Il pittore formiano Pasquale Mattej e La Fiera di San Germano (1851)


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«Studi Cassinati», anno 2022, n. 4
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di Giorgio Ottaviani*

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Già dai primi mesi dell’anno 1851, tra gli artisti napoletani e tra i migliori pittori stranieri che in quel periodo frequentavano la corte, serpeggiava un desiderio e una ricerca di idee per realizzare la migliore opera da presentare alla Mostra di Belle Arti che si sarebbe dovuta svolgere nell’autunno.

A quest’appello non si poteva sottrarre il Mattej1 anche perché la mostra era un’importante vetrina internazionale e con uno spettatore privilegiato, il re.

Questo era un periodo particolarmente favorevole per il pittore, soprattutto dopo la presentazione a palazzo reale dello Sbarco di Pio IX al Granarello di Portici e certamente non poteva presentare un’opera non degna.

Autoritratto di Pasquale Mattej nel frontespizio de L’Arcipelago Ponziano: memorie storiche artistiche, Napoli 1857.

Pertanto, cominciò ad esaminare quali potevano essere i migliori e più interessanti soggetti che includessero una parte prospettica e una parte di vita quotidiana con una certa moltitudine di persone e con una varietà di costumi che nell’insieme desse al quadro anche un carattere popolare.

In un primo momento aveva pensato alla piazza del mercato Capuano in Napoli ma dopo diversi sopralluoghi, disegni, e vari ripensamenti, decise che non era abbastanza panoramica e maestosa come lui desiderava. Finalmente l’ispirazione arrivò con la ricorrenza della Fiera di San Benedetto che si teneva in piena Terra di Lavoro e precisamente in San Germano2.

Così avrebbe avuto un grande spazio di lavoro, delle presenze architettoniche importanti come l’abbazia e i ruderi di un antico “Castello Baronale”3 e infine avrebbe potuto realizzare quell’affresco popolare che solo un grande mercato poteva dargli. Nel marzo il Mattej si recò sul posto per cominciare ad eseguire i primi bozzetti e per individuare la migliore angolatura e la migliore prospettiva.

Durante la fiera poi abbozzò il quadro ad olio ed eseguì una serie di disegni raffiguranti particolari scorci, ma anche particolari momenti di scambio commerciale, la varietà dei costumi e tutto quello che, nel trambusto della fiera, riteneva più utile e più interessante riportare nel quadro.

Come un fotografo tutto riportò sulle pagine del suo blocco che portava sempre con sé. E tutto sarebbe servito per la realizzazione dell’opera finale.

Pasquale Mattej, La Fiera di San Germano (1851).

Ritornato a Napoli, si immerse in modo febbrile nel lavoro riuscendo a consegnare il quadro per l’inaugurazione della Mostra dell’Accademia delle Belle Arti. Il quadro presentato dal Mattej fu un dipinto maestoso di mt. 1,59×1,06, intitolato La Fiera di San Germano4. Fu un vero successo, riconosciuto sia dei professoroni dell’istituto che dai visitatori venuti per l’occasione numerosissimi. Ebbe fra gli altri i complimenti per la compiutezza e qualità dell’opera anche dal Chiarissimo Cav. Bozzelli (Consigliere di Stato e Presidente dell’Accademia Reale delle scienze) che la definì la migliore della mostra.

E questo è quanto ho potuto appurare attraverso la lettura di carteggi epistolari e non, completamente inediti.

In realtà sono arrivati a noi due quadri raffiguranti il mercato di San Germano; uno, il più grande, è certamente quello citato dal Mattej e che presentò alla Mostra delle Belle Arti del 1851 è ora esposto in una sala della Reggia di Napoli.

Il secondo di dimensioni inferiori (61×41 cm.) è un bozzetto raffigurante la stessa scena ma da una angolazione leggermente diversa ed è ora visionabile nel museo di San Martino.

Comunque in passato ho avuto notizie di alcuni bozzetti, disegni e acquerelli inerenti la suddetta Fiera. Questo per il Mattej era una cosa normale, proprio perché era a tal punto perfezionista che prima di finire un’opera completamente, studiava la zona, la prospettiva, i personaggi da inserire, i colori, gli sfondi, il tempo e tutto quello che a lui sembrava utile per eseguire al meglio il quadro.

L’opera più piccola è certamente il bozzetto preparatorio per l’opera più grande presentata alla Mostra. In questo si nota infatti una sommaria definizione ed è quasi privo della successione dei piani in una prospettiva a volte lacunosa e che invece nel quadro finale viene esaltata e magistralmente inserita nella vastità della pianura. La ricchezza dei particolari, l’attento esame dei costumi e delle acconciature, la briosa osservanza della vita quotidiana e popolare di un mercato paesano danno al quadro un aspetto familiare suscitando al tempo stesso un senso di curiosa attenzione. Si nota inoltre tra i due quadri una differenza sia architettonica che prospettica. Sembra che nel costruire l’opera definitiva, il pittore abbia migliorato il punto di osservazione, arretrando sulla destra della scena. Anche la trattazione del popolino nelle più varie situazioni sembra nel bozzetto perdere di smalto abbandonandosi ad una più cruda definizione organizzativa. Certamente nell’opera definitiva si sente l’influenza di alcuni artisti del momento, pensando alle raffigurazioni di costume di Consalvo Carrelli o del Gigante. Ma, il nostro, come al solito, vede tutti, apprende da tutti, ma realizza sempre opere diverse dagli altri, con la sua innegabile tecnica e impareggiabile lettura del luogo e delle tradizioni e costumi locali. Non dimentichiamoci la lunga e impegnativa ricerca che fece sulle acconciature e sui costumi tradizionali delle donne di Terra di Lavoro, di Formia e di Gaeta. Studio che lo portò a realizzare una serie di acquerelli bellissimi, testimonianze e documentazioni impareggiabili. Esaminando quindi anche in modo più approfondito il quadro ci accorgiamo della sua maestria interpretativa e soprattutto di quanto conoscesse approfonditamente quello descritto sulla tela. Come anche la semplificazione dello sfondo che limita e accentra l’attenzione dell’osservatore ai due monumenti più importanti al culmine di montagnole verdeggianti; l’Abbazia e la Rocca Janula. Un cielo terso e nuvoloso con un accenno di nebbia sotto il monastero, poi, definiscono in modo opportuno l’atmosfera del luogo. Il quadro nella sua apparente semplicità, ma di complessa costruzione coinvolge lo spettatore che ha l’impressione di assistere personalmente alla Fiera di San Benedetto ed è certamente una delle migliori opere paesaggistiche e di costume del nostro artista.

Ottaviani Giorgio, Pasquale Mattej, Centro Studi Archeologici «P. Mattej», Caramanica Editore, Marina di Minturno 2006, pagg. 237, illustr. b./n.; f.to cm. 17×24; ISBN 88-7425-058-4

Ottaviani Giorgio, Pasquale Mattej in San Germano. Permanenze e opere prodotte nella terra di S. Benedetto, Centro Studi Archeologici «P. Mattej», Edizioni Caramanica, Marina di Minturno 2016, pagg. 60, illustr. b./n.; f.to 20×29,9

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NOTE

* Presidente del Centro Studi «Pasquale Mattej», sede di Formia dell’Archeoclub d’Italia, e biografo dell’artista.
1 Pasquale dei baroni Mattej, pittore, disegnatore, archeologo, biografo e poeta, nacque a Castellone di Formia (allora sobborgo di Gaeta) il 29 gennaio 1813. La posizione sociale paterna, nonché la protezione e il vitalizio concesso alla famiglia da re Ferdinando I, gli permisero di formarsi culturalmente e artisticamente a Napoli. Frequentò il collegio del Salvatore e poi seguì il pittore di corrente neoclassica Gennaro Maldarelli e l’olandese Anton Smink van Pitloo che lo indirizzò al vedutismo romantico e del quale tracciò una scrupolosa biografia. Fece parte della Scuola di Posillipo oltre che come pittore anche come storiografo collaborando con «Poliorama Pittoresco» (il periodico diretto da Filippo Cirelli, originario di Campoli Appennino) e poi con la rivista «L’Arlecchino». Come pittore esordì alla Mostra borbonica del 1848. L’affermazione artistica avvenne nell’anno successivo con le tele commissionate anche da Ferdinando II. Continuò poi a esporre alle biennali borboniche del 1855 e del 1859, mentre nel 1860 contrasse matrimonio a Napoli con Amalia Perone. La sua produzione si indirizzò soprattutto verso la documentazione di eventi storici, di cronaca, di feste, di processioni e di scene popolari di folla. Nel 1845, partendo da Mola esplorò il promontorio di Gianola, poi nel 1847 Ponza e quindi Ventotene pubblicando notizie e impressioni in «Poliorama Pittoresco» e in specifici volumi (L’arcipelago ponziano: memorie storiche artistiche, Napoli 1857), mentre i 42 disegni eseguiti nelle isole, nei quali raccolse dal vivo aspetti folcloristici, costumi, monumenti e vedute panoramiche, sono conservati nella Biblioteca Vallicelliana di Roma. Fu anche decurione nel Consiglio comunale di Castellone e Mola di Gaeta e il suo impegno amministrativo si concretizzò quando il Comune si riappropriò dell’antico nome di Formia e che poi nel 1865 adottò lo stemma da lui ideato. Con la caduta del Regno borbonico si dedicò alla redazione di una storia del territorio, L’Ausonia, opera manoscritta. Morì a Napoli il 17 gennaio 1879 (www.centrostudimattej.it).
2 Nella prima metà dell’Ottocento e quasi fino all’ultima guerra, il territorio di San Germano era un focolaio di interessi commerciali e industriali che trovavano una naturale espressione nello svolgersi di varie fiere in diversi periodi dell’anno. Ogni stagione aveva la sua fiera. Le più popolari erano: La Fiera di S. Maria della Neve, la Fiera di Santantuono, la Fiera di San Benedetto e la Fiera di San Francesco.
3 Il “Castello Baronale” a cui allude il Mattej nei suoi appunti non è altro che la attuale Rocca Janula.
4 Oggigiorno il dipinto fa parte della collezione di Palazzo reale di Napoli, Sala XXV.

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