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Studi Cassinati, anno 2010, n. 4
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di Duilio Ruggiero*
Il mignattaio era la persona che procurava (raccoglieva e vendeva) le sanguisughe o mignatte (in gergo le sanguette) che erano nei tempi passati molto usate in medicina.
Egli le vendeva direttamente o le cedeva ai farmacisti che le acquistavano per rivenderle ai pazienti. Per venderle spesso andava in giro per i paesi e si recava anche nei mercati che generalmente si tenevano in tutti i centri di queste località, quasi ogni settimana, portando gli animaletti vivi nell’acqua contenuta in un recipiente di legno che nel fondo era tenuto in umido con una fanghiglia e creta bagnata oppure in un barattolino di latta o in un piccolo cestino di vimini ovvero in una bottiglia. I recipienti non avevano chiusura ermetica ma erano coperti con tela tesa all’imboccatura. Era usanza anche che qualche famiglia conservasse per diverso tempo alcune mignatte in un vasetto tenuto umido con poltiglia di creta per tenerle pronte in caso di necessità. Allora si ricorreva molto spesso all’applicazione delle mignatte. Nei tempi passati l’applicazione sul corpo dell’ammalato veniva fatta generalmente dal barbiere, a giudizio del medico, ed in molti casi era lo stesso barbiere che provvedeva al distacco ed al recupero dell’animaletto, quando la mignatta, gonfia e satolla, non succhiava più ma rimaneva attaccata alla pelle del paziente.
In passato le sanguisughe in genere venivano utilizzate a scopi terapeutici in sostituzione del salasso. Il salasso con le mignatte è stato per secoli la panacea per qualsiasi malanno, dall’influenza alla gotta. Si ricorreva alle mignatte che venivano applicate alla piega dei gomiti o sulle spalle per far sottrarre il sangue. Ma il loro impiego si estendeva anche alle contusioni ed ematomi applicandole sulla parte più gonfia. Il sanguisugio veniva fatto anche nei casi di polmonite applicando le mignatte sulla parte del torace dove si accusava maggior dolore. In sostituzione del salasso il sanguisugio veniva eseguito soprattutto per decongestionare organi interni, per estrarre sangue e umori “corrotti”. Pare che venisse consigliato quando si fosse subita una paura, a chi era di pressione alta al momento del cambio di stagione, ai colpiti di attacchi di cuore ed alle donne al nono mese di gravidanza. Bisognava fare attenzione a non addormentarsi dopo l’applicazione delle mignatte perché faceva molto male alla vista, al punto di rischiare una cataratta.
L’uso diffuso delle sanguisughe ne aveva favorito in alcuni paesi l’allevamento.
Nel secolo XIX, era famoso per dimensione e razionalità degli impianti, quello di un farmacista di Altenberg, presso Monaco, in Baviera.
Oggi le ripugnanti e disgustose sanguisughe, dimenticate dai medici che ne avevano imposto l’uso (e l’abuso) per secoli e secoli, stanno ritornando in scena come fornitrici di farmaci (l’irudina che è il più potente anticoagulante che si conosca, l’ementina ed altri ancora) vedi C. Capone, Il mondo della medicina, 16 settembre 1981; la rivincita della sanguisuga. La scoperta dell’irudina risale al 1884 ma la sua struttura molecolare è stata identificata solo nel 1985-86. Lo studio di essa per conto della ricerca farmaceutica Hoechst è affidata al dottor Pauk Habermann, biologo molecolare.
Oggi il maggior esperto di sanguisughe è il dottor Roy Sewrer, un biologo americano che ha fondato a Swansea, nel Galles (Inghilterra), agli inizi degli anni Settanta, un centro di allevamento e ricerca. Le sanguisughe allevate in tale laboratorio appartengono ad una specie protetta dalla convenzione di Washington, (Pietro del Re, Dottor Sanguisuga, Ritorno al passato).
Le sanguisughe negli ospedali vengono conservate a dieci gradi centigradi e a digiuno per dieci mesi (in natura si nutrono un paio di volte l’anno).
In passato la cattura delle sanguisughe, in gergo sanguette, fatta generalmente in autunno, non era facile. Il sanguettaio “doveva conoscere tutti gli stagni, tutte le pozzanghere, tutti i fossi ove le mignatte potevano nascondersi, crescere, prosperare, riprodursi”1 e nelle paludi in genere, loro ambiente naturale. A seconda del luogo egli entrava nel pantano che sperava fosse abitato dalle mignatte, scalzo e con le gambe nude sino al ginocchio. Si muoveva lentamente e con cautela per non intorbidare l’acqua e spaventare le mignatte che si sarebbero occultate negli anfratti della fanghiglia. Con pazienza si tratteneva immobile nell’acqua ore ed ore e spesso inutilmente. Egli spesso era costretto a battere e muovere l’acqua con un bastone. Le mignatte impaurite uscivano dalla melma e s’attaccavano ai polpacci delle gambe del ricercatore, il quale, quando il numero di esse era diventato alquanto consistente, con delicatezza le staccava ad una ad una dalla pelle e le depositava nel recipiente con l’acqua. Ripeteva l’operazione varie volte e spesso si tratteneva nell’acqua, che quasi mai era tiepida e limpida, a volte un’intera giornata. Dove lo stagno si presentava con fondo e bordi senza increspature ed in terra vegetale, il mignattaio riusciva a catturare le sanguisughe cercandole direttamente tra la fanghiglia.
L’uso delle sanguette, risale ad epoca remota. Si vuole che il primo a usarle fu Temisone di Laodicea, vissuto ai tempi di Augusto, ma in epoca romana sono ricordate anche da Okinio e da Galeno e nel principio dell’ottocento da Broussairxee della Scuola del famoso Bichat. In tempi relativamente recenti questa pratica è stata presa in considerazione anche dal prof. Luigi Condorelli nella clinica medica di Catania (anno 1938).
Oggi, col progresso della farmacologia, il sanguisugio, e quindi l’uso delle sanguisughe in terapia, è quasi completamente abbandonato, almeno nei paesi tecnologicamente più progrediti. Le sanguisughe sono rimaste nella Farmacopea italiana fino agli anni Quaranta. Nel congresso del 1986 svolto nel Galles a cura della British Association of Leech Scientist , ci sono stati dei convinti sostenitori per il ritorno di esso specialmente nella chirurgia plastica dove “l’applicazione della sanguisuga sugli edemi che si formano attorno alle suture dei tessuti trapiantati, facilita il riassorbimento dell’edema, non solo, ma evita la necrosi dei tessuti stessi.”
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Pubblichiamo questo articolo postumo, essendo l’Autore venuto a mancare dopo che ce lo aveva inviato. Cogliamo l’occasione per esprimere il nostro cordoglio alla sua famiglia e rammarico per aver perso un amico e validissimo studioso della storia della sua terra.
1 D.Torre, Medicina popolare,usi, costumi e tradizioni della Ciociaria, Tipografia dell’Abbazia di Casamari(FR), 1988, pagg. 237-238.
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