La falegnameria di Antonio Petrucci di Sant’Elia Fiumerapido alle prese con il restauro del coro settecentesco della sala capitolare di Montecassino


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Studi Cassinati, anno 2009, n. 4
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di Giovanni Petrucci

Scaricano da due camion dinanzi al laboratorio di Via IV Novembre quanto resta di un coro settecentesco: tavole di castagno della pedana, pannelli di radica di noce, modanature della cimasa, sagomate con lieve incurvatura, scollate dai loro alloggiamenti e schiodate: appaiono in ogni dove chiodini forgiati a mano.
Il materiale accatastato a lato della porta manda un puzzo tremendo di xilamon, un antitarlo potentissimo, che il venticello della sera non riesce a disperdere nell’aria. I nostri vicini e conoscenti passano lontano, sull’altro marciapiede; fanno chiaramente vedere che si turano il naso e guardano il mucchio di robe vecchie con distacco e procedono oltre. Nessuno si ferma per soddisfare la curiosità di sapere che cosa dobbiamo ripristinare!
Gli ultimi raggi di sole tramontano sul monte Cairo, che si innalza maestoso lontano, dietro alla vasca.
Mio padre gira intorno intorno al materiale appoggiato al muro, raccatta uno dei chiodi lunghi arrugginiti e neri, sulla cui testa si riconoscono i colpi di martello dati accuratamente per formarla; si china per trovare il posto adatto ad una cornice caduta fuori posto, ne raduna altre sparse di qua e di là, poi si ferma ad esaminarne una molto difficoltosa da rifare col nostro toupie che non arriva nemmeno ai 3000 giri al minuto; non dà segno di preoccupazione o forse non lo fa abilmente notare a noi; è fiducioso nell’aiuto dei santi protettori e nella guida di Sua Eccellenza.
Chiama a raccolta gli apprendisti e fa portare delicatamente all’interno, nel locale buio che chiamiamo la cantina, le cornici che si sono scollate, che serviranno da modello per ricostruirne altre uguali, e soprattutto i pannelli da incollare, ad alcuni dei quali si devono sostituire intere parti, ormai ridotti in frantumi.
La mattina, appena giorno, si fa sistemare davanti alla porta della segheria i soliti due scanni, due supporti di ferro con ampi piedini arcuati, vi pone sopra tre panconi da due metri e il vecchio foglio di compensato; poi srotola il progetto di Don Pantoni.
Sa bene che da questo può ricavare tutte le notizie di cui ha bisogno: basta saperlo leggere; si rende conto dell’ampiezza della pedana, del numero degli stalli che possono essere riadattati.
Mi affaccio dal balconcino del mio studio e noto che è preoccupato e pensieroso; passato qualche minuto, chiama a raccolta Mario, Nicola e Orazio ed espone le sue difficoltà. Questi stanno a sentire con particolare attenzione e poi cercano di chiarire ogni cosa. Mario, Mario Arpino, evidenzia le difficoltà maggiori per ottenere le cornici semicurve e specialmente quelle grandi, che occorre realizzare con doppia passata al toupie ad albero scoperto, senza guida. E così il discorso va avanti per parecchio; poi mio padre invita a riprendere il lavoro di ieri e di pensare a come risolvere i problemi che sono emersi.
A tarda ora passa da noi Stefano per avvertirci che Sua Eccellenza ci aspetta nel primo pomeriggio di domenica.
È alla porta del suo appartamento alto, imponente: ci accoglie con un sorriso dolce e rassicurante, porgendoci la mano, di cui baciamo l’anello pastorale.
Alto, più alto di noi, ma non per questo solo incute una profonda soggezione: anche quando parla degli aspetti del nostro quotidiano lavoro, conserva sempre il suo intimo, connaturale comportamento di abate, dell’erede di S. Benedetto; nota che siamo in imbarazzo ed allora con estrema cortesia e naturalezza ci mette a nostro agio.
Sul tavolo dai piedi sagomati e dorati, certamente un mobile originale e pregiato, dispiega il disegno, lo esamina di nuovo con attenzione, pensa a ciò che dobbiamo fare e prende a parlare:
“La parte più bella è costituita dal primo pannello che è più in alto di radica di noce: ognuno di questi forma come un quadro, impreziosito dalle cornici poste tra due colonnine. Dovete stare attenti a ricostruirle identiche alle altre che vi sono state portate. L’impiallacciatura ve la procurerò io dalla ditta Bianchini di Via Merulana di Roma.
Vi raccomando di stare attenti a queste cornici: la bellezza del lavoro sta tutta in esse; usate legno stagionato; anche per quelle con lieve curvatura, non ricorrete per esse all’acqua calda; esse, piegate con tale accorgimento, col passare degli anni riacquisteranno la forma originaria diritta.”
E così il discorso va avanti per ore; sono in certo modo stanco, perciò desidererei interrompere la conversazione, andare fuori e fumare una esportazione, ma non si puó. Noto che Sua Eccellenza è dotato di una straordinaria competenza e di una non indifferente resistenza al lavoro: sono più giovane, ma non riesco a stargli dietro.
Usciamo dopo le venti: noi due siamo esausti, invece Don Ildedonso è fresco e sorridente. Ci accompagna alla porta e alza la destra per benedirci.
Ne abbiamo proprio bisogno per cominciare … Come siamo lieti a sentirci parlare nel suo studio con tanta dolcezza!
Nel laboratorio si va avanti alacremente: si seleziona il legno stagionato di castagno per la pedana, si preparano i montanti dei riquadri, si incollano i pannelli. Il lavoro ferve: si procede piacevolmente, senza preoccupazioni. Nelle lunghe giornate si sente qualche battuta spiritosa di Nicola:
– Mario, sono sicuro che la settimana entrante verrà il Padre Abate e tu gli dovrai baciare l’anello, altrimenti non ti darà la benedizione ed allora chissà quante martellate ti darai sulle dita!
– No, don Idelfonso è un uomo come me … Ma … vediamo… Se Stefano mi porta una bottiglia di vino, di vino rosso, di quello buono che fanno a Casalucense, gli bacerò la mano, mi farò anche il segno della croce, altrimenti resterò a lavorare come adesso.
E Orazio si fa ardito pure lui:
– Tu sfotti, ma ti prosternerai pure tu: l’Abate porta la Croce d’oro sul petto e tu non potrai restare impalato in piedi a sentire come una mazza di scopa. Dio è Dio e si deve rispetto a chi lo rappresenta.
Non passa giorno che non si torni a parlare della visita. L’argomento è un ghiotto motivo per alimentare frizzi e arguzie pungenti. Su di esso intervengono persino gli apprendisti; Tonino e Franco osano pure loro e ammiccano un lieve sorriso nei riguardi dello zio:
– Se non ti inginocchierai come il sagrestano ’Ngeppino e non bacerai tre volte l’anello, non avrai la benedizione! Altro che bottiglia di vino!
Le parole si ripetono anche al Bar vicino e l’avvenimento non riguarda più solo il nostro laboratorio, ma tutto il vicinato.
Passano due settimane nella preparazione dello scheletrato e finalmente si inizia il restauro di tre stalli; siamo attenti a verificare come sono state realizzate le singole parti, soprattutto le cornici con un canale molto profondo, la sagomatura della cimasa, che trova rispondenza più in basso nel pannello.
Prepariamo anche uno stallo ex novo e rileviamo che è molto difficoltoso e pericoloso rifare la cornice centinata più grande. Mario ed Orazio si impegnano con tutta la loro pazienza e bravura: occorre esaminare in anticipo la venatura del legno di noce e poi lavorare al toupie ad albero scoperto, con una semplice guida che permette al pezzo di ruotare agevolmente, tenendolo fermo sulla base della macchina con tutta la forza possibile: basta una distrazione di un secondo per rimetterci un dito!
Ma il Santo di lassù, a cui mio padre ha pensato la mattina con l’ora, ci aiuta durante tutta la giornata con il suo precetto completo labora; e così, con apparecchiature rudimentali, riusciamo ad ottenere quanto occorre.
Passa un’altra settimana e finalmente possiamo montare a lato dei tre stalli restaurati quello nuovo, sul quale viene passata ad arte del mordente ad acqua per amalgamare i colori: non si nota alcuna differenza, Mario ha una mano santa. Possiamo così invitare il Padre Abate per avere un giudizio e i consigli opportuni.
Siamo in agitazione! Mettiamo un po’ d’ordine, tentiamo di metterlo; ma quale ordine? La nostra bottega è una babele. La polvere regna sovrana dappertutto. Mio padre cerca di pulire l’altarino di S. Giuseppe e di mettere allo scoperto le candele che suole accendere durante la novena dell’Immacolata. Le battute allora si fanno più pungenti.
Arriva verso le sedici, ritenendo che in Fuorilaporta non ci sia tanta gente; se non che al Bar sono molti avventori e quando scorgono la 128 di Stefano si avvicinano.
Sua Eccellenza incede verso di noi accompagnato dal segretario, un bel giovane benedettino; mio padre si china ed avvicina le labbra all’anello. Dai vari locali del nostro laboratorio accorriamo tutti, grandi e piccoli e facciamo ruota intorno a Lui. La sua figura alta e slanciata ci sovrasta; è sorridente e contento di trovarsi tra chi lavora.
Per primo si inginocchia Mario, tutto raccolto in un silenzio religioso, come in chiesa, allunga la mano e bacia l’anello; poi gli altri: Nicola, Orazio, Franco, Tonino e tutti gli altri.
Io, mio padre e Mario ci fermiamo vicino al Padre Abate a sentire le osservazioni:
– Va bene, mi rendo conto che la parte nuova dovrà essere ancora rifinita! Vi raccomando: usate la colla di pesce e non la Vinavil nell’impastare il preparato per la stuccatura, perché questa lascia un alone che non si toglie nemmeno con una buona carteggiatura.
Nel frattempo intorno al segretario, don Bernardo, si radunano tutti gli altri apprendisti della bottega. E lui si intrattiene in una piacevole conversazione; in men che non si dica entra in dimestichezza con Franco e Tonino, che appaiono i più ritrosi. Poi si avvicinano anche Mario, Orazio e Nicola e gli fanno notare l’altarino con il quadro di S. Giuseppe falegname, protettore della bottega, con due candelieri di legno torniti.
I graditi ospiti vanno via dopo un bel pezzo.
Fuori si è fatta una vera e propria folla e tutti vogliono baciare la mano a Sua Eccellenza. Egli accarezza i piccoli ed impartisce a tutti la benedizione.
Rimasti soli, Mario commenta:
– Avete visto come ci sa fare il Segretario e come è bello? Parla bene e sa capire il prossimo. Diverrà, in tempi futuri, il nuovo abate di Montecassino!

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