1873: terremoto nella Valle di Comino. Ingenti i danni ma nessuna vittima. Cronaca inedita di un disastro.


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Studi Cassinati, anno 2017, n. 3
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di Emilio Pistilli

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Che la Valle di Comino sia ad alto rischio sismico non è una novità; pare accertato che la gran parte dei terremoti che hanno sconvolto nei millenni il Lazio meridionale e il nord della Campania abbia avuto spesso epicentro a ridosso di S. Donato Val di Comino.

Il primo di cui la storia ci ha tramandato memoria fu quello del 5 febbraio del 63 d. C. sotto Nerone, con gravissimi danni fino a tutta la Campania; seguì quello ormai noto a tutti del 24 agosto dell’anno 79, in concomitanza con l’eruzione del Vesuvio che seppellì Pompei ed Ercolano. Poi altri nel 321 e nel 345: quest’ultimo distrusse 12 città della Campania.

A partire dal nuovo millennio tutti i terremoti che interessarono la nostra terra furono puntualmente registrati dai monaci di Montecassino nelle loro cronache. Si veda l’elenco dettagliato che ci fornisce Gennaro De Marco, professore di storia naturale nel Liceo di Montecassino, nel suo libro Montecassino illustrato nei tre regni della natura, del 1888, di cui abbiamo ampiamente trattato nello scorso numero di «Studi Cassinati» (n. 2/2017, pagg. 107-119). Egli inizia dal terremoto del 1005, durato oltre quindici giorni, e si ferma al 1887.

Nell’elencazione ne mancano alcuni che furono di particolare virulenza, come quello del 23 luglio 1654, che, protraendosi fino al 12 agosto, causò circa 3000 vittime martoriando dapprima gli abitati di Pontecorvo, Roccasecca, Piedimonte S. Germano, Atina, Alvito e successivamente quelli di Sora, Arpino, Isola del Liri; le cronache dell’epoca riferiscono che addirittura si spaccò il monte Corvo.

Manca anche quello del 1873, che causò gravi danni in tutto il Distretto di Sora ed in particolare nella Valle di Comino; di esso le cronache si sono scarsamente occupate, però disponiamo di un documento molto interessante: la relazione redatta da un’apposita Commissione scientifica inviata sul luogo dall’autorità della provincia di Terra di Lavoro per studiare le cause del sisma; la relazione fu firmata in Caserta nel mese di novembre del 1873 dai proff. Luigi O. Ferrero, Nicola Terracciano e Camillo Marinoni relatore.

Di tale documento rimane solo la pubblicazione negli Annali della Stazione Agraria di Caserta annessa all’Istituto Agrario provinciale.

Tralascio, di quella relazione, le ipotesi e le spiegazioni circa il fenomeno sismico, dettate dalle precarie conoscenze scientifiche dell’epoca in materia, preferendo, invece, riportare le notizie relative agli effetti sui centri abitati. I danni maggiori furono registrati a Sora, Alvito, S. Donato, Settefrati, Picinisco, Atina; va rilevato che non si hanno notizie di morti nonostante la gravità del movimento tellurico.

«Nessun segno precursore del vicino disastro; ma la scossa del 12 luglio sorprese tutti pienamente all’impensata, sicché‚ neppur fu notato se precedesse o no il rombo. Verso le 7 ore del mattino un commovimento generale, scosse con urto violentissimo tutto il circondario Sorano nella valle del Liri fin ne’ dintorni di Arce e in quella di Alvito sino ad Atina e Belmonte Castello, non che‚ un’amplissima plaga di paese circostante nel territorio Romano e nell’Abbruzzese. La prima scossa fu ondulatoria e assai violenta: in ciò concordano le testimonianze di molti: successero quindi altri squassi che si ripeterono l’un dopo l’altro con moto qui sussultorio (Atina), altrove vorticoso (Isola), sempre però con minore intensità; quantunque più orrendi perché preceduti e susseguiti dai rombi sotterranei. La prima scossa durò in tutto 10 minuti secondi; ma pur troppo che gli edifizi non meno che il suolo ne provarono i tristissimi effetti. Bastò quel brevissimo tempo perché più di una capanna e di un abitato venissero cambiati in un desolante ammasso di macerie, ovvero minacciassero rovina. Ad Alvito, a Sandonato, Settefrati, Picinisco, Atina, nonché nella città di Sora, a Isola del Liri e ad Arpino fino ad Arce larghe lesioni si fecero nei fabbricati, che così mal ridotti si dovettero quindi puntellare ed abbandonare, talché la popolazione sgomentata fuggì all’aperto e stette tutta quanta attendata nelle campagne, negli orti, nel letto del fiume come a Sora, e sulle piazze dove si eressero altari per celebrarvi i divini uffizii. – Furono guaste 40 case e sprofondò il tetto di capanna in Sandonato, cadde una casa in Casalattico, due case in Sora vennero in un batter d’occhio distrutte quasi per intero, mentre tutte le altre rimasero più o meno gravemente lese, sopratutto la chiesa di santa Restituta patrona della città, e il seminario vescovile che patirono tali danni ad doversene immediatamente effettuare la chiusura. Un casino di villeggiatura fra Sora e Isola, da poco edificato fu letteralmente sfasciato appunto per le sue condizioni statiche (ad archi) molto peggiori di quelle delle case comuni, ed altri sono stati resi inabitabili; furono visti i fumajuoli dei camini muoversi in giro, furono smossi i capi fissi di alcune macchine in certe cartiere di isola, e si dovette sloggiare in gran furia il Collegio Tulliano di Arpino, perché attraverso alle volte delle sue sale si era veduto il celo e minacciava rovina. Ad Atina non caddero case ma terribili lesioni si vedevano in moltissimi fabbricati e principalmente nel lato sinistro della chiesa; danni maggiori si ebbero a Settefrati; ed a Picinisco atterrò due abitazioni e ad altre 52 cagionò ampie crepature necessitanti pronto riparo. In quest’ultimo paese la scossa dovette essere assai violenta, e per quanto pare anche vorticosa: strappò essa tre merli della torre dell’antico castello feudale, enormi massi in pietra che stavano incastrati nella solidissima muraglia per quasi mezzo metro. Né si limitò a questo, ma dai dati raccolti per le bocche dei contadini e di quelli del luogo seppi che non men gravi danni fé pure a ponente nei diversi comuni del circondario di Frosinone, più a est nella valle della Marsica e verso gli Abbruzzi. In Civitella, Alfedena, Villetta, Barrea, Pescasseroli, villaggi situati ai piedi del versante orientale del M. Meta, la scossa fu violentissima, ondulatoria prima, sussultoria in seguito, e dappertutto case e chiese minaccianti rovina. Meno intenso invece fu lo scuotimento in un raggio più lontano, e quindi appena sensibile e senza danni nella valle di Roveto e nei dintorni del Lago Fucino fino ad Aquila, a Solmona, Castel di Sangro, Isernia, S Biagio Saracinesco, Venafro, Monte Cassino, S. Giovanni Incarico, Ceprano ed altre località.

Dopo questa prima e più terribile scossa la terra non parve ancor rassegnata a mantenersi nella nuova condizione di equilibrio. In Sora notaronsi altre oscillazioni alle ore 9 ½ ed alle 11 antimeridiane; ma lievi in confronto della prima. Altrove per tutto quel giorno le scosse continuarono senza interruzione specialmente nel centro del parossismo, la Valle di Comino, talché per esempio prima di sera ne erano già state segnalate 10 in Alvito e 11 in Settefrati di intensità diversa ma pur sempre leggere. Quindi ripigliarono quasi ogni giorno, sempre precedute e susseguite da rombi di indeterminata provenienza, e si poteva ben dire che il suolo continuamente tremasse sotto a’ piedi. Si risentì poscia fortissima un’altra scossa di natura sussultoria la notte del 23 al 24 luglio a un’ora circa antimeridiane. Il giorno 29 luglio, quando la Commissione era sul teatro di tutte quelle rovine, si fecero pure sentire due leggere scosse, dopo di che la terra riprese il suo stato di agitazione fino ai 10 del successivo agosto, epoca verso la quale parve cessare ogni parossismo».

La relazione, dopo aver determinato la direzione del movimento tellurico, con epicentro ad ovest della valle, passa a fornire altri dettagli sugli effetti.

«Da monte detto Castellone, che sta dietro Picinisco, si staccarono per l’urto e quindi franarono precipitando nella Melfa enormi macigni, talché una lieve nube di polvere aleggiò per qualche tempo nella valle incoronando il monte. Più su, nelle valle di Canneto caddero pure grossi massi e furono divelti dal suolo annosi alberi; mentre la sera del 16 luglio un’enorme macigno staccossi dal monte S. Carto sovrastante Sora e ruinando furiosamente abbatté una casa.

Un’altro fenomeno che venne osservato da quei terrieri, i quali concordano nel darne i più minuti ragguagli fu l’arresto momentaneo delle acque della Melfa, nell’atto della scossa; – ma tosto ripresero a fluire e per oltre 20 minuti scorrettero torbide assai. Intorbidarono pure le acque alla cartiera Bartolomucci sotto Picinisco; ed analogamente avvenne delle acque del Fibreno. Esso se ne esce dal piccolo lago della Posta, correndo limpidissimo e placido in un’antico letto scavato tra i travertini da esso stesso deposti in tempi anteriori, finché ad 8, o 10 chilometri dalle sorgenti si getta nel Liri. Presso la località chiamata Ponte Tapino gonfiò improvvisamente e straripò allagando i circostanti terreni; e sembra che nell’atto della convulsione del suolo il suo letto si sia in quel punto sollevato e come squarciato per un breve momento, ragione che darebbe spiegazione anche dell’intorbidamento delle sue acque. […] Un fenomeno curiosissimo poi si ebbe a notare nelle notti del 18 e del 20 luglio. Furono osservate lunghe strisce serpeggianti di luce in mezzo a baleni sulle montagne di Casalattico e di Sandonato».

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