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Studi Cassinati, anno 2010, n. 4
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di Marianna Norcia
Il monastero di S. Pietro Celestino sorgeva al centro della città di Sora (Frosinone), nel largo che si apre in via Caio Sorano, una traversa del Corso Volsci1.
La prima attestazione del monastero risale al 5 aprile 1293, a tale data risalgono vari redditi fondiari, appartenenti prima a due facoltosi fratelli sorani, Gregorio e Giovanni Cello, e poi ceduti, da costoro al ce- nobio di San Pietro2.
Il monastero apparteneva all’ordine dei Celestini3. Il 23 settembre del 1315 il monastero risultava formalmente costituito. Il priore era fra Bartolomeo da Trasacco4 ed aveva una sua comunità. In tale data nel cenobio sorano, alla presenza del superiore e di tutti i confratelli, ebbe luogo una cerimonia di professione religiosa. Il novizio Gio- vanni di Domenico da Pescosolido fece dono al monastero di Sora di tutti i suoi beni.
Il neo converso davanti l’altare offrì se stesso e i suoi beni, promettendo la conversio- ne dei costumi, la “reverentia” e l’obbedienza5.
La congregazione di Pietro del Morrone aveva origine benedettina, come è attestato dagli obblighi specifici cui era tenuto un figlio di San Benedetto: la stabilità, la conver- sione dei costumi e l’obbedienza; un celestino aveva un quarto dovere: la reverentia, cioè l’umiltà e la rispettosa sottomissione, anche questa contemplata dalla regola benedettina6.
La comunità di San Pietro cresceva sempre più ed era necessario incrementare il pa- trimonio fondiario.
Il 27 gennaio del 1316 Andrea Bellapersona da Sora e donna Maria, sua moglie, donarono molti loro beni nelle pertinenze della città a Fra Bartolomeo da Trasacco, mo- naco e procuratore, in Sora, dell’ordine di S. Pietro del Morrone7.
Il 13 maggio 1318 un cittadino di Sora, Gregorio Cello da Corano, e la moglie Ma- rotta vendette a fra Giacomo di Agnone, nuovo priore di S. Pietro Celestino, alcuni red- diti e servizi annui che gli dovevano Andrea Bellapersona e Maria sua moglie, consi- stenti in tre tomoli di grano, tre di spelta, tre otri di vino, tre soldi denari e tre pizze8.
L’attigua chiesa del monastero non fu edificata subito dopo l’insediamento dei cele- stini nella città, ma furono ostacolati da quanti a Sora non avevano accolto bene il nuo- vo monastero, i più forti oppositori furono D. Leonardo da Castelluccio, arciprete di San Bartolomeo9 (1352-1354) e don Tommaso di Ser Leone10, che riuscirono a far sospen- dere i lavori.
I celestini dopo diversi anni, durante i quali non riuscirono a far prevalere la loro po- sizione, si appellarono alla bolla del 14 febbraio del 1317, con la quale Giovanni XXII concedeva all’ordine privilegi e facoltà per la costruzione di chiese. Così, il 22 dicembre del 1352, Ugo, abate di San Lorenzo D’Aversa, conservatore del monastero di S. Spirito del Morrone emanò una sentenza contro i due notabili sorani e il 25 luglio del
1354 ne inviò il documento al vescovo, al capitano o luogotenente e ad altri ecclesia- stici della città11.
Risolta la controversia, venne ripresa e portata a termine la costruzione della chiesa dei celestini. Successivamente il monastero di San Pietro sarà citato in alcuni legati o contratti, come nel testamento del 26 ottobre 1400 di una cittadina di Sora, Margherita, moglie di fu Sante di Niccolò di Altogrado12, in cui si chiede che venisse inumata nel- la sepoltura riservata ai confratelli della SS.ma Trinità e che alle esequie fossero pre- senti i canonici, i chierici e i religiosi della città, in particolare i canonici di S. Maria e di S. Restituta, i minori di S. Francesco, il priore di S. Pietro, i chierici di S. Bartolo- meo, l’abate di S. Giovanni e il cappellano di S. Silvestro13.
Il 18 aprile 1476 don Angelo Novello, primicerio di S. Maria in Sora, nel suo testa- mento dispose, tra le altre cose, di consegnare alle singole chiese, cappelle e confrater- nite di Sora, tra le quali figura S. Pietro, torce e candele14.
Nella seconda metà del secolo XVI il cenobio iniziò una fase di decadenza, che andò sempre più accentuandosi, dalla quale non si riprese più.
All’inizio del XVII secolo nel monastero dimorava un solo frate e la chiesa era affi- data al monastero di S. Eusebio di Roma, della medesima congregazione15.
Sempre nello stesso periodo alla chiesa sorana venne unita la piccola chiesa della SS.ma Annunziata di Campoli Appennino16, dello stesso ordine.
Nel 1627 S. Pietro di Sora, come si evince dal libro della costituzione dell’ordine, aveva cambiato affiliazione: dipendeva dal monastero di S. Angelo di Celano e versa- va, in quell’anno, all’abate generale la tassa di quattro terreni17.
Il 15 ottobre del 1652, il monastero, in seguito alla bolla “Instaurandae” di Inno- cenzo X, venne soppresso18.
Venduti i suoi beni, la chiesa rimase chiusa al culto fino al 1702, quando vi si inse- diò una comunità di sacerdoti secolari ed una confraternita sotto il titolo di Madonna del Suffraggio.
In quell’epoca aveva tre altari, dedicati a: S. Pietro celestino, alla Madonna del Suf- fraggio e a S. Antonio di Padova19 .
Alla Chiesa potevano appartenere solo i nativi di Sora mentre gli altri fedeli ne face- vano parte dando soltanto il loro nome e pagando 60 centesimi ogni anno e ogni sacer- dote era in obbligo di celebrargli una messa dopo il decesso20.
Da una stampa del 1680 il monastero di S. Pietro celestino è posto tra le chiese cit- tadine di S. Spirito e S. Bartolomeo (Fig.2), ubicazione confermata da una mappa cata- stale del 1876 dell’Archivio di Stato di Frosinone, nella quale è riportata la chiesa di S. Pietro celestino (Fig.3), che presenta una piccola abside. La chiesa era piuttosto piccola, con soffitto a volta ornata di stucchi con due cappel- le: appartenenti una alla famiglia Salerno, l’altra alla famiglia Marzai; vi era una pic- cola sagrestia, un po’ oscura, vi si accedeva per un corridoio, vi era una scala che por- tava alla camera superiore, che era sottotetto21.
La chiesa fu distrutta dal terremoto del 191522 e non se ne ha più traccia se non in un largario, nei pressi della chiesa di S. Spirito, che conserva l’antico toponimo di S. Pie- tro; la conformazione topografica dell’attuale città di Sora, in via Caio Sorano, sembra aver rispettato la planimetria dell’antico monastero, del quale, appunto, non resta alcu- na traccia.
1 G. Squilla, La chiesa di S. Francesco in Sora e la confraternita dei Sacconi, Casamari 1978, pag. 25.
2 T. Leccisotti, Abbazia di Montecassino. I regesti dell’archivio, I-VIII, Roma 1964-1973, III, p. 80 n. 200: alcuni cittadini di Sora si dichiararono arbitri di certi redditi e servizi annuali passati poi al monastero di S. Pietro. Giudice: Giovanni de Notario; Notaio: Oliverio.
3 Nella Diocesi, confinante con l’Abruzzo, il movimento creato da Pietro del Morrone fu conosciuto fin dalle sue origini: Antonelli 1986, p. 240.
4 Bartolomeo da Trasacco fu uno dei primi discepoli di San Pietro del Morrone e compagno dei suoi viaggi, teste 162 del processo di canonizzazione di Celestino V (1306), depose di aver visto Pietro sia in eremi e luoghi dell’Abruzzo che in località della Campania e a Roma: A. Moscati, Le vicen- de romane di Pietro del Morrone, in “ASRSP”, LXXVIII, 1955, PP. 107-114, p. 109.
5 T. Leccisotti, Abbazia di Montecassino. I regesti dell’archivio, I-VIII, Roma 1964-1973, III, p. 142 n. 347: “Ego Iohannes ab hac/ hora in antea offero me et mea bona omnia mobilia et stabilia abi- ta et hereditaria iura et actiones ubicunque/et in quibuscumque constituta ordini Sancti Petri de Morrono confessoris et promicto stabilitatem et conversationem/ meorum morum, reverentiam et obedientiam secundum ordinem prelibatum coram deo et Sanctis et in ordine/ smemorato in pre- sentia dicti fratris Bartolomei et aliorum monachorum ibidem adstantium”. Giudice: maestro Gre- gorio Mancino; Notaio: Rainaldo di Oderisio (ST).
6 D. Antonelli, Abbazie, prepositure e Priorati benedettini nella Diocesi di Sora nel Medioevo (Sec. VIII-XV), Sora 1986, p. 243.
7 T. Leccisotti, Abbazia di Montecassino. I regesti dell’archivio, I-VIII, Roma 1964-1973, III, p. 143 n. 350. Notaio Rainaldo di Odorisio (ST).
8 L T. Leccisotti, Abbazia di Montecassino. I regesti dell’archivio, I-VIII, Roma 1964-1973, III, p. 152 n. 371.
9 La sua ostilità doveva nascere dal fatto che la nuova chiesa si trovava nell’ambito della sua parroc- chia, distante solo pochi metri e dal fatto che la parrocchia di San Bartolomeo non era molto gran- de come numero di abitanti, pur se lo era come territorio; la nuova chiesa, vicinissima, richiamava maggiore attenzione e partecipazione con conseguenti oblazioni e donazioni che venivano corri- sposte: D. Piacentini, D. Filippo Annessa, Arciprete di S. Bartolomeo in Sora (1814-1880) ed al- cune notizie sugli arcipreti-parroci della chiesa collegiata e parrocchiale di S. Bartolomeo apo- stolo, Sora 2007, p. 65.
10 Procuratore del capitolo insieme a don Leonardo da Castelluccio.
11 In quell’anno era vescovo di Sora Giacomo, che governava la diocesi dal 1323: C. Marsella , I ve- scovi di Sora. Monografia storica, Sora 1935, pp. 88-89; G. Squilla, La Diocesi di Sora nel 1110, Casamari (Fr), 1971, p. 41; D. Antonelli, Abbazie, prepositure, priorati benedettini nella Diocesi di Sora nel Medioevo (Sec. VIII-XV), Sora 1986, p. 246.
12 Archivio Curia Vescovile di Sora (da ora ACVS), pergamena n. 94.
13 ACVS, pergamena n. 94.
14 ACVS, pergamena n. 89.
15 ACVS, Libro verde, f. 35v.
16 ACVS, Compilatio decretorum visitationum ab anno 1609 – Bullarium 1749-1779, f. 213.
17 Constitutiones monachorum… Urbani P.P. VIII iussu recognitae…, pp. 110 e 170. In quel periodo al monastero di S. Eusebio di Roma erano unite le chiese e i monasteri di: S. Pietro di Supino, di S. Antonio di Ferentino, di S. Leonardo di Sgurgola, della SS.ma Annunziata di Cascia ed altri ce- nobi.
18 ACVS, Atti della visita pastorale del vescovo di Sora Matteo Gagliani 1703, ff. 166-166v.
19 ACVS, Atti della visita pastorale del vescovo di Sora Matteo Gagliani 1703, f. 166v; Antonelli 1986, p. 250.
20 ACVS, Atti per luogo, fasc. 211.3, Relazione per la Sac. Visita, 27 aprile 1903.
21 ACVS, Atti per luogo, fasc. 211.3, Relazione per la Sac. Visita, 27 aprile 1903.
22 G. Squilla, La chiesa di S. Francesco in Sora e la confraternita dei Sacconi, Casamari 1978, pp. 19-25.
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