.
«Studi Cassinati», anno 2020, n. 3-4
> Scarica l’intero numero di «Studi Cassinati» in pdf
> Scarica l’articolo in pdf
.
di Lorenzo Riccardi*
.
Nella storiografia sulla chiesa di Santa Maria della Libera in Aquino si è sempre posta particolare enfasi sul “monogramma”, costituito dalle lettere V e F inframezzate da un rombo sormontato da una croce, che un tempo compariva nel noto mosaico della lunetta del portale principale, raffigurante la Vergine col Bambino e due donne, Maria e Ottolina, giacenti all’interno dei rispettivi sarcofagi (fig. 1). Registrato per primo da Pasquale Cayro (fig. 2), che lo scioglieva in V(otum) f(ecit)1, è diventato ben presto l’elemento cardine per inquadrare in un’ottica squisitamente storica l’opera stessa e, per traslato, l’intero monumento. Cayro, sulla base delle fonti allora disponibili, aveva infatti dedotto che la chiesa «dalla nominata Ottolina per voto si fusse fatta edificare» e che ciò fosse avvenuto intorno al 11602. Tale lettura venne poi travasata sia nella documentazione ufficiale3 che nelle prime menzioni critiche della Libera4, anche se con alcuni distinguo, come quello di Émile Bertaux5.
Poco più di un secolo dopo, mons. Rocco Bonanni arricchì con un altro tassello la storia dell’edificio: la fondazione sarebbe avvenuta – scriveva lo studioso senza offrire alcun riscontro documentario – nel 11276. Proprio tale data, subentrata come termine ad quem per la chiesa, fu accettata da una parte della storiografia anche per il mosaico, sempre sostenendo – pur con diverse sfumature – il “voto” fatto da Ottolina insieme a Maria7.
Tuttavia, da più parti, cominciavano a giungere anche voci discordati. Da un lato, infatti, si registravano tentativi di far retrocedere la cronologia dell’edificio – sulla scorta di considerazioni architettoniche – all’XI secolo, meglio verso l’ultimo quarto, legando il votum alla realizzazione del solo mosaico e quindi disgiungendo quest’ultimo dalla costruzione della chiesa (non senza ulteriori distinguo)8. Dall’altro, chi affrontava lo studio dell’opera su un versante propriamente storico-artistico – non toccando affatto (o toccando a latere) il problema delle lettere e quindi il contesto storico ad esse riferito – o ribadiva il termine del 1160 e il riferimento a Ottolina9 o spingeva la datazione oltre, nell’ultimo quarto del XII10 o nell’iniziale XIII secolo11. Va però notato che qualcosa era radicalmente cambiato. Tutti gli studi del dopoguerra non citavano direttamente il “monogramma”, ma facevano riferimento alle due fonti indirette, quelle di Cayro e Bonanni. Le lettere infatti non figuravano più sul mosaico e qualcuno, come Jacobelli, dubitava perfino che fossero mai esistite, considerandole un’errata trascrizione del titulus mariano posto più in alto12.
Fatta salva questa soluzione tranchant, anche le letture storico-artistiche più “revisioniste” sulla datazione del mosaico (post 1160) si dovevano confrontare con il peso specifico delle “lettere scarlatte”, che alla fine offrivano comunque sostegno all’ipotesi o del votum, sciolto non dalle “benefattrici” Maria e Ottolina, ma da qualche congiunto (i figli?), o dell’opera realizzata in loro memoria sempre per iniziativa di qualche loro parente prossimo13.
Fin qui il problema storiografico, affascinante sì, ma da riaffrontare alla radice, ossia dal “monogramma”. Per farlo bisogna tornare alle fotografie d’anteguerra. Il mosaico non era infatti in uno stato di conservazione ottimale, soprattutto nell’area ove comparivano le lettere. Lo ha già notato – senza però soffermarsi oltre – P. Mathis, richiamando una foto del Gabinetto Fotografico Nazionale (E011712), la stessa pubblicata anche da Cagiano de Azevedo nel 1941 (fig. 3)14. Una situazione non diversa, comunque, da quella documentata dalla riproduzione fotografica presente nel noto volume di inizio secolo di Bertaux (fig. 4) e già registrata nel 1810 da Giuseppe Bossi nel suo diario di viaggio15. Rimando ad altra sede un contributo espressamente dedicato alla storia conservativa del mosaico16 e mi limito ad osservare un dettaglio sfuggito all’attenzione dei più: in questi scatti le lettere V e F, inframezzate dal rombo con la croce, comparivano chiaramente in basso a sinistra. Effettivamente, come qualcuno scrive17, esse erano a mosaico, ma galleggiavano in una “toppa” di malta molto crettata e del tutto incoerente con la superfice musiva. Il mosaico presentava proprio in corrispondenza dell’angolo inferiore sinistro una tessitura particolarmente sconvolta, tale da rendere difficilmente riconoscibile la figura giacente di Ottolina, di cui di distingueva a stento la sola fronte. Le altre tessere erano allettate in modo approssimativo e molto distanziate le une dalle altre in una malta che si estendeva senza soluzione di continuità alla “toppa” incriminata.
La superficie in questione, per qualche ragione gravemente danneggiata18, era quindi stata reintegrata in antico: non tanto per dare leggibilità alla figura, quanto per conservare – anche se alla rinfusa – le tessere. In uno spazio tristemente vuoto di materiale originale venne composto il “monogramma” forse proprio per siglare questo intervento di “restauro”. Un intervento condotto con spirito devoto e semplice, senza alcuna velleità artistica, che pure timidamente emergeva nella reintegrazione pittorica in alto, che a sua volta risanava un danno precedente, comunque successivo alla fine del XV-inizi del XVI secolo19.
Il “monogramma” fu definitivamente cassato con il restauro realizzato a cavallo della II Guerra Mondiale, quando la superfice venne regolarizzata disponendo con ratio le tessere e reintegrando le lacune a pittura, simulando la tessitura musiva (fig. 5). Negli anni ’90, l’intera figura di Ottolina è stata nuovamente rifatta, questa volta soltanto a mosaico, in parte ricalcando il restauro precedente in parte ricopiando quella speculare di Maria20 (fig. 1).
Torniamo al “monogramma” incriminato, introdotto in una fase successiva a quella originaria (essendo assai improbabile che replicasse qualcosa di perduto) e quindi poco utile per offrire qualche chiarimento sulle motivazioni del committente dell’opera: non si può far leva su di esso per sostenere l’eventuale coinvolgimento di Maria o Ottolina, o meglio di qualche loro congiunto, come un voto. Le ragioni andranno piuttosto cercate nell’ubicazione privilegiata del mosaico e nell’insolita e altamente allusiva iconografia che vi compare: un’iconografia che non sembra votiva, bensì commemorativa, giacché le nobildonne aquinati sono raffigurate già morte.
* Ringrazio Chiara Arrighi, Elisa Canetri, Carlo Molle e Massimo Pomponi per l’aiuto e lo scambio d’idee.
.
NOTE
1 P. Cayro, Storia sacra e profana d’Aquino e sua Diocesi, II, presso Vincenzo Orsino, Napoli 1811, p. 26. Il monogramma è ricordato anche nel diario di viaggio di Giuseppe Bossi del 1810, pubblicato solo nella seconda metà del XX secolo: D. Corlàita Scagliarini, Viaggio archeologico tra Capua ed Aquino in quaderno di viaggio di Giuseppe Bossi, in «Prospettiva», IX (1977), pp. 38-54: 49. Il monogramma potrebbe essere sciolto, anche se meno plausibilmente, in «V(iva) F(ecit)».
2 P. Cayro, Storia sacra e profana … cit., p. 26.
3 Cfr. ad esempio la relazione del 1893 dell’ing. L. Fulvio pubblicata in P. Fortini, I restauri ottocenteschi alla chiesa della Madonna della Libera ad Aquino, in «Rivista Cistercense», XI (1994), 3, pp. 227-254: 245-248 e poi anche in L. Castrianni, Aquinum: documenti per la carta archeologica, Foggia 2011, nr. 216. I documenti ufficiali che riportano questa “leggenda”, cui dava particolarmente credito il clero locale, sono trascritti dalla stessa Castrianni. Si vedano almeno ivi, nnr. 89, 129, 134.
4 E. Grossi, Aquinum. Ricerche di topografia e di storia, Roma 1907, pp. 13-14 (rist. anastatica, Aquino 2009).
5 É. Bertaux, L’Art dans l’Italie méridionale. De la fin de l’Empire Romain à la Conquete de Charles d’Anjou, I, Paris 1903, p. 191: «Rien ne prouve que cette dame (Ottolina, nda) ait été la donatrice de la mosaïque».
6 R. Bonanni, Ricerche per la storia di Aquino, Isola del Liri 1922, pp. 42-46.
7 M. Cagiano de Azevedo, La chiesa di S. Maria della Libera in Aquino, in «Rivista del Regio Istituto di Archeologia e Storia dell’Arte», VIII (1941), pp. 189-200: 189 e 193: «la sigla V F … spiega l’origine della Chiesa e perpetua il ricordo del munifico dono»; C. Jadecola, La “Libera” di Aquino, Montecassino 2000, p. 14.
8 L. Polidoro, R. Nacca, La controversia sul sito e sulla data di fondazione della chiesa di S. Maria della Libera di Aquino, Cassino 1972, pp. 11, 13-19, con una inverosimile datazione alla prima metà dell’XI secolo, in relazione a un indimostrabile voto del 1045; G. Carbonara, Iussu Desideri, Montecassino e l’architettura campano-abruzzese nell’undicesimo secolo, Roma 1979 (rist., Roma 2014, p. 101), ultimo quarto del XII secolo, ma con interventi seriori nel corso del XII (1160-1180) e XIII secolo (tra il 1231 e il 1252). In senso contrario, F. Gandolfo, Il riuso di materiali classici nei portali medievali del Lazio, in «Rendiconti. Pontificia Accademia Romana di Archeologia», LXXXII (2009-2010), pp. 73-100: 93-99, secondo il quale la fondazione della chiesa risalirebbe tra il 1160 e il 1180 e il mosaico a poco dopo (cfr. nota 11).
9 Il punto di partenza è costituito sempre da Bertaux, che notava, in uno sostrato “bizantino”, forti elementi occidentali (cfr. nota 5). L’opinione è ripresa, con ulteriori approfondimenti, anche da van Marle, The development of the Italian schools of painting, I, From the 6th until the end of the 13th century, The Hague 1923, p. 137; S. Ortolani, Inediti meridionali del Duecento, in «Bollettino d’Arte», XXXIII (1948), pp. 295-319: 312 nota 8; O. Demus, The Mosaics of Norman Sicily, London 1949, p. 370; V. Lazarev, Storia della pittura bizantina, Torino 1967, p. 233; E. Tagliaferri, Laïcs, nobles et parvenus dans la peinture murale du Latium du VIIIe au XIIe siècle, in «Les Cahiers de Saint-Michel de Cuxa», XLVII (2016), pp. 45-50: 49. Cfr. anche A. Guiglia, in Aggiornamento dell’opera di Émile Bertaux sotto la direzione di Adriano Prandi, Rome 1978, IV, p. 408.
10 S. Romano, in E. Parlato, S. Romano, Roma e il Lazio. Il Romanico, Roma 1992 (rist., Milano 2001, p. 318): intorno al 1170-1180; P. Mathis, in Affreschi in Val Comino e nel Cassinate, a cura di G. Orofino, Cassino 2000, pp. 22-23: qualche decennio dopo il 1160; G. Di Sotto, Gli affreschi medievali dell’antica Contea di Aquino, s.l. 2007, p. 109: ultimi due decenni del XII secolo.
11 Gandolfo, Il riuso … cit., p. 93. Posizione estrema quella di L. Cassanelli che nella scheda OA 12/00818720 redatta nel 1972 propone una datazione alla metà del XIII secolo.
12 M. Jacobelli, Gli enigmi della chiesa della Libera di Aquino, Aquino 1974, p. 31. Cfr. Di Sotto, Gli affreschi medievali … cit., p. 105.
13 S. Romano, in Parlato, Romano, Roma … cit., p. 318; Mathis, in Affreschi in Val Comino … cit., p. 23; Tale è anche l’ipotesi di Pietrobono che offre un nuovo contesto storico e prosopografico, nell’iniziale XIII secolo, per il mosaico: S. Pietrobono, La “seconda vita” delle epigrafi: casi studio per la ricostruzione dei paesaggi storici nella Valle Latina, in Le epigrafi della Valle di Comino, atti dell’XI Convegno Epigrafico Cominese (Sora – Atina, 30-31 maggio 2014), a cura di H. Solin, San Donato Val di Comino 2015, 41-67: 51-54 ed Ead., I Domini de Aquino: indagini storiche e topografiche sui castelli della Valle Latina, San Donato Val di Comino 2015, p. 157.
14 Cagiano de Azevedo, La chiesa … cit., fig. 11. Cfr. Mathis, in Affreschi in Val Comino … cit., p. 22.
15 Bertaux, L’Art dans l’Italie méridionale, I, fig. 79. Il diario di viaggio di Bossi (cfr. Nota n. 1) ricorda il mosaico a sinistra «al tutto guasto»: Corlàita Scagliarini, Viaggio archeologico … cit., p. 49.
16 Contributo necessario anche per correggere alcune inesattezze: l’integrazione a mosaico, che P. Mathis, in Affreschi in Val Comino … cit., p. 22 attribuisce a un restauro alla metà del XX secolo, è stata in realtà realizzata negli anni ’90 del secolo scorso. Cfr. infra.
17 Cfr. nota 3.
18 Ancora nel 1913 si lamentava da parte delle autorità ministeriali il vandalismo degli «zingari» accampati nel portico che «più volte hanno danneggiato il pregevolissimo musaico che ne adorna la porta»: cit. in Castrianni, Aquinum … cit., nr. 259. Nella foto d’anteguerra si distinguono anche due mani sinistre ripassate a matita o incise, segno che il mosaico dovesse essere facilmente alla mercé dei “fedeli”.
19 Come parrebbe suggerire il motivo decorativo della cornice dipinta che sembra copiare quello della lunetta del portale di destra della chiesa, genericamente riferibile alla fine del XV-inizi del XVI secolo.
20 Cfr. supra e nota 16.
.
(147 Visualizzazioni)