abate dall’837 all’856), che aveva pregato intensamente con i suoi monaci perché fosse risparmiato un ulteriore sacrificio al monastero ed ai suoi abitanti, volle istituire un rito di ringraziamento al Signore da effettuarsi il martedì in albis».

17 G. Carettoni, op. cit. p. 84.

18 D. Romanelli, Viaggio da Napoli a Montecassino, Napoli 1819, p. 34; N. Corcia, Storia delle due Sicilie, I, 1843, p. 422.

19 G. Carettoni, loc. cit.

20 T. Vizzaccaro, Marco Terenzio Varrone e il Cassinate, Roma 1954, pp. 120 e 123. F. Ponari, op. cit., p. 157, precisa che l’epigrafe, ai suoi tempi, «è attaccata alla Casa Zarli di Cassino, e fa parte della collezione del signor Vincenzo Mascioli».

21 Dissertazione istorica su Cassino, Napoli 1868, p. 410.

22 T. Vizzaccaro, loc. cit.

23 F. Ponari, op. cit., p. 80.

24 Il ritrovamento, a sette metri di profondità, mi fu segnalato da Antonio Vano, tecnico del Comune di Cassino, negli anni settanta del secolo scorso; il cippo riportava anche la cifra del miliario, di cui Vano non ricordava il numero. Pare che il manufatto sia rimasto in situ, e poi sepolto: il luogo dovrebbe corrispondere alla curva dove confluiscono Via De Nicola, Via Riccardo da S. Germano e Via C. F. Pinchera, dunque all’imbocco dell’attuale Via del Foro.

25 La torre, rimasta in piedi, dopo il bombardamento del 1944, anche se danneggiata, fu fatta demolire col pretesto che fosse pericolante, ma in realtà per motivi di edilizia privata.

26 Qui l’illustre archeologo erra perché ignorava la strada basolata sul lato meridionale di monte Trocchio, sulla falsariga dell’odierna via Appia che conduceva a S. Pietro Infine (ad flexum), cioè quella che è ormai riconosciuta come «via latina». Sulla questione ho ampiamente trattato sul mensile «Lazio Sud», n. 1/1982, pp. 8-9.

27 In «Bollettino Diocesano di Montecassino», XVI (1961), n. 5, pp. 202-203.  

28 E. Pistilli, Un sarcofago con epigrafe di epoca romana rinvenuto presso la Chiesa Madre di Cassino, in «Studi Cassinati», n. 1/2011, pp. 8-14.

29 «La voce di Aquino», n. 42, aprile 1973, p. 11.

30 Una descrizione dei ritrovamenti la pubblicai in un articolo sul settimanale locale «L’Inchiesta», a. IV n. 10, 9 marzo 1997, p. 13, A Cassino si guarda al futuro cancellando il passato accanimento edilizio senza precedenti sul sito archeologico di Agnone: «Lo scavo del 1972 raggiunse la profondità di m. 2,50 e rivelò una stratificazione abbastanza complessa: a circa 30-50 cm. affiorarono varie tombe del tipo cosiddetto “a cappuccina”, costituite da una struttura a sezione triangolare ottenuta con la giustapposizione di grossi tegoloni piatti di terracotta; abbondante il materiale fittile, con ceramica a vernice nera del tipo etrusco-campano e ceramica sigillata con pregevoli rilievi decorativi; le monete, d’argento, di bronzo e di rame, delimitarono un periodo che andava dal IV-III sec. a.C. al III-IV d.C.: le più antiche, sulle quali si potevano leggere scritte quali SUESANO, TIANUD, CALENO, denotavano gli stretti rapporti commerciali del territorio con il mondo osco-campano; su una moneta compariva il galletto di Aquinum; nella parte più a nord dello scavo (verso la ferrovia) si rilevò una gran quantità di scorie di ferro, il che fece pensare alla presenza di fornaci o più semplicemente a scorie di forge di maniscalchi; nella profondità maggiore (oltre due metri) si ritrovò una discreta quantità di strumenti litici che andavano dal neolitico al paleolitico, ma non si puó essere certi che quella giacitura fosse primaria perché il terreno di quello strato era di natura alluvionale; a lavori ultimati le ruspe ricoprirono tutto lo scavo».

31 Ibid. «… la fase di scavo, originata da operazioni di sondaggio per conto delle Ferrovie dello Stato, conferma l’importanza del sito archeologico di Agnone: pare che i resti murari affiorati alla profondità di poco più di un metro si debbano attribuire alle fondamenta di una villa (è quanto pensano gli archeologi addetti allo scavo); lo strato più profondo conserva tracce vistose di un vasto incendio, il che farebbe supporre che su una precedente villa distrutta dall’incendio sia stata edificata una seconda e forse una terza …».

32 T. Vizzaccaro, Marco Terenzio Varrone ed il Cassinate, cit., il quale si riferisce al passo di De re Rustica, III, 5; così pure F. Ponari, op. cit. p. 85.

33 Ho trattato della questione nei miei già citati articoli: A Cassino si guarda al futuro cancellando il passato. Accanimento edilizio senza precedenti sul sito archeologico di Agnone, in «L’Inchiesta», a. IV, n. 10, 9 marzo 1997, p. 13, e in «Studi Cassinati», 2010, n. 3, pp. 147-157, L’uccelliera di Varrone a Cassino dagli scavi del 2001.

34 De r.r., II, 5 (18): «Cum haec loqueremur, clamor fit in campo. Nos athletae comitiorum cum id fieri non miraremur propter studia suffragatorum et tamen scire vellemus, quid esset, venit ad nos Pantuleius Parra, narrat ad tabulam, cum diriberent, quendam deprensum tesserulas coicientem in loculum, eum ad consulem tractum a fautoribus competitorum. Pavo surgit, quod eius candidati custos dicebatur deprensus»: Vecchi combattenti delle lotte elettorali, non ci meravigliammo di un fatto del genere, dovuto all’entusiasmo degli elettori. Tuttavia volevamo sapere cosa fosse accaduto, quando venne da noi Pantuleio Parra, il quale ci disse che mentre si faceva il conteggio dei voti, fu sorpreso un tale che gettava schede nell’urna e che perciò i sostenitori degli altri candidati lo avevano tratto davanti al console. Pavone si alza e se ne va, poiché, a quanto si diceva, l’uomo arrestato era l’osservatore che rappresentava il suo candidato (traduz. A. Traglia, op. cit., così pure quelle successive).

35 M. Valenti, Sull’ubicazione del foro di Cassino … cit.

36 Comitiis aediliciis cum sole caldo ego et Q. Axius senator tribulis suffragium tulissemus et candidato, cui studebamus, vellemus esse praesto, cum domum rediret, Axius mihi, Dum diribentur, inquit, suffragia, vis potius villae publicae utamur umbra, quam privati candidati tabella dimidiata aedificemus nobis? Opinor, inquam, non solum, quod dicitur, “malum consilium consultori est pessimum”, sed etiam bonum consilium, qui consulit et qui consulitur, bonum habendum. Itaque imus, venimus in villam.

37 III, 17 (10): «Nos haec. At strepitus ab dextra et cum lata candidatus noster designatus aedilis in villam. Cui nos occedimus et gratulati in Capitolium persequimur. Illi inde endo suam domum, nos nostram, o Pinni noster, sermone de pastione villatica summatim hoc, quem exposui, habito».

38 C.I.L. x, 5276

39 F. Ponari, loc. cit.

40 D. Bartolini, op. cit., pp. 172 e sgg.

41 Lo stesso Benedetto da Norcia dovette munirsi delle dovute autorizzazioni per occupare il sito della dismessa acropoli.

42 Il Riparo. La chiesa di S. Maria delle Cinque Torri di Cassino (sec. VIII), Edizioni Cassino, 2000, p. 86.

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