Francesco Di Giorgio – Erasmo Di Vito, Cassino 2013.
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Presentazione
Il volume sulla Storia dell’aeronautica militare italiana nel Cassinate di Francesco Di Giorgio e Erasmo diVito allarga i propri confini spazio-temporali dettati dal titolo per operare un’attenta ‘ricognizione’ su strutture che sono state installate su questo territorio e, soprattutto, sulla vicende umane e professionali di persone di questo territorio o che, trasferitesi, hanno svolto la loro attività su di esso. In sostanza un lavoro di ricerca che si snoda tra le situazioni connesse all’impianto e all’attività dell’aeroporto di Aquino, con il suo significativo contributo offerto attraverso la scuola di pilotaggio, tra gli aspetti concernenti strutture pressoché misconosciute oggigiorno, come l’Osservatorio meteorologico di Montecassino, fino alla ricostruzione di fatti e avvenimenti biografici, relativi a giovani aviatori di Cassino e del Cassinate come Alberto Testa e Secondino Pagano, senza dimenticare gli albori del volo e i suoi pionieri, tra aerostieri e dirigibili in cui si va a inserire la vicenda di Vincenzo Pomella, e per finire con una consistente appendice documentaria.
Non solo, tali circostanze oltre a essere ripercorse dettagliatamente, appaiono riportate anche con un non certo malcelato senso di orgoglio. È il caso, ad esempio, della positiva esperienza che ha rappresentato per questo territorio l’installazione dell’aeroporto ad Aquino, per la crescita in termini di arricchimento umano dovuta all’alto livello professionale di chi era stato inviato (comandanti, istruttori ecc.) a prestare la propria attività nella struttura e degli aspiranti piloti che si sono formati nella scuola di volo, ma anche una crescita in termini economici con ricaduta immediata sulle attività locali e con buone prospettive e potenziali margini di sviluppo del sistema produttivo locale con l’ipotesi di installazione, tuttavia mai realizzata, di industrie aeronautiche, cui, purtroppo, ha fatto seguito il declino successivo con la deprecabile situazione attuale.
Parimenti accurate appaiono le ricostruzioni degli aspetti biografici, con abbondante corredo di foto, relativamente ad Alberto Testa, Secondino Pagano e Vincenzo Pomella. Specifico interesse riveste anche la documentazione ufficiale, riportata nel volume, emessa dalle varie autorità del ministero dell’Aeronautica in occasione degli incidenti in cui furono coinvolti i due aviatori. Anzi la ricostruzione dei fatti è operata dagli autori alla stregua di un’indagine giornalistica che, rispetto alla versione ufficiale sulla base della quale essi furono archiviati, finisce per sollevare nuovi dubbi e nuovi quesiti, per aprire nuovi scenari e offrire altre soluzioni.
Al di là di tutto ciò, tuttavia, un tragico destino sembra legare Alberto Testa, Vincenzo Pomella e Secondino Pagano. Tutti e tre, infatti, sono accomunati dall’amore per il volo, tutti e tre sono brillanti giovani destinati a raggiungere alte vette professionali, tutti e tre, in epoche diverse e in situazioni diverse, rimangono coinvolti in incidenti aerei che hanno spezzato le loro giovani vite.
La seconda parte del volume risulta arricchita dalla disamina di un’importante e grave questione, quasi del tutto sconosciuta, relativa agli Internati militari italiani (Imi), che ha riguardato sei-settecentomila soldati italiani, i quali, all’indomani dell’8 settembre 1943, furono deportati (in prevalenza provenienti dalle aree insulari e continentali dei Balcani e della Grecia) in campi di concentramento dislocati nel Terzo Reich. Partendo da un importante rapporto stilato nel 2009 da una Commissione storica italo-tedesca e pubblicato nel 2012, di cui opportunamente vengono sottolineate le auspicabili raccomandazioni, gli autori ricostruiscono le vicende che portarono alla cattura, al disarmo e al trasferimento nei lager nazisti dei soldati italiani, alla loro trasformazione in Imi e poi in lavoratori civili, alle dure condizioni di vita imposte per quasi due anni, all’umiliante rapporto con il personale di guardia dei campi e con la stessa popolazione tedesca fino alla liberazione e al ritorno in Patria.
Le condizioni di vita degli Internati nei campi di concentramento si rivelarono fin da subito estremamente difficili a causa della fame, del freddo e delle malattie: dall’insufficienza dei prodotti alimentari distribuiti, ai rigori del clima invernale (si consideri che gli internati provenienti dalle zone dell’Egeo per tutto il periodo continuarono a vestire la divisa estiva indossata al momento della cattura, mentre molti altri furono spogliati dei loro cappotti e delle loro coperte al momento dell’internamento), al duro lavoro coatto cui furono, in parte, obbligati, alle pessime condizioni igieniche, alla pressoché totale mancanza di medicinali, tutto ciò seguito dal proliferare di numerose malattie (in particolare tubercolosi, polmonite, pleurite, nefrite, malaria, tifo petecchiale, dissenteria e tutte quelle legate alla scarsa alimentazione). Inoltre agivano nello stesso momento anche le implicazioni di stampo psicologico dovute alla delusione provata nei confronti dei vertici politico-militari che li aveva lasciati privi di ogni indicazione, all’essere stati internati con l’inganno da parte dei nazisti, alle umiliazioni patite nel trasferimento e alle angherie e offese sofferte quotidianamente all’interno dei campi così come nei rapporti con la popolazione civile tedesca. Parimenti c’era l’inedito status di Internati Militari loro assegnato che non permetteva di considerarli dei prigionieri di guerra essendo dei cittadini di uno Stato alleato, quello della Repubblica Sociale Italiana, per cui si ritrovarono sottratti dalla Convenzione di Ginevra del 1929 con esclusione dal diritto di ricevere aiuti e assistenza dalla Croce Rossa Internazionale (l’applicazione di tale qualifica, che non aveva base giuridica in quanto spettava ai militari di uno Stato in guerra che si rifugiavano in uno Stato neutrale, discendeva, sostanzialmente, dal fatto che i nazisti reputavano gli italiani dei traditori).
Nel corso dell’internamento morirono tra i 30 e i 50.000 soldati italiani per la maggior parte per malnutrizione e malattie, e poi per esecuzioni per insubordinazione o a causa dei bombardamenti alleati o nel corso dei lavori coatti. Le salme degli Imi periti in quei frangenti furono inizialmente sepolte in fosse comuni scavate in cimiteri ubicati in prossimità dei campi, o, talvolta, furono cremate. Alla fine della guerra il Commissariato generale onoranze ai caduti di guerra si adoperò per dare degna sepoltura a essi. Furono apprestati sei grandi cimiteri militari italiani d’onore di cui quattro in quella che allora si chiamava Germania Ovest o Repubblica Federale Tedesca (ad Amburgo, Berlino-Zehlendorf, Francoforte sul Meno e Monaco di Baviera) uno in Austria (a Mauthausen-Gusen) e uno in Polonia (a Varsavia nel quartiere di Bielany). Tuttavia nei territori tedeschi fu possibile operare solo nell’ambito nella parte occidentale, mentre invece nella cosiddetta Repubblica Democratica Tedesca o Germania dell’Est, non fu possibile intervenire se non dopo la caduta del muro di Berlino avvenuta il 9 novembre 1989 con il recupero di circa duemila salme, anche se ancora oggi molti altri caduti riposano in tombe singole o in fosse comuni di cimiteri locali. Va aggiunto, infine, che alcune salme sono rientrate nei luoghi di estrazione territoriale per volontà delle famiglie di origine. Opportunamente alla fine della disamina relativa alla questione, Di Giorgio e Di Vito hanno voluto inserire un elenco di Imi provenienti dal Cassinate che sono morti nei campi di concentramento tra il 1944 e il 1945, con l’indicazione dei dati anagrafici, del cimitero in cui riposano con segnalazione della posizione tombale e, per taluni, di alcune note a corredo.
A fine guerra gli ex-Imi che sopravvissero all’internamento fecero ritorno in Italia, ma il rientro fu caratterizzato da nuove difficoltà a causa del loro reinserimento in una società civile profondamente diversa da come l’avevano lasciata anni prima e in cui stavano facendo il loro ingresso nuovi valori e nuove istituzioni. Alla desolazione per le distruzioni patite dal territorio, come quelle verificatesi lungo la «linea Gustav», ai lutti per la scomparsa di familiari si andarono ad aggiungere, ad esempio, le difficoltà occupazionali, quelle nel reperire sufficienti mezzi di sostentamento ecc. nonché il disinteresse della società nei loro confronti. Anzi il senso di disagio di tali reduci aumentava progressivamente poiché essi rappresentavano qualcosa del passato che, con il suo tragico carico di lutti e sofferenze, si voleva velocemente dimenticare. Oltretutto gli ex-Imi raffiguravano quell’esercito militare che aveva combattuto una guerra sbagliata per conto del fascismo, al fianco del nazismo e che anzi aveva continuato a sostenerlo nello sforzo bellico con il lavoro coatto prestato nei mesi di internamento. Soprattutto, però, gli Imi si erano ritrovati assenti, anche se forzatamente, dalla lotta partigiana, cioè da quella guerra di Resistenza che aveva poi portato alla liberazione dal nazi-fascismo (al massimo gli si poteva riconoscere la partecipazione a una resistenza “passiva”). Dunque la questione degli ex-internati finì, via via, per essere trascurata dalle istituzioni, dalla società e dagli stessi vertici militari, e i reduci chiusero nella loro mente i ricordi della loro dolorosa esperienza vissuta, evitando di condividerli con i familiari, cercando, anzi, di rimuoverli. Anche la ricerca storica lungamente non si è interessata a loro e solo da una ventina d’anni la questione ha iniziato a suscitare attenzione sulla spinta, essenzialmente, delle pubblicazioni di stampo memorialistico pubblicate direttamente da alcuni ex-internati o da loro parenti che hanno ritrovato, accantonati e dimenticati da qualche parte in casa, materiali di vario genere (documenti, carte, diari, annotazioni ecc.).
In definitiva il presente volume scaturisce da una documentata, seria e certosina ricerca svolta da Francesco Di Giorgio ed Erasmo di Vito i quali hanno maturato già interessanti esperienze editoriali e sono dei validi collaboratori nonché autori di saggi pubblicati nel bollettino «Studi Cassinati». Per tali motivi il Centro Documentazione e Studi Cassinati si compiace di poterlo ricomprendere nelle proprie edizioni.
Gaetano de Angelis-Curtis
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