Agli albori della moderna Aeronautica. I palloni aerostatici, le mongolfiere e i monaci benedettini


Print Friendly, PDF & Email

.

«Studi Cassinati», anno 2023, n. 1
> Scarica l’intero numero di «Studi Cassinati» in pdf
> Scarica l’articolo in pdf

.

di Francesco Di Giorgio

.

(Foto 1:) L’abate Giuseppe Quandel fondatore dell’Osservatorio di Montecassino.

Il 2023 è un anno speciale per l’Aeronautica militare italiana. è l’anno del centenario dell’Arma azzurra essendo formalmente nata il 28 marzo del 1923. L’importante anniversario sollecita grande curiosità, attenzione e interesse. E ciò non è casuale.

L’Aeronautica rappresenta un pezzo importante della storia del paese per le scienze, le invenzioni, la tecnica, l’industria, il coraggio dei suoi uomini. Senza dimenticare le grandi emozioni suscitate a livello nazionale e internazionale dalle grandi missioni esplorative. Di questa grande storia è parte integrante anche Cassino, Montecassino e l’intero Frusinate. Con i suoi piloti Girolamo Moscardini, Guido Rossi, Ottorino Fargnoli, Secondino Pagano, Alberto Testa, Remigio Capobianco, Quirino Giannitelli, Elio Volpari, Marco De Santis, Marco Lanni. Con l’Osservatorio meteorologico di Montecassino fondato nel 1875 dall’Abate cassinese Giuseppe Quandel (sostenuto da Quintino Sella a lungo ministro delle Finanze e fondatore del CAI) che tanto produsse in termini scientifici nel campo del servizio radio atmosferico e del servizio meteorico sanitario nazionale. Con l’aeroporto militare di Aquino (intitolato al capitano pilota Lamberto Fruttini, decorato di medaglia d’oro al valor militare), costituito nel 1927, finalizzato essenzialmente a «scuola di pilotaggio di primo periodo» e, grazie alla grande professionalità del primo comandante, tenente colonnello Riccardo Rospi, affermatosi per grande efficienza, funzionalità e valore didattico. Eccellenti qualità dimostrate anche in occasione dell’arrivo di un nuovo aereo d’addestramento – il piccolo L. 3 della società Avia – giudicato inidoneo al servizio della scuola di pilotaggio malgrado la «sponsorizzazione» di Mussolini in persona.

(Foto 2:) Aeroporto di Aquino: Circolo ufficiali e, di fronte, una Fiat 518–Ardita 2000.

Con l’aeroporto di Frosinone, costituito nel 1939 su preesistente campo di fortuna e conseguente classificazione in aeroporto armato di 3ª classe, che si specializza soprattutto per i corsi di pilotaggio utili al conseguimento del brevetto di navigazione aerea. Oggi questo aeroporto è sede del 72° Stormo dell’Aeronautica militare italiana con annessa prestigiosa scuola di volo elicotteri che forma ed addestra i futuri piloti in ambito europeo sia per strutture militari che civili e di polizia.

Preesistenti a queste importanti strutture, il ruolo e l’opera dei monaci benedettini cassinesi diedero un contributo notevole alla scienza nel campo della meteorologia e del volo aereo. Tra questi citiamo Serafino Serrati monaco benedettino, che nel 1787 pubblicò le Lettere di fisica sperimentale in cui si occupava, oltre che del battello a vapore, di molti aspetti delle scienze applicative allora di moda come «macchine pneumatiche» ed «elettrofori», ma soprattutto di palloni volanti dirigibili che superassero i limiti delle mongolfiere e che fanno di Serrati un pioniere anche nel campo del volo aereo.

(Foto 3:) Aeroporto di Aquino: piloti e specialisti con l’aereo IMAM R0 41

Ancora prima, nel 1783, tre monaci benedettini Bernardo De Rossi, Agostino Da Rabatta e Luigi De Rossi fanno un importante esperimento che così viene annotato dalla cronaca badiale: «nella Badia benedettina fiorentina alcuni monaci cassinesi realizzarono con successo il volo di un pallone aerostatico che dal chiostro del monastero si levò nel cielo di Firenze per essere recuperato qualche ora dopo in un villaggio dell’Appennino emiliano». Un importante impulso all’impegno nel campo delle scienze lo aveva dato anche Giovanni Alberto Colombo monaco cassinese, ordinario di geografia, astronomia e meteorologia all’Università di Padova. Gli insegnamenti di Colombo suscitarono dapprima curiosità e poi grande stimolo a seguirne l’esempio, tra questi Bernardo Paoloni.

(Foto 4:) Aeroporto di Frosinone: piloti e specialisti con l’aereo Fiat BR 8.

L’Osservatorio di Montecassino incominciò a funzionare nel luglio del 1876.

Antesignano della moderna meteorologia da cui dipende non solo la sicurezza del volo ma anche la tutela e il benessere dei cittadini, fin dalle sue origini e per tutto il tempo in cui è rimasto in funzione, l’Osservatorio pubblicò anche una rivista bimestrale diffusa ed apprezzata dal mondo scientifico in tutta Europa: «La Meteorologia pratica – Rivista di Meteorologia aeronautica, agraria, igienica, marittima, radiotelegrafica, ecc. e di sismologia».

Sulla scia dell’Osservatorio di Montecassino, sezioni dello stesso furono istituite nelle Abbazie cistercensi di San Domenico a Sora e Casamari.

(Foto 5:) L’Osservatorio meteorologico di Montecassino (esterno).

Nel 1911 fu creata la direzione centrale del servizio aerologico affidato al colonnello Maurizio Mario Moris. I primi lanci di pallone sonda coordinati da questa struttura iniziarono sperimentalmente nell’aprile 1912 e il 1° maggio dello stesso anno iniziarono i lanci simultanei dalle seguenti stazioni aerologiche: Vigna di Valle, Milano, Verona, Pavia, Moncalieri, Ferrara, Modena, Firenze, Livorno, Montecassino, Mileto, Catania e Tripoli. Fu in questa occasione che i palloni sonda lanciati da Montecassino finirono per cadere nella lontana Serbia!

Il monaco scienziato cassinese Bernardo Paoloni che fu direttore per lungo tempo dell’Osservatorio ebbe anche il merito di far risorgere la Società Meteorologica Italiana di cui nel 1931 ne fu nominato segretario generale. Fu in tale occasione che Italo Balbo nell’inviare la sua scheda di adesione all’importante sodalizio, così scriveva al Paoloni: «Le brillanti affermazioni che nel campo della meteorologia Ella ha meritatamente conquistato,

(Foto 6:) Montecassino: interno stazione aerologia e radiotelegrafica (la prima privata, in Italia, dopo le invenzioni di G. Marconi).

costituiscono oggi, dinanzi al consenso unanime delle più spiccate personalità italiane e straniere, il giusto premio ai suoi innumerevoli sacrifici e della Sua volontà fervida ed operosa. È assai raro trovare tempre di scienziati, lavoratori e pensatori come il Paoloni. Nella sua bella figura si cumulano l’eletta mente, lo spirito profondo e sereno di osservazione acuta e dotta, la devozione schietta al compito nobilissimo volontariamente assunto e così attivamente assolto per il bene dell’umanità, la passione fervida e la salda luminosa fede. Il P. Paoloni onora veramente l’Italia e illustra ancora una volta quell’Ordine dei Benedettini al quale tanto deve la scienza, l’agricoltura, la vita sociale».

Antesignani della moderna Aeronautica furono i palloni aerostatici che, progressivamente migliorati e perfezionati diedero vita ai dirigibili utilizzati nelle attività militari come bombardieri, ricognitori e pattugliatori da costa.

(Foto 7:) Operazioni preliminari al lancio di un pallone aerostatico.

Agli inizi del secolo scorso i dirigibili furono oggetto anche di spedizioni scientifiche verso il Polo nord su iniziativa di Umberto Nobile. La prima nel 1926 con il dirigibile Norge di Roald Amundsen e la seconda nel 1928 con il dirigibile «Italia». Fu in questa seconda, sfortunata spedizione, che perse la vita il motorista del dirigibile, Vincenzo Pomella specializzato motorista presso il Genio Aeronautico di Torino, originario di Sant’Elia Fiume Rapido. Di lui Umberto Nobile, in occasione della prima spedizione, dirà nelle sue memorie: «un meridionale dagli occhi azzurri e dai capelli biondi, foltissimi. Apparteneva alle officine dello stabilimento da molti anni. Meccanico e motorista di prim’ordine.

È inutile dire come egli se la sia cavata durante il nostro volo. È inutile parlare della sua bravura, e della sua resistenza fisica. Basterà dir questo: durante la traversata polare, per settantuno ore, Pomella comandò il motore di poppa. Ora durante le settantuno ore quel motore non si fermò mai. Per settantuno ore funzionò regolarmente, senza il più piccolo inconveniente, ed anche Pomella che lo sorvegliava amorosamente funzionò da motorista per settantuno ore di seguito, senza riposarsi un momento. Sono sforzi di cui solo gli uomini del sud sono probabilmente capaci».

(Foto 8:) Il dirigibile Italia nell’hangar di Ciampino prima della sfortunata missione al Polo Nord.

Sulla seconda missione con il dirigibile «Italia», il giornalista del Corriere della Sera, Cesco Tomaselli, anch’egli al seguito della missione, nel suo Diario dal Polo, raccoglie la testimonianza di Nobile su Pomella dopo la tragica morte: Vincenzo Pomella di Sant’Elia Fiume Rapido, perito sul pack per la caduta della navicella motrice di poppa, era un ragazzo di rara capacità e di incredibile ardimento. A vederlo, si sarebbe detto di un giovanotto cui piacesse soltanto la vita spensierata: vestiva con un’eleganza piuttosto sbarazzina e strizzava l’occhio volentieri alle belle ragazze. L’hangar di Seddim, in Germania, fu testimone dei suoi fulminei successi: poiché era un lavoratore accanito, non si staccava dal suo motore neppure per un minuto, ma mentre con un occhio attendeva al suo lavoro, con l’altro combinava appuntamenti per la serata. Quando non vedeva pubblico intorno a se cantava: poiché aveva molto orecchio e una voce gradevolissima, in un attimo si procurava un uditorio. Povero Pomella! Egli è caduto in piedi e forse per un istante si illuse che la sua ora non fosse suonata. Gli dolevano forte i piedi e perciò si sedette, cominciando a togliersi le scarpe: in quell’atteggiamento lo fulminò la morte.

(Foto 9:) La “tumulazione” di Vincenzo Pomella nel crepaccio del pack artico (ricostruzione del «Secolo Illustrato»).

Vincenzo Pomella sarà seppellito definitivamente in una fossa scavata nel ghiacciaio. I sopravvissuti, guardando per qualche ora il suo cadavere notano che «ancora appaiono tutt’ora spalancati quei suoi begli occhi che hanno il colore del cielo di Cassino. I compagni s’accostano a lui; è trasformato in una statua di gelo, ma lo rialzano come se avesse semplicemente incespicato, lo baciano sul viso sereno, lo chiamano “Vincenzino”, l’abbracciano. Poi due di loro si mettono al suo fianco e lo prendono per le ascelle, trattandolo come un ferito che potrebbe muoversi a passettini. È orribile quello che sta per accadere, ma necessario. Pomella è docile, anche nella morte. Egli sembra assecondare i due che lo fanno camminare e lo portano sul ciglio di una crepa, asciutta, nell’interno della quale potrà riposare senza disfarsi. Gli altri voltano le spalle, e pregano. Si tratta di un attimo. Una spinta e Pomella salta nella fossa ad occhi aperti». Fu a seguito della sciagura del dirigibile Italia al Polo nord che il dualismo presente negli ambienti scientifici circa lo sviluppo del mezzo aereo attraverso i dirigibili o gli aeroplani, che prese definitivamente piede, e si affermò lo sviluppo del mezzo aereo e delle industrie collegate. Impulso decisivo in questa direzione fu dato da Italo Balbo considerato il vero padre della moderna Aeronautica.

Tempi di grandi eventi, purtroppo talvolta anche tragici. Ma sicuramente ricchi di importanti affermazioni scientifiche.

Del contributo dato alla scienza, giustamente, la comunità benedettina è particolarmente fiera. Sentimenti resi indelebili anche attraverso riviste scientifiche: «… tornano a fiorire in Italia le scienze, e vediamo un figlio di S. Benedetto sostenitore e consolatore di Galileo, cui presta grande aiuto nelle scoperte e nelle sue invenzioni. Iddio ispira la scienza delle leggi che regolano le piogge, il freddo, i venti, le folgori, e questa scienza nasce tra le mura dei chiostri benedettini. Ispira la scienza che dovrà dire all’uomo perché e quando la terra tremerà, e la fa pure nascere in un altro chiostro cassinese. Ispira all’uomo le vie aeree per le quali Umberto Nobile giungerà al Polo, e quattro monaci cassinesi un secolo e mezzo prima fanno sollevare un pallone ripieno di idrogeno…» (B. Paoloni, La Meteorologia pratica, 1976).

Del clima vissuto in quegli anni ci pare utile riportare uno scritto del cassinese don Gaetano Fornari (priore dell’Abbazia di Montecassino e protagonista durante il secondo conflitto mondiale, insieme all’abate Gregorio Diamare, delle trattative per il salvataggio dei beni culturali con gli ufficiali tedeschi colonnello Julius Schlegel e il capitano medico Massimiliano Becker), apparso sulla rivista «La Meteorologia pratica» anno VII n° 6 del dicembre 1926 dal titolo: L’Aeronautica e i benedettini – In su la fine del Sec. XVIII:

.

«Sic vos non vobis di virgiliana memoria, s’è una frase atta a scolpire qualunque opera in servigio dell’uma­nità, dal più semplice operaio al più alto inventore, va specialmente ripetuta per coloro che senza altra ambizione si affaticano a rendere di pratica utilità i risultati delle nuove invenzioni. L’opera di questi tali resta per lo più nell’ombra, ma è pur quella che tramanda accesa la face, guida ai volenterosi e agli abili alla conquista delle svariate forze della natura che ci circonda. È pertanto doveroso, quando se ne presenta il destro, rievocare i nomi e l’opera di questi oscuri pionieri del progresso. Così ci è sembrato ben fatto l’aver voluto nella presente fausta occasione ricordati alcuni modesti be­nedettini che ai primi passi dell’aero­nautica vollero porger il loro piccolo obolo di lavoro, quasi il quattrinello della vedova. Tanto più che vediamo oggi anche da questo osservatorio in­nalzarsi talvolta varietà di palloncini per le osservazioni sulla direzione dei venti, che insieme alle altre notizie meteorologiche servono altresì, com’è a tutti noto, ai fini della navigazione aerea. Nil mortalibus arduum (Hor. Ocl. I. 3).

Ma che cosa accade mai in Firenze il mattino del 25 gennaio del 1784? Dalla via di San Martino, presso la Torre della Castagna, una immensa folla fa a gara a riversarsi, finché è possibile, nei chiostri della Badia fiorentina. E dove non le riesce, occupare le vie adiacenti, e via dei Calzaioli e Piazza della Signoria, e arrampicarsi fin sui tetti dei più alti edifici, e recarsi sulle alture circostanti, dovunque sia possibile scorgere il bellissimo campa­nile di Arnolfo che armonioso nella sua linea, ardito e slanciato, si profila e si appunta nel campo del cielo. Il maggiore di tali chiostri, quello ove ancora troneggia nel centro la statua del conte Ugo, è già pieno di gente tra cui alcune notabilità cittadine. Ecco colà su di un apposito recipiente pieno di acqua incombe un pallone di sottilissima membrana, della pelle a battiloro, largo nel diametro un braccio e mezzo, co’ lombi del collo attaccati a un imbuto immerso in quell’acqua. Tre padri benedettini gli sono intorno in faccende. Mercè barili e fiaschi pieni d’idrogeno, aria infiammabile dicevano allora, avutosi da acido vitriolico combinato a limatura di ferro, che fanno passare attraverso l’acqua, gonfiano il pallone. E quando lor pare gonfio al giusto punto, ecco legarne gli estremi lembi, lanciarlo in aria tra gli applausi, gli evviva prima dei circostanti e poi del popolo di Firenze; giacché il pallone superata l’altezza degli edifici, spinto dalle correnti aeree, prima va verso W S-W e poi guadagnando altezza gira verso Nord, in meno di quattro minuti si dilegua agli occhi dei fiorentini; ma eccolo dopo un paio di ore sul castello di Spescia, e poi con isvariate ruote, a seconda de’ venti, valicare gli appennini Toscani, apparire nella regione emiliana, ondeggiare, abbassandosi per la perdita di alquanto del gas che racchiude, su di un luogo detto Calei di Camposonaldo. La novità sconcerta i buoni villici del luogo. “O lo strano uccellaccio!” E chi corre al suo fucile, chi dà mano alle vanghe, chi a pietre, chi ad altro istrumento. Ma ecco accorrere il dotto e pio pievano, Ab. Antonio Fontana.

Dichiara innocua a loro, esperienza preziosa a quel tempo, e tutti, mutato l’animo, ridono di loro stessi. Il pallone finalmente si abbatte a terra senza la menoma rottura. Nuova gioia a Firenze: il 28 del mese ritorna quell’istrumento, e lodi vanno e congratulazioni e i buoni costruttori e lanciatori del pallone: D. Bernardo De Rossi, don Agostino da Rabatta, don Luigi De Rossi, lettori cassinesi, come dicevasi allora, – oggi professori e dottori – che tra loro studi si occupavano altresì di fisica e di scienze naturali. Primus nec timuit, Id. Id.

Non era questa la prima volta che anche a Firenze riusciva il lancio di un pallone, perché quattro giorni prima, il 18 gennaio, al sig. Francesco Henrion, pistoiese architetto, era riuscito bene farne volare uno di carta, ad aria rarefatta, dagli orti di un tal Corona presso il ponte della Carraia. Si levò cotesto pallone all’altezza forse di un cinquecento e cinquanta metri, s’andò, aggirando variamente, ricadde tra le mura stesse della città. Ma la differenza del pallone benedettino stava nell’essere di pelle a battiloro, nella maggiore ampiezza, nell’essere gonfiato a idrogeno. Mongolfiera quello dell’Henrion Carolina o Robertina, – come dicevansi da vari autori – quello dei benedettini, e fece viaggio più lungo. Non se ne stette l’Henrion e ad affermare forse – era peraltro suo diritto – la priorità del suo esperimento, aveva già costruito un nuovo pallone, sempre di carta, ancora più grande, e il 23 gennaio ad aria rarefatta felicemente lo innalzò nel giardino di Boboli alla presenza del Graduca, il quale gli regalò in premio cinquanta zecchini. Ma il pallone scomparve, nè del suo viaggio si ebbe più novella alcuna. I giornali del tempo dicono: quel giorno nevicava.

Audax Iapeti genus. Id. Id. Quando il governo d’Italia fe’ nel 1896, per la nostra guerra d’Affrica, costruire in Inghilterra due aerostati die’ nomi ad essi: Serafino Serrati e Domenico Lana. Il Lana, gesuita, ave­va nel 1670 proposta una barca volante sostenuta da quattro globi di lastra metallica, in cui a renderli più leggeri dell’aria si sarebbe fatto il vuoto pneu­matico. La cosa levò rumore, discussa da’ dotti del tempo, persino dal Leibniz. Ma se la primizia del Lana ebbe un seguito negli studi anche posteriori, specie dopo le felici induzioni del Cavendish e del Blak che svelarono le proprietà dell’idrogeno, non fu però mai tradotta in pratici esperimenti. Ma dopo l’invenzione de’ Mongolfier e l’innalzamento delle prime mongolfiere e caroline, “A che vale tutto ciò”, scriveva nel 1783 a Firenze lo Ximenes e veniva ripetuto altrove, “se non si riesce a dominare la forza de’ venti e dirigere l’aerostato dove si vuole?”. E un fervore di nuovi studi tenne dietro e specie in Italia e in Francia. Ci fu sorridere oggi, dopo tanto cammino, l’ingenuità delle proposte di allora e de’ nuovi tentativi, ma non ci sono meno cari a quella guisa che i primi segni del destarsi ne’ bimbi l’ingegno. Chi sia vago di notizie, legga in proposito il bel libro del Boffito: Il volo in Italia. Firenze Barbera 1921. A noi basti lo scontrarci in don Serafino Serrati, il cui nome decorò dunque uno degli aerostati di Affrica. Monaco anche lui dal 1769 della Badia fiorentina, era noto tra gli scienziati per aver trovato, il primo come far muovere un battello nell’acqua per mezzo del fuoco senza l’aiuto del vento. Egli fece altresì conoscere l’utilità dell’uso dell’idrogeno ne’ palloni volanti e indicò il come estrarlo invece che da limatura di ferro e acido vitriolico, dall’alcool e in genere da liquidi oleaginosi, e oltre a ciò insegnò la maniera di costruire e rendere impermeabile il tessuto dell’involucro de’ palloni, e fece una proposta sul modo di dirigerli. Tutte queste notizie si apprendono dalle «Lettere di Fisica sperimentale» – che il Serrati pubblicò a Firenze nel 1887 pe’ tipi di Gaetano Cambiagi. Lettere che divennero celebri e meritarono, forse anche per qualche nuovo esperimento, che fosse il nome di lui menzionato nell’Aerostiade di Vincenzo Lancetti, il maggior poema, dice il Boffito, che le lettere italiane posseggano su questo argomento. In appendice, per chi lo desideri, daremo con le figure del caso alcuni brani delle lettere del Serrati, togliendoli alla “Rivista d’Artiglieria e Genio” del 1887, in una Notizia che il capitano Bardi diè “di alcuni tra’ primi cultori della Aeronautica”. A noi giova ricordare qui la proposta della dirigibilità dell’aerostato fatta dal Serrati e una critica che le fece l’Henrion. Proposta e critica, che se oggi giudichiamo cose puerili, non dovettero essere considerate così al tempo in cui apparvero. Il Serrati, è facile comprendere, aveva avuto non piccola parte nel dirigere i suoi confratelli nel lancio del pallone de’ 22 gennaio 1784 da noi descritto. Intanto gli anni 1783 e 1784 erano fecondi in varietà di proposte per la dirigibililà, e tra le prime si trova quella del Serrati, giacché nel numero del giornale «Le notizie del mondo» de’ 21 febbraio 1784, si trova la proposta di lui di collocare sulle sponde della navicella, sospesa al pallone, verso poppa quattro grandi soffietti col tubo sporgente in fuori, congegnati in modo che mentre i due estremi si abbassano, si alzino i mediani, e viceversa, e ottenere così la propulsione necessaria. A regolare poi la direzione proponeva l’aggiunta a poppa di una specie di telaio che facesse da timone. Nella quarta poi delle sue «Lettere» già citate, (1887), egli volle compiere e correggere la sua proposta. Scriveva che l’aeronauta otterrebbe a sua volontà la direzione, facendo funzionare col proprio peso due mantici sottoposti e collegati tra di loro, che per mezzo di una tromba, mobile in tutti i sensi, manderebbero getti violenti di aria su di una gran vela pendente dalla circonferenza del pallone. Aggiungeva poi di avere esperimentata in piccolo la sua invenzione: “L’ho potuto fare nel mio pallone del diametro di un braccio e mezzo … avendo a questo attaccata la vela col suo peso sottoposto, equilibrato … e … tenendo nelle mani un bravo soffietto ebbi il contento di farlo passeggiare dove io volevo e per qualunque altezza e direzione. Contro il Serrati si levò Francesco Henrion, l’architetto pistoiese che già aveva contrapposto i suoi esperimenti di lancio di palloni a quelli dei benedettini, e lo fece con una sua lettera a stampa contro la IV lettera del Serrati, e che vide la luce a Firenze presso lo stesso editore Cambiagi. Dapprima egli condanna il sistema della carolina seguito dal Serrati e sostiene il suo a mongolfiera. Ma quello che subito si scorge è che gli dispiaceva di poter essere lui, proprio lui, posposto in quella invenzione al Serrati. No, era stato egli per primo ad inventare un sistema di dirigibilità. Innocente e puerile vanità!

In merito poi, s’egli aveva ragione nel dichiarare al Serrati che la propo­sta de’ mantici non era cosa nuovis­sima; se felicemente lo combatte nel mostrargli l’impossibilità con quella proposta di contrastare alla velocità dei venti contrari; se non a torto gl’im­puta di non tener conto della mutabile densità dell’aria secondo le altezze dal suolo e simili; non è poi egualmente felice nel proporre la sua propria in­venzione. Partendo egli dal suo sistema della mongolfiera, cioè del gonfiamento del pallone ad aria rarefatta, propone che sotto la bocca del pallone ci si applichi una specie di fornello, munito di coperchi regolabili dall’aeronauta, e così rarefacendosi quando meno quando più l’aria nel pallone, potrebbesi la macchina farla a piacere salire o scendere sino a trovare la corrente aerea favorevole alla direzione che bi­sogna. Non occorre spender parole a dimostrare la proposta dell’Henrion non meno puerile e fantastica di quella del Serrati. In quanto a quest’ultimo non troviamo nessuna traccia che abbia mai voluto entrare in polemica col suo competitore.

Oggi peraltro, lontani come siamo da quella discussione, possiamo ben nominare l’uno accanto all’altro, e il Serrati e l’Henrion, tra quegli animosi che si sforzavano di giovare all’uma­nità, cercando facilitarle i mezzi da procedere alla conquista dell’atmosfera, precursori, in miniatura se si vuole e in desiderio, degli odierni costruttori di velivoli, o che siano dirigibili o aeroplani.

Montecassino, 29 novembre 1926.

 

                                                                                    Don Gaetano Fornari B. C.».

.

(161 Visualizzazioni)