«Studi Cassinati», anno 2023, n. 4
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di
Costantino Jadecola†
Il 18 maggio di ottant’anni or sono, il 18 maggio 1944, era un giovedì. Ed anche quel giorno, come da qualche tempo andava accadendo e come sarebbe ancora accaduto nei giorni immediatamente successivi, Pico ebbe i suoi morti.
Accadde a Capocroce e le vittime furono due. Due giovani: Angelo e Pietro Lepore, rispettivamente 11 e 17 anni, forse parenti tra loro, ma questo le cronache non lo dicono. Sta di fatto che altre due giovani vite andavano a sommarsi alle molte altre che quella guerra aveva già mietuto.
Era, infatti, il tempo in cui «due formidabili eserciti stranieri si scontravano allora sul nostro suolo, conducendo una campagna cruenta e che parve infinita alla maggior parte della popolazione, la quale ne fu, come si immagina, direttamente e barbaramente danneggiata. Inoltre le esose pretese, in uomini e materiali, d’uno di questi eserciti (l’invasore, che lentamente s’andava ritirando, attraverso il paese, davanti all’altro, detto liberatore), nonché spirito patriottico o compromissione politica, costrinsero numerosissime persone a cercar rifugio per lunghi mesi o anche per anni in posti selvaggi e discosti dalle grandi strade, abbandonando i propri interessi, i propri averi, le famiglie medesime»1.
È l’avvio del suggestivo Racconto d’autunno di Tommaso Landolfi in cui lo scrittore di Pico prende spunto proprio dalle vicende belliche della Seconda guerra mondiale per raccontare una «storia disperata e piena di poesia» che ha, infine, la sua tragica conclusione sullo sfondo delle turpi e tristi vicende alimentate dalla selvaggia violenza delle truppe di colore del Corpo di spedizione.
Se tra il 12 e il 18 maggio le vittime della guerra a Pico erano state una decina; dal 19 maggio alla fine del mese ce ne saranno oltre 30. Non ci sono dati in proposito, ma penso che quello di Pico sia l’unico caso in cui si sia registrata una così alta densità di vittime civili in tempi brevi, una ventina di giorni, ma soprattutto in circostanze diverse.
Anche qui, sino ad allora, la guerra s’era sentita e come. È, però, sul finire delle ostilità che Pico si trova coinvolto in una vera e propria morsa da cui è difficile venirne fuori: paga, forse, lo scotto di trovarsi su una strada come la Civita Farnese che in quei convulsi momenti che seguono la recente caduta della linea Gustav ed il crollo della linea Hitler, che avviene proprio in quei giorni, acquisisce un valore strategico per via della sua posizione topografica.
Insomma, un vero e proprio inferno, come testimonia Giancarlo Poletti, un militare della R.S.I., cioè uno di quelli che stava dall’altra parte, con i tedeschi, voglio dire, che, abbandonati gli Aurunci presso Esperia a seguito del violento attacco alleato iniziato l’11 maggio, ripiegando verso ovest, attraverso i monti raggiunge Pico con alcuni suoi commilitoni all’alba di qualche giorno dopo: «Il paese sottoposto a bombardamenti senza interruzione era un inferno. Trovammo rifugio al cimitero e lì ci riposammo. Accanto c’erano alcune tende della Croce Rossa e trovammo un ufficiale medico italiano. Era stravolto: non dormiva da 72 ore»2.
Per Pico, insomma, la guerra si concludeva in maniera piuttosto tragica e decisamente inattesa dopo che, almeno per una decina di mesi, aveva sconvolto la vita dei suoi abitanti così come di tutti quelli del Lazio meridionale.
Ma partiamo dall’inizio. Secondo quanto racconta don Antonio Grossi in un suo dattiloscritto, che chi redige queste note ha avuto la fortuna di leggere e che oggi, mi si dice, pare sia sparito dalla biblioteca comunale dove era conservato, l’aria di guerra a Pico la si era cominciata a sentire già nel luglio del 1943 quando i primi tedeschi apparvero a Ponteodioso. «Venivano da Pontecorvo, occupata già da un pezzo». E aggiunge: «Erano meccanici. Dopo aver innalzato alcune tende presso il torrente Quesa, vi riparavano gli automezzi di quel settore»3.
Ma fu a settembre, è sempre don Antonio a scriverlo, che «l’occupazione germanica crebbe di giorno in giorno ed in ottobre diventò completa invasione. Furono requisite tutte le nostre case di campagna, specie quelle presso la rotabile: soldati e cavalli, cucine e posti di soccorso si estesero su tutto il nostro territorio da Monte Leuci a Pota, da Pastena a San Giovanni Incarico. In ottobre (…) il comando di divisione si accampò a Pico con tutti i suoi uffici (…). Il generale in capo, alto due metri, si piazzò al Casino Carnevale, alla Starzapiana, che fece arredare con eleganza e circondare di fiori, e così pure furono requisite tutte le più belle case del paese, arredate anche con mobilia portata da Gaeta e da altre città vicine, con cucine e stufe alimentate tutte dalla mobilia nostra, dalle botti alle sedie, dalle porte alle soffitte, senza dolore e senza pietà»4.
Il giorno stesso dell’occupazione di Pico, il 5 ottobre 1943, i tedeschi5 pretendono che il podestà, cav. Nicola Landolfi, procuri loro qualche centinaia di operai da adibire a vari servizi. Ma, non potendo il podestà soddisfare tale richiesta, don Antonio Grossi riferisce che i tedeschi «presero il povero uomo e lo legarono in piazza Adalgiso Ferrucci, e lì calci e pugni e minacce di morte se non prometteva gli operai al servizio dell’esercito (…). Dopo oltre cinque ore di martirio»6 e solo dopo aver dato assicurazione di procurare la manodopera richiesta, il cav. Landolfi viene liberato. Ma prende la via dei monti, verso la Capriola e, al suo posto, venne nominato il dott. Corrado Deodato, un siciliano sposato a Pico, che restò in carica fino a verso la metà del successivo mese di marzo quando fu sostituito dall’ispettore scolastico prof. Giuseppe Grossi, già vice commissario.
La richiesta dei tedeschi, comunque, non resta inevasa: spinti più dalla fame che dal terrore, di persone disponibili se ne offrono spontaneamente a decine.
È ancora ottobre quando a Pico, per via di alcuni fili telefonici trovati tagliati in località Farneti, i tedeschi minacciano gravi rappresaglie. Ma poi qualcuno riesce a far capire loro che gli autori del sabotaggio potrebbero anche essere di Campodimele e la minacciata rappresaglia rientra.
Ormai è guerra. Con i suoi bombardamenti e le sue prime vittime. Il 10 gennaio 1944, invece, arriva il giorno dello sfollamento. Per i 250 sfollati di Pico ammassati sugli autocarri la destinazione immediata è Priverno. Se sono in molti a fuggire durante il percorso e specialmente durante la sosta a Roma, i più, invece, vengono trasferiti in Emilia Romagna, a Poviglio ed a Reggiolo.
L’unico fatto di rilievo di quei mesi e l’abbattimento da parte della contraerea tedesca di un aereo alleato. Ma il pilota, un tenente americano, Robert Iverson, si salva e cerca di guadagnare la linea del fronte per tornare tra i suoi. Lo accompagna un sergente italiano che tenta anche lui di passare il fronte per tornare a casa. Ma non ce la fa: i tedeschi lo uccidono. È il 22 febbraio. Di Iverson, invece, le ultime notizia lo danno a Piagnano, dalle parti di Coreno Ausonio, a un tiro di schioppo dal Garigliano.
Ed arriviamo a maggio del 1944 quando a Pico si contano numerose vittime civili. Il 12 sono ben sette: Antonino Delle Cese (53) colpito da uno spezzone durante un’azione aerea e Bernardo Conti (30) per l’esplosione di una bomba entrambi a contrada Le Pietre, Eugenio Marvali (43) e Giovanni Del Signore (67) durante un bombardamento aereo, uno in località Parco, l’altro in località Olmolongo, così come Armando Fioravanti (74), Maria Domenica Carnevale (74) e Maria Mattaroccia (10) ma quest’ultimi a Matrice; ancora durante un bombardamento aereo, il 13 maggio muore nel centro di Pico Giuseppe Conti (47); il 16, a Pedicata di Pota, Antonio Falasca (33) è ucciso da un proiettile di artiglieria così come, il 18, lo sono a Capocroce Pietro (17) ed Angelo Lepore (11) e, il giorno dopo, Antonietta Carnevale (11) a Colle Iodice, Battista Caparrelli (68), Cosimo Colella (6) a Varesica e Giuseppe Carnevale (20) a Colleruto; Maria Carmina Conti (34), Giovanni Pompei (77), Angelo Marsella (80) e Benedetto Marchitti (64) sono le vittime del 20 maggio, la prima colpita durante un bombardamento aereo in località Matrice, il secondo da un proiettile di artiglieria a Puzzatone, il terzo ed il quarto da quello di un fucile, l’uno a monte La Croce, l’altro a Nocella.
Le vittime del 21 maggio sono tutte donne: Maria Aurelia Caparrelli (28) a causa di «vessazioni da parte di marocchini» a Spigno; Maria Mastronicola (48) e Rosaria Caparrelli (35), invece, l’una a Fontana Zarita, l’altra a Morrone S. Rocco, per via di proiettili di artiglieria, Maria Carmina Carnevale (47 anni) a Pedicata di Pota durante un bombardamento; il giorno dopo, nella stessa località, per il crollo dell’abitazione trovano la morte Maria Carmina Carnevale (66), Antonio Bartolomei (19), e Maria Civita Carnevale (6).
Addirittura dieci i morti del 23 maggio: Maria Domenica Conti (40) a «Casale (Serili)» per l’esplosione di una mina; a causa dei proiettili di artiglieria, invece, Tommaso Carnevale (54) a Pedicata di Pota, Lucia Mattaroccia (24) a Travettini, Giuseppe Marcucci (75), Elisabetta Pompei (35) e Giuseppe Conti (2), questi ultimi a Vaglia; a S. Angelo, infine, è da imputare ad un bombardamento la morte di Assunta Abatecola (54), di Salvatore Carnevale (14), di Angela Carnevale (33) e di Emilia Pellegrini (20).
Il 24 maggio le vittime dei proiettili di artiglieria sono cinque: Antonino Conti (70) a Vaglia, Francesco Di Stefano (70) a Colleponte, Maria Grazia Carnevale (57) in località Le Pietre, Domenico Colella (68) a Fontane Silve ed Elisabetta Falasca (9) ad Olmolongo; la sesta vittima di quello stesso giorno è Alessandra Renzi (72) uccisa in località Ierate da una fucilata marocchina.
Le ultime vittime di maggio sono, il 25, Giovanni Conti (37) colpito a Vaglia da un proiettile di artiglieria, il giorno dopo, a contrada Serlando, Raffaele Grossi (23), «ucciso dalle truppe marocchine», e il 27, in località Le Pietre, Luigi Vallone anche lui ucciso da un proiettile di artiglieria.
Insomma, in questa concitata fase finale della guerra, Pico, è bersaglio quasi privilegiato dei bombardamenti aerei e non solo da parte di quelli alleati impegnati a supportare l’azione terrestre ed a tagliare i ponti alle spalle dei tedeschi in ritirata: accade il 4 maggio e di nuovo il 13 e il 18 tant’è che il loro intervento favorisce l’attacco della 4a divisione di montagna marocchina e della 3a divisione di fanteria algerina che il 22 maggio conquisteranno la località. Ma ci si sta appena abituando a questa nuova situazione quando due giorni dopo, il 24 maggio, un’azione aerea tedesca sembra rimettere tutto in discussione. Grazie a Dio, però, così non è. È piuttosto l’intemperanza dei liberatori a creare panico: «Nella inarrestabile corsa alla violenza», scrive, infatti, don Antonio Grossi, «le truppe di colore lasciarono sempre e da per tutto ‘il segno’ del loro passaggio bestiale!»7.
«Ora i forsennati dettero in grandi risa, dicendo: ‘Guardala la nonnina! (doveva loro apparire buffa, così vestita). Ma altro che nonnina, questa è una tenera pollastra!’, e così via. Poi si precipitarono tutti insieme verso di lei. Ella mi gridò in furia: ‘corri, và per amor mio, è il momento! Per me non temere’, e scomparve dalla soglia. Coloro la seguirono dentro in turbine; anche io mi buttai dentro, fino alla sala. Vidi che l’abbrancavano nel punto che stava per varcare la porta sulle stanze interne.
«La trascinarono fuori. Ma il primo che osò levare la mano su lei fu abbattuto da un colpo dell’arma da lei tratta, con rapidissimo gesto, di fra le pieghe della sua ampia veste, arma in cui riconobbi la paterna pistola»8.
1 T. Landolfi, Racconto d’autunno, Adelphi. Milano 1995, p. 11.
2 G. Poletti, Geniere per 6 mesi al fronte di Cassino, in «Acta», a. XX, n. 3 (61), settembre-novembre 2006, p. 5.
3 A. Grossi, Pico Farnese: storia da noi vissuta e sofferta negli anni 1943-1944 della seconda guerra mondiale, Dattiloscritto inedito, Biblioteca popolare «Luigi Fraioli», Pico.
4 Ibidem.
5 Tra i reparti tedeschi presenti a Pico la banca dati dell’Istituto storico germanico di Roma (www.dhi-roma.it) segnala il Gebirgs-Pionier-Bataillon 818 (maggio 1944), la 305 Infanterie-Division (aprile 1944), il Füsilier-Bataillon 334 (Battaglione fucilieri, battaglione da ricognizione delle divisioni di fanteria) a maggio 1944, la 334 Infanterie-Division (dicembre 1943), il Füsilier-Bataillon 356 a febbraio 1944, la 44 Infanterie-Division (aprile 1944) e la 71 Infanterie-Division (febbraio 1944). Per quanto riguarda la 334. Infanterie-Division (dicembre 1943), si tratta di singola unità della divisione.
6 A. Grossi, Pico Farnese: storia da noi vissuta e sofferta negli anni 1943-1944 … cit.
7 Ibidem.
8 T. Landolfi, Racconto d’autunno … cit., p. 172
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