Un memoriale inedito scritto nel 1945 dal futuro abate Martino Matronola sulle vicende di Montecassino prima e dopo il bombardamento (1943-1944)


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«Studi Cassinati», anno 2019, n. 1
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di Mariano dell’Omo

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Si ringrazia vivamente d. Mariano Dell’Omo (OSB), archivista autorevole del prestigioso Archivio di Montecassino, per aver voluto scegliere «Studi Cassinati» per pubblicare l’inedita e interessante «Relazione» redatta da d. Martino Matronola nel 1945, per di più facendola precedere da una dettagliata nota introduttiva e trattandola in modo meticolosamente filologico.

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Fig. 1

Fig. 1

Sul «New York Times» di mercoledì 16 febbraio 1944 in testa a una grande foto del monastero di Montecassino visto dall’alto (Associated Press Wirephoto) si legge il titolo: The Abbey of Mount Cassino wich was bombed to dislodge fortified Nazis, e nel sottotitolo un’affermazione altrettanto e ancor più erronea: The monastery which housed the Benedictines before it was occupied by the Germans. L’abbazia, com’è ormai universalmente noto, non divenne mai una fortezza di difesa nello scontro tra la Wehrmacht e gli eserciti alleati, né fu mai occupata dagli stessi militari tedeschi che sempre ne rispettarono l’inviolabilità fino al 15 febbraio giorno del bombardamen-to. A confermare ancor più questa verità storica ormai acclarata, non foss’altro per le dichiarazioni ufficiali rilasciate dopo il bombardamento dall’abate Gregorio Diamare, giunge ora la pubblicazione di questo memoriale di don Martino Matronola, futuro abate di Montecassino, che sono ben lieto di rendere noto in questo 75° anniversario della distruzione di Montecassino e Cassino. Ritrovata tra le carte dell’Archivio cassinese, questa «Relazione» in 8 cartelle dattiloscritte datata 22 febbraio 1945 (Fig. 1) – cui sono allegate altre 2 (23 febbraio 1945) con ulteriori particolari riguardanti in special modo la sicurezza dei beni di valore religioso e artistico rimasti tra le macerie di Montecassino –, fu redatta da don Martino e poi inviata, su sua richiesta come sembra, ad Alcuin Deutsch (1877-1951)1, dal 29 dicembre 1921 abate di Collegeville (Saint John’s Abbey)2 nel Minnesota (USA), una delle più importanti abbazie nordamericane.
Quella che ora vede la luce non è una relazione qualunque: ne è autore uno dei principali protagonisti degli eventi che vi sono narrati con uno stile asciutto, sintetico, ma non privo di fremiti di commozione da parte di chi fu coinvolto in prima persona nel dramma che descrive a partire dal 14 ottobre 1943 fino al 23 giugno 1944. Nei fatti riportati l’autore si rifà con evidenza al contenuto del Diario di guerra tenuto da don Eusebio Grossetti fino al 29 gennaio 1943, e poi a causa della malattia di quest’ultimo, continuato direttamente dallo stesso Matronola3. Eppure del tutto originale è la lucidità di pensiero che guida l’esposizione, l’essenzialità dello stile, la continuità della narrazione che non si perde in particolari ma va dritta al cuore del drammatico succedersi di ore e poi di giorni che conducono inesorabilmente e irreparabilmente verso l’ora x del 15 febbraio, destinata a segnare una svolta nella storia di Montecassino e della stessa II guerra mondiale combattuta sul territorio italiano. Quel che emerge in particolare dal racconto estremamente accorto, prudente ed equilibrato di don Martino, e che a mio avviso può essere preso come chiave di lettura dell’intera relazione, è la meticolosa, puntuale, reiterata quanto serena testimonianza circa il fatto che l’abate Diamare e i monaci fecero di tutto per tenere lontana qualsiasi unità militare non solo dall’interno dell’abbazia ma anche dai suoi paraggi, in modo da evitare ambiguità e quindi pretesti per attaccare l’abbazia stessa, come invece purtroppo cominciò gradualmente e via via implacabilmente ad accadere fino alla distruzione finale. Resta incontrovertibile il fatto che l’abbazia mai prima del bombardamento fu sede di postazioni militari germaniche; basti qui ricordare quello che scrive lo storico inglese Matthew Parker: «I tedeschi rispettarono alla lettera la promessa di non collocare truppe all’interno dell’edificio», e non a caso fonte di tale affermazione è «il diario del segretario dell’abate, Martino Matronola»4. Eppure quando don Martino raccogliendo le notizie registrate in modo frammentario nel Diario, redige la «Relazione» per l’abate Alcuin, di carattere privato ma estremamente precisa e direi quasi notarile, trattava un argomento bruciante, sul quale le idee, i pareri, le convinzioni erano diversi se non divergenti. Un punto fermo l’aveva posto lo stesso abate Diamare la sera del 15 febbraio dichiarando e scrivendo di proprio pugno, come gli era stato chiesto da rappresentanti dell’esercito tedesco: «Attesto per la verità che nel recinto di questo Sacro Monastero di Montecassino non vi sono stati mai soldati tedeschi, vi furono soltanto per un certo tempo tre gendarmi al solo scopo di far rispettare la zona neutrale che si era stabilita intorno al Monastero; ma questi da circa venti giorni furono ritirati. Montecassino 15 febbraio 1944». Don Martino però si preoccupa nella «Relazione» di specificare alcuni movimenti e scelte strategiche dei militari tedeschi che sebbene fuori del recinto claustrale, si svolgevano nondimeno nelle vicinanze del monastero, e quindi andavano precisati a scanso di equivoci, quegli stessi che hanno poi trovato già allora e ancora in seguito amplificazione, esagerazione se non falsificazione. È utile sottolineare almeno questi rilievi che si leggono nella «Relazione»:

  1. «Ai primi di dicembre ebbero inizio lavori militari nella parte superiore della montagna, ma sempre ad una certa distanza dalla Badia stessa: venivano ampliate grotte, si preparavano osservatorii e piazzole per mortai, furono depositate munizioni di grosso calibro per mortai in due grotte site al km. 8 della strada carrozzabile e a qualche diecina di m. in linea d’aria dal recinto dell’orto. Cominciarono allora le nostre preoccupazioni per la sicurezza del Monastero e facemmo le nostre rimostranze ai gendarmi ed ad ufficiali superiori venuti a visitare la Badia».
  2. «Il 7 gennaio (…) in linea privata sapemmo dai due gendarmi che il Monastero con il recinto dell’orto, compresi gli edifici di S. Agata (a oltre 200 m. dal monastero) e di S. Giuseppe (a 70-90 m.), era zona interdetta ai militari. Essa di fatti non fu mai violata fino a che noi rimanemmo nella Badia. Da quel giorno rimanemmo perfettamente reclusi nel monastero sotto la severa vigilanza di due soli gendarmi. Essi erano alla porta del Monastero e vigilavano la zona interdetta. Non era loro permesso aggirarsi nell’interno della Casa. A nostra volta noi vigilavamo loro».
  3. «Da che il fronte si spostò a Cassino le granate anglo-americane cominciarono a cadere sul Monastero con un’intensità sempre crescente. (…) La situazione sulla cima della montagna, per quello che potevamo osservare prudente- mente noi, era la seguente: nella valletta, al di qua del cavalletto della funivia, ad una distanza superiore ai 200 m. dal recinto dell’orto (lato sud-est) funzionava, non però prima del 3 febbraio, una batteria tedesca di mortai (le munizioni dalle grotte di cui sopra furono portate presso i pezzi il 3 febbraio); sul cucuzzolo di M. Venere (cavalletto della funivia), la quota 435 divenuta poi tanto famosa, a 300 m. dal recinto dell’orto, vi era un osservatorio militare; a lato sud del monastero, alcune diecine di m. al di sotto del recinto dell’orto, vi erano in una grotta dei soldati di artiglieria, forse per solo alloggiamento: questi però andarono via alla fine di gennaio e non furono rimpiazzati da altri; a lato est (su Cassino) alcuni m. al di sotto del recinto dell’orto, in due grotte vi erano dei Tedeschi, ma non sappiamo se furono rimpiazzati da altri dopo i fatti avvenuti il 5 febbraio, di cui in seguito; a lato nord, lungo il tratto della strada carrozzabile all’8° km. nelle grotte dovevano essere dei Tedeschi; alla località Fortino, a un 300 m. dal monastero, lato nord-est, funzionava un osservatorio, occupato poi da truppa combattente tedesca; un altro osservatorio era molto più lontano, ma esso fu abbandonato già alla fine di gennaio; a S. Onofrio, a un 500-600 m. dal Monastero, pure dei soldati».

È interessante quello che scrive don Martino nell’imminenza del bombardamento finale: «Il 10 febbraio all’Ufficiale medico venuto a visitare nostri malati furono manifestate le nostre apprensioni. Egli rispose che gli Anglo-Americani dovevano vedere dai loro osservatorii che veniva colpito il Monastero e che da questo non partiva nessun colpo».
Da Montecassino dunque non partivano colpi, ma evidentemente una diversa logica e strategia di guerra veniva elaborata tra le file degli Alleati a fronte della resistenza tedesca e specialmente del fatto che, come scrive don Martino nella «Relazione», «la suprema Autorità Militare Tedesca aveva tracciata la linea di resistenza agli Anglo-Americani dall’Adriatico al Tirreno rasentando la montagna di Montecassino»: tutto lasciava credere che i tedeschi su questo non avrebbero ceduto, e nel frattempo, nota il Matronola riferendosi al 19 di gennaio 1944: «rimanemmo abbandonati alla nostra sorte, completamente isolati, con i cancelli e i portoni chiusi a chiave».
Quello che scrive don Martino nella sua «Relazione» ad un anno esatto dal bombardamento è tanto più importante se si consideri quel che il delegato apostolico a Washington mons. Amleto Cicognani, futuro Segretario di Stato di Giovanni XXIII, scriveva al cardinale Luigi Maglione, Segretario di Stato, la sera del 14 febbraio 1944: «Stampa americana mette innanzi necessità bombardare Abbazia Montecassino perché è diventata (così si dice) non solo osservatorio, ma anche fortezza del nemico»5.
Finalmente, consumatasi la tragedia del 15 febbraio, anche i vertici della S. Sede possono ottenere informazioni su quello che era accaduto, direttamente dalla voce dell’abate Diamare e di don Martino, ormai in salvo a Roma. In una nota del 20 febbraio 1944 scrive mons. Domenico Tardini segretario della Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari: «Alle ore 10 ho parlato con S.E. Mons. Diamare e col monaco suo segretario <don Martino Matronola>, che gli è stato sempre vicino durante le ultime vicende. Ho lasciato che i due, un po’ alternandosi, un po’ completandosi l’un l’altro nella loro esposizione, raccontassero tutti i dettagli della dolorosa fine di Montecassino. La narrazione è durata più di un’ora. (…) Intanto scrivo io stesso le conclusioni generali e i punti più importanti che ho raccolto da S. E. l’Abate. (…) Nell’interno dell’Abazia non vi furono mai né soldati tedeschi, né nidi di mitragliatrici, né cannoni, né posti di osservazione. L’Abate ripetutamente assicura quanto sopra. Egli – che con qualche monaco rimase lassù fino alla fine – non avrebbe mai permesso che i tedeschi entrassero nel monastero per mettervi obiettivi militari»6.
Eppure ancora il 3 aprile 1944 Harold H. Tittmann incaricato d’affari degli Stati Uniti presso la S. Sede portava a conoscenza della Segreteria di Stato vaticana «il testo di una dichiarazione del Comando alleato del settore di Montecassino circa la distruzione di quella celebre Abbazia. Secondo l’anzidetta comunicazione, il Comando alleato avrebbe avuto l’indiscutibile prova che l’Abbazia formava parte del sistema di difesa germanico»7. Ebbene la risposta della S. Sede non poteva che essere a conferma di quanto ripetutamente aveva dichiarato l’abate Diamare: che cioè «entro il recinto dell’Abbazia non si trovava alcun militare tedesco, né combattente, né osservatore, e non vi erano apprestamenti bellici»8.
Infine prima di dare spazio all’intera «Relazione» scritta da don Martino, occorre sottolineare un ultimo aspetto che il Matronola non manca di rievocare con chiarezza seppure con una certa punta di amarezza, circa il comportamento dei militari sia alleati (neozelandesi) che tedeschi nel “saccheggio” di oggetti preziosi rinvenuti tra le macerie, un fatto grave che trova puntuale riscontro nella relazione sull’argomento inviata il 15 luglio 1944 al già sopra menzionato mons. Tardini dall’abate di Cava Ildefonso Rea, che di lì a poco sarebbe divenuto abate di Montecassino9. Anche di questo documento don Martino dovette disporre a tal punto che se ne serve qua e là alla lettera, come quando ne cita parola per parola le conclusioni: «Ebbe così fine il grave saccheggio, tanto più spiacevole perché completava la distruzione di quello che si era salvato dalla terribile rovina della guerra».
Nel venticinquesimo anniversario della scomparsa dell’abate e vescovo Martino Matronola (1903-1994) queste parole fatte sue, e tanto più preziose in quanto attinte dalla penna del suo predecessore, valgano a testimoniare ancora una volta quanto il Montecassino di oggi debba riconoscenza al fedele e coraggioso segretario dell’abate Diamare.

I
Montecassino, Archivio dell’Abbazia
[f. 1a] Relazione inviata all’Abate di Collegeville(a) su sua richiesta – per uso privato – 22/1/45(b).
Il 14 ottobre 1943 si presentarono al P. Abate un Tenente Colonnello10 e un Capitano Medico tedesco11, dicendosi inviati dal loro Generale: l’invitarono a mettere in salvo i tesori culturali ed artistici della Badia, e a lasciare con i Monaci Montecassino. Poiché il P. Abate si mostrò stupito e preoccupato, gli concessero una giornata di tempo per udire il parere della Comunità. Ritornati fu detto loro che i Monaci non intendevano lasciare Montecassino, né tanto meno l’Abate. Ma essi ripeterono più che l’invito l’ordine, sebbene espresso in forma cortese, di evacuazione, dichiarandosi pronti a mettere a nostra disposizione automezzi per il trasporto di persone e di cose a Roma, ed anche più a nord se lo avessimo voluto. In linea riservatissima comunicarono al solo P. Abate che la suprema Autorità Militare Tedesca aveva tracciata la linea di resistenza agli Anglo-Americani dall’Adriatico al Tirreno rasentando la montagna di Montecassino: essi quindi non potevano permettere a civili di rimanere sul posto. Si fu costretti a sottostare alle loro ingiunzioni, dichiarando di volerci fermare a Roma, ove desideravamo che fosse pure depositato tutto ciò(c) che(d) usciva da Montecassino.

Fig. 2

Fig. 2

Il 17 ottobre s’iniziarono le operazioni di sgombero, terminate il 3 del mese successivo (Fig. 2). Furono trasportati con automezzi tedeschi l’Archivio e la Biblioteca Monumentale, quello che si potè della Biblioteca privata, alcuni più importanti quadri della Mostra, i più ricchi paramenti, le reliquie più insigni della Sagrestia. Dalla Basilica furono tolti solo i corpi di quei Santi, le cui ricognizioni rimontavano ad alcune diecine di anni: tutto il resto fu lasciato in situ. Furono portate via anche numerose casse del Museo di Napoli, depositate a Montecassino nell’estate del ’43 perché si riteneva luogo sicuro.
Credevamo che tutto fosse stato trasportato a Roma; ma purtroppo dopo qualche giorno venimmo a sapere che l’Archivio coi codici e diplomi(e) come pure la Biblioteca Monumentale e le casse del Museo di Napoli erano state portate a Spoleto. Avendo i nostri Monaci presentata vivissima istanza presso il Governo di allora e(f) presso la S. Sede, il Governo Germanico dietro pressione della S. Sede(g) riconsegnò ai Monaci(h) la Biblioteca Monumentale e l’Archivio e al Governo Italiano le casse del Museo di Napoli: cose tutte depositate ora presso il Vaticano12.
I Monaci furono trasportati a Roma, ove la maggioranza di essi trovò caritatevole ospitalità nei monasteri Benedettini. Anche con automezzi tedeschi furono portate a Roma le tre Comunità religiose femminili con un Orfanotrofio femminile di Cassino, ricoverate nella Badia dopo il primo bombardamento della Città avvenuto il 10 settembre 1943. Dovette sgombrare pure, ma con mezzi propri, dall’interno del Monastero e dagli edifici adiacenti al Monastero(i) numerosa popolazione di Cassino che era stata accolta nella Badia dopo il bombardamento della Città.
Durante le operazioni di sgombero ci fu comunicato che il Comando Tedesco dava autorizzazione all’Abate ed ad alcuni Monaci di rimanere a Montecassino. Intanto la S. Sede era stata informata di quanto accadeva a Montecassino.
Nella Badia rimasero col P. Abate cinque Monaci, cinque Fratelli Conversi, un Oblato e un Sacerdote secolare.
Per impedire razzie da parte soprattutto di militari e per una(j) certa garenzia al Monastero, il P. Abate chiese alcuni gendarmi da destinarsi esclusivamente per la protezione del Monastero. Questi infatti vennero in numero di 3 e demmo loro alloggio nel salottino situato alla porta ordinaria del Monastero(k). Essi avevano ordini di far rispettare i beni del Monastero ed impedire le continue visite di militari ad esso. Quest’ultimo ordine però non fu eseguito perché l’afflusso dei visitatori continuò come prima.
[f. 2a] Perché poi il patrimonio terriero e zootecnico della Badia fosse custodito e perché s’avesse pure un personale sufficiente per i bisogni della Casa, il 27 novembre fu chiesto ed ottenuto dal Comando di Divisione il permesso per 10 famiglie(l) di coloni e 8 di dipendenti di rimanere a servizio della Badia: esse trovarono alloggio parte in un corridoio cieco sotto i Musei di Scienze Naturali, con un’entrata esterna situata ad ovest, parte nell’edificio chiamato S. Giuseppe a circa 70-90 m. dalle mura del Monastero.
Ai primi di dicembre ebbero inizio lavori militari nella parte superiore della montagna, ma sempre ad una certa distanza dalla Badia stessa: venivano ampliate grotte, si preparavano osservatorii e piazzole per mortai, furono depositate munizioni di grosso calibro per mortai in due grotte site al km. 8 della strada carrozzabile e a qualche diecina di m. in linea d’aria dal recinto dell’orto. Cominciarono allora le nostre preoccupazioni per la sicurezza del Monastero e facemmo le nostre rimostranze ai gendarmi(m) ed ad ufficiali superiori venuti a visitare la Badia.
Il 10 dicembre venne novello ordine di sgombero per i civili che numerosi erano ritornati a ricoverarsi, contro il nostro volere, nelle adiacenze della Badia, ma non tutti obbedirono preferendo molti darsi alla macchia per la montagna e rifugiarsi di notte assieme ai nostri coloni negli edifici adiacenti: anzi altri ne sopravvenivano con la convinzione di essere al sicuro all’ombra del Monastero.
Il 12 dicembre un Capitano Tedesco, inviato dal Comando Supremo del Sud, comunicò in modo ufficiale al P. Abate la decisione del Comando Tedesco di stabilire una zona di protezione di 300 m. attorno al Monastero, interdetta a qualsiasi militare ed automezzo, allo scopo di salvaguardare dalle offese belliche un sì insigne monumento. Tale decisione per mezzo della S. Sede sarebbe stata comunicata agli Anglo-Americani. Perché poi fosse tolto a questi(n) qualsiasi pretesto per un’offesa bellica contro il Monastero, pregò il P. Abate di permettere il ritiro, al di fuori dei 300 m., dei tre gendarmi, che sarebbero però(o) rimasti a custodia della zona. Infine dava formale assicurazione che ogni movimento di automezzi sarebbe stato proibito, interrotto ogni lavoro e portate via le munizioni. In via provvisoria però, poiché il P. Abate aveva manifestato al Capitano, e il giorno seguente anche al Generale di Divisione13, l’opinione che i tre gendarmi che avevano già prestato utili servizi al monastero e che erano esclusivamente per la protezione di esso, potevano pur continuare a restare nella Badia, essi vi rimasero.
Poiché dal Comando di Divisione non vennero mandati i militari per delimitare la zona dichiarata neutrale, il 14 dicembre e giorni successivi i monaci stessi, sotto la vigilanza dei gendarmi, misurarono i 300 m. concessi, collocando nei luoghi di accesso o importanti strategicamente apposite tabelle e sbarrarono la strada carrozzabile ad alcune diecine di m. dopo il 7° km.
Ma nonostante gli ordini impartiti si ebbe ancora qualche rara visita di ufficiali, concessa da noi solo per ragioni di prudenza e compiuta sempre sotto la nostra immediata guida; i lavori continuavano; la via veniva usufruita, e le munizioni non venivano tolte. Non mancammo di fare le nostre rimostranze ai gendarmi ed anche al Cappellano della Divisione perché comunicassero la situazione a chi di dovere.
Poiché il 18 e il 19 dicembre qualche granata e bomba anglo-americana cadde(p) vicinissima al Monastero e vicina alle grotte delle munizioni, il P. Abate ne scrisse al Generale pregandolo di dare subito ordini formali e tassativi per la rimozione delle munizioni e per il rispetto della zona convenuta.
Il 29 dicembre si presentò al P. Abate un Colonnello della nuova Divisione chiedendo di ridurre al minimo indispensabile il numero dei colo|ni [ff. 2a|3a]. Il P. Abate fece notare che ai coloni si era aggiunta, contro il(q) volere dei Monaci, una quantità di gente estranea di cui non eravamo responsabili, e che era ben difficile per i Monaci fare una scelta tra i coloni data la molteplicità delle esigenze del patrimonio della Badia. Non pertanto si preparò una lista più ridotta dei coloni e dipendenti. Il P. Abate poi non mancò in quella occasione di informare il colonnello di(r) quanto avveniva nella zona dichiarata protetta. Questi diede formale assicurazione che tutto sarebbe stato regolarizzato.
Il 30 dicembre venne rimessa da parte del Comando di Divisione la dicitura per la zona neutrale da apporsi sulla strada carrozzabile al punto dello sbarramento: vi fu subito collocata.
La notte del Capodanno granate anglo-americane giunsero nella zona neutrale e precisamente sul luogo dove i Tedeschi avevano preparate le piazzole a(s) oltre 200 m. dal recinto dell’orto.
Il 5 gennaio ’44 un interprete comunicò al P. Abate che per il Comando Tedesco non esisteva più la zona di protezione, e che tutti, senza alcuna eccezione, dovevano evacuare. Invitava lo stesso Abate e i Monaci ad andar via esibendosi a trasportarli a Roma. Interrogato se il Monastero stesso sarebbe stato utilizzato per fini di guerra, l’inviato rispose che la Badia sarebbe stata sempre rispettata dalle Autorità militari tedesche e che non vi sarebbero obiettivi militari.
Il giorno seguente il P. Abate pregava l’interprete di voler trasmettere all’Autorità che lo aveva inviato la sua protesta di quanto veniva eseguito e la sua decisione e quella dei monaci di restare a Montecassino per custodire la Tomba di S. Benedetto.
Il 7 gennaio terminò l’evacuazione di tutti i civili. A stento fu permesso dal Comando che rimanessero(t) 3(u) famiglie di dipendenti composte nella maggioranza di bambini quasi tutti gravemente infermi, con obbligo di farle entrare nel Monastero, le cui porte dovevano rimanere costantemente chiuse, senza permesso di uscita o di entrata a chicchessia sotto minaccia, in caso di trasgressione, di essere tutti immediatamente portati via.
In linea privata sapemmo dai due gendarmi che il Monastero con il recinto dell’orto, compresi gli edifici di S. Agata (a oltre 200 m. dal monastero) e di S. Giuseppe (a 70-90 m.), era zona interdetta ai militari. Essa di fatti non fu mai violata fino a che noi rimanemmo nella Badia.
Da quel giorno rimanemmo perfettamente reclusi nel monastero sotto la severa vigilanza di due soli gendarmi. Essi erano alla porta del Monastero e vigilavano la zona interdetta. Non era loro permesso aggirarsi nell’interno della Casa. A nostra volta noi vigilavamo loro.
Man mano truppa tedesca, sebbene in scarsissimo numero, prendeva possesso dei luoghi detti sopra.
L’11 gennaio la prima granata anglo-americana giunse nel Monastero e precisamente in mezzo al chiostro d’ingresso.
Il 17 gennaio il fronte era a Cassino.
Il 19 gennaio in tutta fretta viene ritirato l’ultimo gendarme (l’altro era già partito per licenza) e rimanemmo abbandonati alla nostra sorte, completamente isolati, con i cancelli e i portoni chiusi a chiave.
Il 20 gennaio, di tarda sera, si ha la prima grande battaglia nella pianura di Cassino lungo il fiume Gari.
Durante la notte tra il 20 e il 21 gennaio una granata anglo-americana penetrò nella Basilica attraverso una finestra della navata centrale, deteriorando molto gravemente il grande dipinto ad olio di Luca Giordano e marmi ad intarsio.
Intanto novella gente costretta a fuggire da Cassino e dalle montagne circostanti, ritenendo sicuro il monastero per la propaganda [f. 4a] fatta dagli stessi Tedeschi, cominciò ad invadere gli edifici adiacenti ad esso, contro il nostro volere, conoscendo noi la gravità della situazione .
Da che il fronte si spostò a Cassino le granate anglo-americane cominciarono a cadere sul Monastero con un’intensità sempre crescente. La regione attorno ad esso cominciò ad essere martellata sempre più intensamente, di giorno e di notte. Sopra il Monastero s’incrociavano i tiri delle opposte artiglierie. Aerei d’ispezione anglo-americani vigilavano durante tutto il giorno sulla zona e sul Monastero, abbassandosi su di esso spesso a bassissima quota.
La situazione sulla cima della montagna, per quello che potevamo osservare(v) prudentemente(w) noi, era la seguente: nella valletta, al di qua del cavalletto della funivia, ad una distanza superiore ai 200 m. dal recinto dell’orto (lato sud-est) funzionava, non però prima del 3 febbraio, una batteria tedesca di mortai (le munizioni dalle grotte di cui sopra furono portate presso i pezzi il 3 febbraio); sul cucuzzolo di M. Venere(x) (cavalletto della funivia), la quota 435 divenuta poi tanto(y) famosa, a 300 m. dal recinto dell’orto, vi era un osservatorio militare; a lato sud del monastero, alcune diecine di m. al di sotto del recinto dell’orto, vi erano in una grotta dei soldati di artiglieria, forse per solo alloggiamento: questi però andarono via alla fine di gennaio e non furono rimpiazzati da altri; a lato est (su Cassino) alcuni m. al di sotto del recinto dell’orto, in due grotte vi erano dei Tedeschi, ma non sappiamo se furono rimpiazzati da altri dopo i fatti avvenuti il 5 febbraio, di cui in seguito; a lato nord, lungo il tratto della strada carrozzabile all’8° km. nelle grotte dovevano essere dei Tedeschi; alla località Fortino, a un 300 m. dal monastero, lato nord-est, funzionava un osservatorio, occupato poi da truppa combattente tedesca; un altro osservatorio era molto più lontano, ma esso fu abbandonato già alla fine di gennaio; a S. Onofrio, a un 500-600 m. dal Monastero, pure dei soldati.
I Monaci si erano ricoverati nella parte del monastero che si riteneva più sicura e precisamente nei locali adibiti a musei di scienze naturali (lato nord e ovest del monastero); e malgrado il continuo crescendo dell’artiglieria non mancavano di vigilare il rimanente della Casa.
Dai primi di febbraio fummo serrati in un cerchio di fuoco delle due opposte artiglierie.
Il 4 febbraio gli Anglo-Americani occuparono l’importantissima posizione del Fortino, a 300 m. dal monastero, e(z) in conseguenza l’azione di artiglieria attorno al Monastero si fece sempre più intensa e parecchie granate da ambo le parti belligeranti caddero sul Monastero:(aa) due carri armati tedeschi di piccola portata furono portati lungo la strada carrozzabile e propriamente nel tratto sotto il Collegio e la Loggia del Paradiso nascondendosi sotto l’elcina dietro la cappella di S. Giuseppe, ad oltre 150(bb) m. dal Monastero (sempre al di fuori del recinto dell’orto, che in quel tratto è costituito dalle mura ciclopiche).
In quel giorno un Tedesco della Croce Rossa venne a domandarci se era permesso far ricoverare feriti nel Monastero. Rispondemmo negativamente.
[f. 5a] Il 5 febbraio vi fu violentissima azione di artiglieria attorno al Monastero; moltissime granate, in maggioranza anglo-americane, caddero sul Monastero stesso; una tedesca scoppiò nel chiostro dei Benefattori deteriorando le celebri porte di bronzo della Basilica (dalla direzione da cui venivano i colpi ci accorgevamo a quale dei due belligeranti appartenevano). Durante l’azione dell’artiglieria, la mattina, una grossa pattuglia anglo-americana si spinse fin sotto il recinto dell’orto (lato est, su Cassino) e fece prigionieri una trentina di Tedeschi ricoverati nella grotta. Una piccola pattuglia anglo-americana si spinse fino a S. Onofrio: vien fatta prigioniera.
Essendo quella stessa mattina una granata scoppiata sull’edificio di S. Giuseppe, una quarantina di donne vennero a piangere al portone di onore della Badia, implorando asilo ed anche minacciando. Il P. Abate per debito di umanità fece loro aprire il portone di onore (alla porta ordinaria, molto esposta, non si poteva accedere essendo stato chiuso il cancello inferiore); con loro però si precipitò(cc) dentro una quantità di gente ricoverata negli edifici adiacenti e nelle grotte. Molti(dd) trovarono asilo nel grande scalone di onore, chiusi tra i due portoni controllati da persone fide (lato ovest); altri in alcuni sotterranei interni del Monastero. Fra questa popolazione vi furono subito delle vittime, essendosi alcuni esposti, nonostante i nostri avvertimenti, nei chiostri. La popolazione ricoverata poteva ascendere ad 800-1000 persone, in maggioranza di bassa condizione; di cui parecchie purtroppo non dettero prova di onestà.
La sera del 5 febbraio un ufficiale medico tedesco venne a domandarci un edificio per ricoverare i feriti: gli venne concesso la foresteria delle donne, a 200 m. circa dal Monastero, che funzionò da pronto soccorso, con i regolamentari segni della Croce Rossa, solo per qualche giorno.
Il 4 e il 5 febbraio movimento di pattuglie tedesche sulla via dell’Albaneta(ee) e al pozzo di S. Onofrio, a oltre 200 m. dal Monastero, al di qua del Fortino; una mitragliatrice(ff) tedesca con due uomini viene piazzata, ma solo per qualche giorno, sul muricciolo della strada carrozzabile (lato[gg] ovest), in modo da dominare la via dell’Albaneta. Aspettavamo da un momento all’altro gli Alleati.
Il 6 febbraio di nuovo i Tedeschi al Fortino. La posizione di prima linea era la seguente: al Fortino i Tedeschi rivolti verso nord-est; a S. Onofrio la prima linea tedesca rivolta verso l’alto a nord, nella direzione di S. Comeo, dove dovevano essere gli Anglo-Americani; altre sentinelle sulla strada dell’Albaneta, forse all’aia vecchia, a 300 m. dal Monastero, ma(hh) sempre in numero ben scarso. I due carri armati tedeschi operavano di notte, lungo il tratto della strada carrozzabile, nel suo ultimo girone attorno al Monastero, lato ovest e nord, sparando verso nord, donde avanzavano gli Anglo-Americani, i quali essendo in posizione più alta dominavano il Monastero.
L’8 febbraio vi fu violentissimo cannoneggiamento sul Monastero. Preparammo la bandiera bianca.
Il 10(ii) febbraio all’Ufficiale medico venuto a visitare nostri malati furono manifestate le nostre apprensioni. Egli rispose che gli Anglo-Americani dovevano vedere dai loro osservatorii che veniva colpito il Monastero e che da questo non partiva nessun colpo.
[f. 6a] Il giorno 11 febbraio vi(jj) fu il più tremendo cannoneggiamento che ebbe a soffrire la Badia.
Durante l’azione le pallottole della mitragliatrice anglo-americana colpivano il muro esterno del nostro ricovero (lato nord). Ormai assistevamo alla graduale distruzione del nostro Monastero.
Le nostre speranze per la sua salvezza diminuivano sempre più. La Basilica però resisteva ancora(kk): solo una granata aveva perforato la cupola (lato est). Dato il numero stragrande delle granate cadute sulla Badia, venimmo nella convinzione che gli Anglo-Americani dal giorno 5 febbraio tiravano direttamente contro il Monastero stesso.
Con i gravissimi pericoli che provenivano dalla battaglia e con le preoccupazioni per la gente ricoverata nel Monastero si giunse al 14 febbraio. Alle ore 14 circa una granata lanciò qualche volantino caduto nell’orto (lato ovest) e raccolto con pericolo di vita. Era rivolto ad «Amici italiani» e firmato da «La quinta Armata». Era del seguente tenore: «Finora abbiamo cercato di evitare in tutti i modi il bombardamento di Montecassino. Ma i Tedeschi hanno saputo trarre vantaggio da ciò. Ora la battaglia si è ancor più stretta attorno al Sacro Recinto. Noi a malincuore siamo costretti a puntare tutte le nostre armi contro il Monastero stesso. Abbandonate subito il Monastero: mettetevi in salvo; il nostro avviso è urgente; esso è dato per il vostro vantaggio». Ma intanto non arrestavano il fuoco di artiglieria.
Immenso lo sgomento della popolazione; ma nessuno ardì uscire dovendo esporsi alla linea del fuoco profonda c. 15 km. Si cercò avere subito contatto con un ufficiale tedesco. Due o tre coraggiosi uscirono ma dovettero ritirarsi perché furono fatti(ll) segno al fuoco della mitragliatrice e fucileria tedesca: solo la sera si riuscì a parlare con due soldati che dichiararono che si poteva comunicare col loro ufficiale solo alle 5 a. m. del giorno seguente. Questi difatti venne da noi alle ore 5 a. m. del giorno 15. Fu introdotto immediatamente dal P. Abate e gli fu tradotto il volantino. Egli rispose che il foglietto era per intimidire e che se i civili si fossero avventurati fuori, la maggioranza di essi sarebbe perita per la strada; in caso di esodo pretendeva che noi(mm) ce ne assumessimo la responsabilità. Dichiarò pure che egli durante la notte aveva parlato col suo Comandante e che da parte tedesca sarebbe stata aperta(nn) dalla mezzanotte del giorno seguente la via mulattiera che per S. Rachisio e la località detta Colloquio, ove secondo la tradizione avvenne l’ultimo incontro tra S. Benedetto e S. Scolastica, scende sulla via Casilina. Gli fu osservato che poteva essere troppo tardi e che si voleva approfittare della calma relativa del momento per far uscire la popolazione. Declinò ogni responsabilità.
Fu detto ai civili fin dal momento in cui fu lanciato il manifestino e ripetuto anche(oo) subito dopo il colloquio con l’ufficiale che ognuno, assumendosi la responsabilità della propria vita, si regolasse come voleva e credeva. L’Abate con i Monaci decisero di rimanere al loro(pp) posto presso la Tomba di S. Benedetto.

Fig. 3

Fig. 3

Quasi tutta la popolazione rimase nel Monastero, anche perché si riteneva che in ogni caso gli Anglo-Americani avrebbero dato, dopo l’avviso, un tempo sufficiente perché i civili si fossero posti in salvo. Essi con i loro aerei d’ispezione controllavano ogni movimento che avveniva nel monastero e fuori. Invece il terrificante bombardamento cominciò all’improvviso alle ore 9.45 circa (Fig. 3) e si protrasse in cinque ondate, compiute da 120 aerei, in varie(qq) ore. Esso causava la distruzione del Monastero (Fig. 4). Prima ad essere distrutta fu la Basilica: la Tomba del S. Patriarca sepolta sotto le immense macerie della cupola. Intanto continuava intensa l’azione dell’artiglieria contro le rovine della Badia. Un ricovero situato sotto la Biblioteca Monumentale fu sepolto dalle macerie [f. 7a] dell’edificio sovrastante: si presume che ivi abbiano trovata la loro tomba 100-300 persone. Parecchia gente pazza dal terrore uscì subito dopo le prime ondate in mezzo alle granate dell’artiglieria; altra terminato il bombardamento: parecchi furono colpiti per la strada. Anche quattro della Comunità uscirono rifugiandosi in grotte e con gravissimo pericolo della vita la mattina seguente uscirono fuori della linea del fuoco.

Fig. 4

Fig. 4

Il P. Abate con i pochi Monaci rimasti dal ricovero ove si trovava(rr) ostruito dalle macerie(ss), riuscì ad aprirsi un varco e rifugiarsi nelle Cappelle inferiori della Torretta, ove si era raccolta la gente ancora rimasta nell’interno della Badia. La sera verso le ore 20 ritornò l’ufficiale della mattina: chiese al P. Abate a nome del comando se credeva rilasciare una dichiarazione scritta che dentro il Monastero non vi erano militari tedeschi durante il bombardamento. Il P. Abate scrisse di proprio pugno, nella Cappella della Pietà (Torretta), la seguente dichiarazione: «Attesto per la verità che nel recinto di questo Sacro Monastero di Montecassino non vi sono stati mai soldati tedeschi, vi furono soltanto per un certo tempo tre gendarmi al solo scopo di far rispettare la zona neutrale che si era stabilita intorno al Monastero; ma questi da circa venti giorni furono ritirati. Montecassino 15 febbraio 1944», e sottoscrisse alla seguente in lingua tedesca: «Ich bescheinige auf Wunsch, dass sich(tt) im Kloster von(uu) Montecassino kein deutscher Soldat befand oder jetzt befindet. 15.2.44.» (fig. 5). La dichiarazione fu rilasciata dal P. Abate con piena libertà, senza nessuna benché minima imposizione o pressione perché rispondente a verità: nel recinto del Sacro Archicenobio, compreso l’orto, non vi sono stati(vv) mai soldati tedeschi, né è stata fatta una qualsiasi osservazione militare, né è stata depositata una benché minima quantità di munizioni o di armi. Possiamo ancora aggiungere che(ww) l’Abate ed i Monaci sebbene(xx) abbiano, specialmente da principio(yy), usate cortesie per i Tedeschi allo scopo di attenuare le prevedibili(zz) conseguenze della guerra, sono stati sempre della più stretta ed assoluta neutralità.

Fig. 5

Fig. 5

Durante la notte tra il 15 e il 16, in cui precipitò pure una parte della Torretta, la grande maggioranza dei civili affrontò i pericoli del fronte.
Il giorno 16 febbraio vi fu un’intensissima azione di artiglieria contro le rovine della Badia. Queste aumentarono ancor più: i piani superiori della Torretta erano crollati e le loro macerie premevano in modo spaventoso sulle Cappelle ove ci eravamo(aaa) rifugiati. Eravamo rimasti attorno all’ottantenne P. Abate due Monaci e quattro Fratelli Conversi con una quarantina di persone in maggioranza donne e bambini, tra le quali feriti gravi e malati. Alcune di queste persone erano state abbandonate dagli stessi parenti.
La mattina del 17 febbraio, alla quasi certezza di rimanere sepolti sotto le macerie(bbb) o del tutto bloccati, si preferì affrontare il gravissimo(ccc) pericolo della linea del fuoco profonda circa 15 km. (le granate anglo-americane arrivavano fino a Roccasecca). I Monaci stessi, lasciando(ddd) assolutamente tutto, e le persone valide si caricarono sulle loro spalle i feriti più gravi e si uscì fuori: erano le ore 7 a. m. del giorno 17 febbraio. Il P. Abate, dopo aver dato a tutti la sacramentale(eee) assoluzione, con un grande Crocifisso(fff) nelle mani, precedeva il mesto corteo che recitando preghiere giunse, dopo tre ore di marcia faticosissima, per la valletta di S. Rachisio, tra le granate dell’artiglieria, miracolosamente illeso alla Cappella detta del Colloquio, ai piedi della S. Montagna, dove era un segno della Croce Rossa (era l’ottava della festa di S. Scolastica). Poiché la zona era tempestata dall’artiglieria, i soldati che ivi si trovavano ci consigliarono di non porre indugio a proseguire a gruppi di non più tre o quattro persone e uscire quanto(ggg) [f. 8a] prima dalla linea del fuoco. Il P. Abate invece rimase ancora con un Monaco e qualche ferito presso la Cappella del Colloquio, volendo proseguire per ultimo, e nel(hhh) frattempo recitò l’ufficio de Octava S. Scholasticae. Ma intanto il Comando Tedesco(iii), avendo saputo il luogo dove egli si trovava, mandò nel tardo pomeriggio un’autoambulanza per prelevarlo assieme ai feriti: così alle ore 17 egli uscì dalla linea del fuoco. Tutti coloro che abbandonarono il Monastero con lui raggiunsero illesi Roma. Lo riteniamo effetto di una protezione speciale di S. Benedetto e di S. Scolastica.
Sia presso il Generale Comandante Supremo Tedesco della zona14 il 18 febbraio che in Roma, il giorno seguente, il P. Abate fu vivamente sollecitato a fare delle dichiarazioni alla radio, che egli, sebbene molto stanco ed emozionato, avrebbe voluto evitare; in ogni modo egli si attenne a quanto già aveva scritto la sera del 15 febbraio a Montecassino stesso, perché rispondente a verità. Ed ancora una volta insistè che nel recinto del monastero dai Tedeschi non fu compiuta nessuna azione di carattere bellico. Le parole dette(jjj) dal P. Abate alla radio sappiamo che non furono immediatamente trasmesse né alcuno tra coloro che si trovavano con lui poterono ascoltarne poi la trasmissione. Ma da quanto ci è stato riferito dobbiamo ritenere che le dichiarazioni del P. Abate siano(kkk) state alquanto modificate. Ciò principalmente perché nella trasmissione furono usate frasi riguardanti la vita e consuetudini monastiche che certamente l’Abate non avrebbe potuto usare(lll).
Dichiariamo inoltre in modo più assoluto che soltanto il P. Abate conosce tutta la verità dell’accaduto e perciò non è da prestarsi completamente fede a giudizi(mmm) e narrazioni di fatti che persone che pur si trovavano a Montecassino abbiano potuto o possano riferire.

II
Montecassino, Archivio dell’Abbazia
[f. 1a] Copia. Per l’Abate Alcuino. 23/2/45(a).
Da fonte sicura abbiamo saputo che ad Arpino(b), in una casa signorile, aveva alloggio un alto Comando Tedesco. Sulla mensa figuravano(c), quasi trofei, alcuni putti del coro di Montecassino. Molte casse erano ivi giunte provenienti da Montecassino, forse contenenti altri putti del coro.
In casse e in sacchi erano stati inclusi molti arredi sacri. Non fu possibile riscattare che solo due pianete e un piviale ordinari. Ivi pure una sera – nel tempo della ritirata – fu tenuto un banchetto, al quale parteciparono ufficiali superiori tedeschi. I commensali che avevano ricevuto l’invito di indossare “la divisa dell’Ordine”, sedettero a tavola indossando pianete e piviali. Fecero orgia fino al mattino; e quando dovettero partire, uscirono di casa indossando ancora i sacri paramenti e così(d) si misero in viaggio(e). Si dice che il camion sia(f) stato mitragliato da aerei Anglo-Americani. Il P. Abate di Cava15 recatosi a Montecassino il 27 maggio 1944, fu sollecitato dal Comando Polacco a domandare alle Autorità Alleate un presidio per Montecassino, poiché le truppe polacche avrebbero ben presto lasciata la posizione. Le pratiche presso il Comando Alleato furono(g) lunghissime e difficili: furono solo date le più ampie e formali assicurazioni che un presidio militare sarebbe stato posto sulle rovine dell’Abbazia(h) per impedire ulteriori(i) devastazioni e saccheggi.
Anche il P. Abate di Montecassino a Roma, ove si trovava, aveva a tempo opportuno rivolto istanza presso la S. Sede per ottenere in via diplomatica un presidio militare a Montecassino. Gli ambasciatori inglese, americano e polacco diedero formali assicurazioni alla S. Sede che a tutto sarebbe stato provveduto e che era concesso il presidio per la custodia delle rovine della Badia.
Il P. Abate di Cava trovò(j) invece maggiore comprensione e più sollecito intervento presso il Comando Supremo Italiano: solo il 20 giugno con un(k) Maggiore(l) italiano, un monaco di Cava e una squadra di Genieri italiani potè ritornare a Montecassino. Si ebbe subito l’impressione che le promesse fatte(m) dalle Autorità Alleate purtroppo erano state vane. Da molti giorni i Polacchi avevano(n) evacuato da Montecassino e tra le rovine vagavano molti soldati alleati, in prevalenza neozelandesi, che dappertutto frugavano ed asportavano via oggetti di ogni genere: stoviglie, argenteria, arredi sacri, pezzi di tarsie e di mosaici, intagli del coro. Con brutale rifiuto accampando diritti di conquista, rispondevano all’invito fatto di lasciare gli oggetti mal tolti.
Le visite rapinatrici continuarono ininterrottamente(o). I Neozelandesi giungevano a frotte con badili ecc. per frugare anche i sotterranei più reconditi. Il monaco e i genieri italiani dovettero adoperare tutti i mezzi per salvare gli oggetti più in vista, come i resti del coro – spesso mutilati sotto i loro occhi e malgrado le loro proteste –, molti arredi sacri ed oggetti del Monastero: si dovette persino murarli.
I numerosissimi saccheggiatori osavano persino rapinare violentemente quanto si veniva rinvenendo, tanto che si fu costretti a lavorare nelle prime ore del mattino e la sera.
Il 23 giugno fu segnalato al monaco un saccheggio in grande stile tra i ruderi presso il chiostro della porteria, ove in una stanzetta sotterranea(p) i monaci in antecedenza avevano murato moltissimi oggetti non solo di grande valore intrinseco ma soprattutto artistico.
Da un finestrino un gruppo numeroso di Neozelandesi si affannava ad asportare la cristalleria preziosa del monastero, le pregiate maioliche del ’500, stoviglie di valore del ’700 e ’800 e soprattutto oggetti(q) [f. 2a] sacri di molta importanza. Con preghiere, con minacce e persino con lagrime e grazie all’intervento di un benevolo sergente neozelandese(r) si potè a stento ottenere che fossero lasciati almeno gli oggetti strettamente sacri. Al saccheggio si aggiungevano altri danni: fu provocato un incendio in un locale semidiruto della Biblioteca privata. Il giorno seguente una banda di Neozelandesi, sorpresa da un temporale, invase il locale abitato dai Genieri (nel quale si trovavano raccolti e nascosti come meglio si poteva gli oggetti più preziosi ricuperati fino allora). Malgrado il divieto e le proteste dei soldati italiani, i Neozelandesi si dettero a rovistare e frugare dovunque. Scomparvero così altre cose preziose ed altri oggetti sacri.
Fu perciò necessario richiedere il sollecito intervento del Comando Supremo Italiano, che provvedeva inviando immediatamente una pattuglia di 20 carabinieri e facendo pervenire una lettera di protesta al Comando Alleato. Intervenne allora anche la Polizia alleata. Accorse il Maggiore De Walds16 della Commissione Alleata di Controllo per i Monumenti, intervenne il Gen. Mosley, e così si(s) poterono ottenere disposizioni energiche e tassative. Ebbe così fine il grave saccheggio, tanto più spiacevole perché completava la distruzione di quello che si era salvato dalla terribile rovina della guerra.
Il Comando Polacco alla fine dello scorso anno fece pervenire al P. Abate alcuni arredi sacri ed oggetti sacri che(t) le truppe polacche avevano raccolti(u) e conservati(v) per restituirli(w) in buon ordine(x) al Monastero.
Anche da alcuni Cappellani militari(y) abbiamo ricevuto qualche oggetto sacro trafugato a Montecassino da qualche militare.
Il Generale Anders17, nella sua udienza al S. Padre, consegnò a Lui un prezioso bastone d’avorio istoriato di Guido d’Arezzo che a quanto asseriscono i Polacchi è stato sequestrato ad un prigioniero tedesco. Ora si nota che tale bastone era stato riposto nella stanzetta di cui si parla sopra al 23 giugno: quindi si presume che ivi anche i Tedeschi abbiano(z) preso(aa) il loro bottino, e forse il più prezioso. Il bastone è stato restituito al P. Abate.
Una sera, mentre alcuni di noi si trovavano vicino al P. Abate che era a letto per una passeggera indisposizione – probabilmente dopo l’Epifania del ’44(bb), il 25 gennaio(cc) – ci parlò di un fatto misterioso di cui fino allora non aveva mai fatto cenno a chicchessia. Nei primi anni in cui era Abate, per ragioni famigliari dovette recarsi a(dd) Nocera de’ Pagani, e la sera fu ospite dei PP. Redentoristi nel(ee) Santuario(ff) di S. Alfonso dei Liguori; ivi aveva visitato pure il P. Lusiti18, morto poi in odore di santità; e mentre era solo nella stanza che gli avevano data, sentì una voce che piangeva e tra singhiozzi(gg) diceva: «Montecassino! Montecassino! Montecassino!». Questo pianto ripetuto gli dette l’impressione(hh) che quella voce misteriosa piangesse per Montecassino.
Questo racconto suscitò in noi vivissima impressione. Gli ultimi avvenimenti del 5 gennaio 1943 ci facevano(ii) prevedere gravissimi pericoli per la Badia.
Oggi il P. Abate ha messo in relazione quel(kk) pianto misterioso con la distruzione di Montecassino ed interpreta quella voce come un segno misterioso.
Quello che è scritto in questi fogli è poco piacevole; ma Lei vuol sapere la verità.

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Note testuali.

I
(a) Collegeville] nel testo Collegiville —— (b) Relazione—45] a penna di mano dell’autore del testo come tutte le altre correzioni e aggiunte infra rilevate —— (c) ci- sostituito a penna con che —— (d) che] ripetuto a macchina —— (e) di- corr. su dei —— (f) A e segue soprattutto cancellato a penna —— (g) A Sede segue ci cancellato con due segni di x —— (h) ai Monaci] scritto a penna nel margine sinistro; la versione precedente: a noi, è depennata —— (i) -l Monastero] corr. a penna in sostituzione di -d esso cui segue la depennato —— (j) Nel testo un —— (k) e demmo—Monastero] aggiunto a penna nel margine inferiore; nel corr. su nella; situato corr. su accanto —— (l) Nel testo famiglia —— (m) -n- a penna —— (n) questi] aggiunto a penna in sostituzione di -gli Anglo-Americani depennato —— (o) -ò a penna —— (p) A cadde segue nelle cancellato con cinque segni di x —— (q) A il segue nostro cancellato con sei segni di x —— (r) Il P. Abate—di] corr. a penna in sostituzione di A sua volta il P. Abate espose —— (s) Ad a segue una cancellatura con quattro segni di x e un tratto di penna —— (t) A rimanessero segue una cancellatura con quattordici segni di x —— (u) 3] a penna —— (v) A osservare segue con cancellato con tre segni di x —— (w) La prima -n- corr. su t; la prima -t- corr. su e —— (x) A Venere segue una cancellatura con sessantasei segni di x —— (y) Nel testo tanta —— (z) e] a penna —— (aa) I due punti aggiunti in sostituzione di e cancellato a penna —— (bb) 5] corr. su 0 —— (cc) precipitò] corr. al posto di precipitarono, essendo cancellato a penna il gruppo -rono e sostituita la -a- con ò —— (dd) M- da minuscola corr. a penna in maiuscola —— (ee) Ad -a segue una e cancellata a penna —— (ff) La prima -i- corr. su o —— (gg) A lato segue una cancellatura con venticinque segni di x —— (hh) ma] a penna —— (ii) 10] a penna —— (jj) vi] aggiunto a penna nel margine superiore —— (kk) Ad ancora segue una cancellatura con quarantuno segni di x —— (ll) Nel testo fatto —— (mm) A noi segue una cancellatura con quattordici segni di x —— (nn) -t- corr. su a —— (oo) Ad anche segue una cancellatura con tre segni di x —— (pp) l- corr. su p —— (qq) A varie segue ondate cancellato con cinque segni di x —— (rr) ove si trovava] aggiunto a penna nell’interlineo —— (ss) A macerie segue ove si trovava cancellato a penna —— (tt) -h aggiunto a penna —— (uu) v- corr. su c —— (vv) -t- corr. su a —— (ww) A che segue una cancellatura con sette segni di x —— (xx) sebbene] nell’interlineo —— (yy) A principio segue una s cancellata con un segno di x —— (zz) Nel testo previdibili —— (aaa) La prima -a- corr. su v —— (bbb) A macerie segue una d cancellata con un segno di x —— (ccc) Alla prima -s- segue un trattino per segnare l’a capo corr. su s —— (ddd) A lasciando segue una cancellatura con undici segni di x —— (eee) La -c- corr. su r —— (fff) La seconda -i- corr. su f —— (ggg) A quanto segue pri cancellato con tre segni di x —— (hhh) A nel segue fatt cancellato con quattro segni di x —— (iii) La -o corr. su h —— (jjj) dette] Nel testo detta —— (kkk) siano] corr. a penna su fossero —— (lll) A usare segue dichiariam cancellato con dieci segni di x —— (mmm) Nel testo guidizi

II
(a) Copia—45] di mano dell’autore del testo e sottolineato —— (b) Il gruppo -rp- corr. su pr —— (c) A figuravano segue come cancellato con quattro segni di x —— (d) Così] nel testo cos` —— (e) La v- corr. su b —— (f) sia] corr. a penna su fosse —— (g) La f- corr. su d —— (h) Abbazia] nel testo bbazia —— (i) La u- corr. su l —— (j) A trovò segue o cancellato con un segno di x —— (k) un] nel testo una —— (l) Maggiore] nel testo Mggiore —— (m) f- corr. su d —— (n) avevano] nell’interlineo a penna —— (o) La seconda -n- corr. su t; l’ultima -t- corr. su e —— (p) La seconda -a corr. a penna su i —— (q) A oggetti segue sacri di molta import cancellato con altrettanti trattini —— (r) neozel.] nel testo nezel. —— (s) La -i corr. su o —— (t) A che segue una cancellatura con tre segni di x —— (u) La -i corr. su e —— (v) La -i corr. su e —— (w) La -i corr. su e —— (x) A ordine segue una a cancellata con un segno di x —— (y) La -t- corr. su a —— (z) abbiano] nell’interlineo a penna in sostituzione di hanno depennato —— (aa) preso] nell’interlineo a penna in sostituzione di preso scritto a macchina e poi depennato —— (bb) A 44 segue ebbe a farci una confidenza cancellato con venticinque segni di x —— (cc) il 25 gen.] a penna nel margine sinistro —— (dd) a] manca nel testo —— (ee) A nel segue una cancellatura con otto segni di x —— (ff) A Santuario segue una cancellatura con dieci segni di x —— (gg) -ngh- nel testo gnh —— (hh) A impressione segue una cancellatura con quattro segni di x —— (ii) La -v- corr. su a —— (kk) quel] nel testo quell, cui segue a voce miste<riosa> cancellato con dodici segni di x

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NOTE

1 Già studente nel Collegio benedettino di S. Anselmo sull’Aventino a Roma aveva conseguito nel 1903 il dottorato in Filosofia insieme ad Ildefonso Schuster futuro abate di S. Paolo fuori le Mura e poi cardinale arcivescovo di Milano: cf. P. Engelbert, Sant’Anselmo in Rom Kolleg und Hochscule von den Anfängen (1888) bis zur Gegenwart, Sankt Ottilien 20122, p. 77 nota 56.
2 Cf. C. J. Barry, Worship and Work: Saint John’s Abbey and University, 1856-1956, Collegeville Minn. 1956; V. M. Young, Saint John’s Abbey Church: Marcel Breuer and the Creation of a Modern Sacred Space, Minneapolis 2014.
3 Cf. Il bombardamento di Montecassino. Diario di guerra di E. Grossetti – M. Matronola, con altre testimonianze e documenti, a cura di F. Avagliano, Montecassino 19972 (Miscellanea Cassinese, 41), pp. 19-105.
4 M. Parker, Montecassino 15 gennaio-18 maggio 1944. Storia e uomini di una grande battaglia, Milano 2009 (Il Saggiatore Tascabili, 105), p. 195.
5 Le Saint Siège et les victimes de la guerre, janvier 1944-juillet 1945, a cura di P. Blet – R. A. Graham – A. Martini – †B. Schneider, Città del Vaticano 1980 (Actes et documents du Saint Siège relatifs à la seconde guerre mondiale, 10), p. 131, doc. n. 56.
6 Ibid., pp. 146-147, doc. n. 73.
7 Ibid., p. 211, doc. n. 140.
8 Ibid., p. 212.
9 Il testo si legge in Diario di guerra (cf. supra nota 3), pp. 195-197.
10 Julius Schlegel.
11 Maximilian Johannes Becker.
12 Cf. L. Klinkhammer, Die Abteilung “Kunstschutz” der deutschen Militärverwaltung, «Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken», 72 (1992), pp. 483-548: 503-515; Id., Tra furto e tutela. Le biblioteche nel quadro dell’occupazione tedesca dell’Italia (1943-45), in Le biblioteche e gli archivi durante la seconda guerra mondiale. Il caso italiano, a cura di A. Capaccioni – A. Paoli – R. Ranieri, Bologna 2007, pp. 143-165: 152-155; Id., Distruggere o salvare l’arte: i tedeschi in Campania, lungo la linea Gustav, a Montecassino, «Poloniaeuropae», 1 (2010), pp. 1-13 (http://www.poloniaeuropae.it/pdf/Distruggere-o-salvare-l’arte-i-tedeschi-in-Campania1.pdf); Id., “Kunstschutz”: l’azione concertata per la protezione delle opere d’arte a Roma e nel Lazio nella prima fase dell’occupazione tedesca (1943/1944), «Archivio della Società romana di storia patria», 134 (2011), pp. 193-237: 203, 210; G. de Angelis-Curtis, Il salvataggio dei beni artistici e culturali di Montecassino e depositati a Montecassino, «Studi Cassinati», 13 (2013), pp. 263-290; M. Dell’Omo, Tommaso Leccisotti e Montecassino: un grande storico al servizio di un grande archivio (Dalle drammatiche vicende degli ultimi mesi del 1943 ai grandi lavori eruditi del secondo ’900), «Benedictina», 62 (2015), pp. 39-58: 40-47, 56-58 («Il salvataggio dell’archivio e della biblioteca di Montecassino: da Spoleto a Roma»); per la versione tedesca di quest’ultimo saggio: Benediktiner als Historiker, a cura di A. Sohn, Bochum 2016, pp. 159-177: 160-163, 167-172.
13 Walter Fries, comandante della 29ª Divisione Panzergrenadier.
14 Fridolin von Senger und Etterlin.
15 Ildefonso Rea.
16 Ernest Theodore De Wald (non De Walds) tenente colonnello, archeologo americano, nel 1944 era stato nominato direttore della Subcommission for Monuments, Fine Arts and Archives (MFAA).
17 Tenente generale Władysław Anders, comandante del II Corpo polacco.
18 Il Servo di Dio Antonio Maria Losito (non Lusiti) della Congregazione del Santissimo Redentore.

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