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«Studi Cassinati», anno 2023, n. 1
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RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE
Enrico Tanzilli, Diari di guerra. Oasi di Tripoli, 1911-1912. Dolomiti, 1915-1916, a cura di Emanuela Marino, Gangemi Editore, Roma 2020, pagg. 350, illustr. col. e b./n.; f.to cm. 17×24; ISBN 978-88-492-3774-0
Emanuela Marino, con la collaborazione dei suoi due fratelli Giovanni e Francesco, ha voluto rendere omaggio allo zio Enrico Tanzilli pubblicando, riunendoli, i due Diari scritti dal loro congiunto in due particolari momenti ma ben distinti (nel corso della guerra di Libia e della Grande Guerra). I due Diari, assieme a un buon numero di fotografie di corredo (quelle rinvenute sono state pubblicate mentre altri album sono andati persi) facevano parte delle carte di famiglia, degli «effetti personali» di Enrico Tanzilli. Ecco ora che opportunamente, a poco più di un secolo dalla stesura di quelle pagine, è stata data loro un’accurata veste tipografica e così hanno finito di essere a esclusivo appannaggio della ristretta cerchia familiare e sono stati offerti ad appassionati, ricercatori, studiosi e al pubblico in genere.
Ne è nato così il volume Diari di guerra che risulta costituito sia dagli scritti redatti nel 1911 e nel 1912 nell’Oasi di Tripoli e relativi all’esperienza bellica in Tripolitania (che occupano le pp. 25-144, cui fanno seguito due Appendici e un corposo album fotografico), sia da quelli compilati negli anni 1915 e 1916 sulle Dolomiti (che occupano le pp. 197-306 cui fanno seguito nove Appendici e varie foto), mentre in apertura è collocata la Presentazione del prof. Filippo Coarelli. Scrive opportunamente l’eminente studioso che i Diari sono «frammenti di storia vissuta» da cui traspaiono gli stati d’animo dell’autore nel corso di quei pericolosi e difficili momenti ma, allo stesso tempo, la narrazione riesce a restituire a vita i caduti, umanizzandoli e dando «consistenza reale a molti di essi». Il sacrificio supremo dei caduti offre al lettore la possibilità di «misurare» la «dimensione della tragedia» che coinvolse l’Italia e poi l’Europa e il resto del mondo negli anni di guerra e in quelli immediatamente successivi.
Il volume dei Diari di guerra si avvale anche di un robusto apparato di note che agevola, e non di poco, la comprensione del testo. «L’esposizione dei fatti, in entrambi i diari, è sempre sostenuta da una solida vena narrativa caratterizzata da una colta proprietà di linguaggio – non priva di citazioni erudite – e dall’agilità del periodare con racconti vivaci e dettagliati talvolta conditi da espressioni gergali i dialettali del paese di origine dell’autore».
Enrico Tanzilli era nato a Caprile (fazione di Roccasecca) il 5 febbraio 1888, primogenito di Giuseppe e Maria Coarelli. Dalla coppia nacquero altri cinque figli maschi: Raffaele, Francesco, Pio, Michele e Tommaso. Enrico dopo essersi diplomato presso il prestigioso Liceo Classico del Collegio Tulliano di Arpino, iniziò a lavorare, dal 1907, presso la Direzione generale delle Ferrovie dello Stato a Roma. Scoppiata la guerra italo-turca per il possesso della Libia fu arruolato come sergente allievo ufficiale dell’82° Reggimento fanteria destinato alla difesa dell’oasi di Tripoli. Decise di redigere un Diario che ha inizia il primo ottobre 1911, quando ancora si trovava a Roma in stato di mobilitazione e fu raggiunto dai genitori, per terminare il 13 febbraio 1912 quando era in procinto di rientrare in Italia, giungendo a Roma il 29 aprile successivo.
Lo scoppio del Primo conflitto mondiale e la dichiarazione di guerra dell’Italia del 23 maggio 1915 lo vedono ancora in prima linea. Infatti raggiunse il fronte nell’agosto con il 59° Reggimento fanteria brigata Calabria col grado di sottotenente e combatté nella zona del Col di Lana. Tenne un Diario anche per questo secondo periodo di guerra, iniziato il 15 agosto 1915 e terminato il 20 settembre 1916 quando, promosso tenente, fu allontanato dalla prima linea essendo stato destinato al reparto mitraglieri Fiat a Brescia come istruttore. Tornò varie volte sul fronte al fine di ispezionare le postazioni delle mitragliatrici, finché, promosso capitano, fu insegnante nei corsi di Arma e Tiro presso la Scuola di perfezionamento mitraglieri a Illasi (Verona) per tutto il 1918. Congedato, tornò in servizio presso la sede centrale delle Ferrovie di Stato percorrendo i vari quadri di ispettore fino al pensionamento nel 1950. In quiescenza continuò a vivere a Roma fino alla sua scomparsa avvenuta il 26 dicembre 1971.
Il Diario 1915-1916 si apre il 15 agosto quando Enrico Tanzilli, che si trovava a Ferentino, ricevette il telegramma di chiamata alle armi. Dopo essere stato a Frosinone ed essere rientrato per un paio di giorni a casa a Caprile, partì il 19 agosto dalla stazione di Roccasecca in treno diretto a Firenze, annotando «Quanta differenza ha la clamorosa partenza per Tripoli e questa inosservata partenza di oggi! Quanta maggiore serietà!» (gdac).
Seguiamo il racconto di una particolare vicenda scritta dallo stesso Enrico Tanzilli nel Diario, iniziata in guerra e poi protrattasi successivamente, relativa alla «lunga ma veridica storia» del suo orologio da taschino. Si ringrazia Emanuela Marino per aver concesso l’autorizzazione alla pubblicazione di ampi stralci del volume (pp. 284-285, 290-291, 331-335) nonché di alcune fotografie a corredo (gdac).
22 luglio 1916
Q. 2200
Questa notte abbiamo avuto piccole scaramucce d’avamposti, noi trincerati [a q. 2157]292 sul limite inferiore della radura della Malga, gli austriaci trincerati sul limite superiore al margine del bosco. Alle 9 dopo alcuni colpi di bombarde293 che fanno tremare la terra ricominciamo l’avanzata, traversando la spianata della Malga, ed occupiamo le prime trincee austriache che troviamo abbandonate in tutta fretta. Sorprendo un Kaiserjager294 lo disarmo e lo faccio prigioniero: figlio d’un cane forse perché non ha fatto in tempo a staccarsi una bomba dalla cintura mi ha offerto subito dopo le sigarette! Ho perduto l’orologio e la catena d’oro! Ieri è stato ferito il Cap. Caprioli295 del 60º, Testa e Costantini296 oggi del 59º: abbiamo parecchi morti e molti feriti. Col nucleo sono a sera d’avamposti sulla quota 2200 incastrato con gli uomini fra rocce dentellate ed aguzze come pugnali. Dieci passi dietro me, sull’orlo del piccolo ripiano nel quale scorre lentamente un filo d’acqua, il sole morente fa anche più giallo il viso contratto spasmodicamente di un soldato ferito all’adome297 e [caduto morto] a sedere fra due rocce: nessuno potrà toccarlo prima di notte…. Nella luce rossa del tramonto spicca sul viso di lui un fremito continuo di piccole ali che sembrano dorate…. Son mosche!!.. Fa freddo ed a notte piove.
…
30 luglio 1916
Q. 2200
Giornata anche più calma di ieri che passo a scrivere ed a chiacchierare con il mio entourage di cui fa parte Di Sotto di Castrocielo: siamo come a casa nostra, eppure sulla roccia ogni tanto rimbalza una pallottola! Riprendo speranza di ritrovare il mio orologio che dovrebbe essere stato raccolto da un certo Santoro di Pontecorvo. Fotografo la pietra che mi ospita, e che mi difende nello stesso tempo che mi dà modo di offendere.
E così il 59º divenne alpino!315
Ma che si fa? la situazione mia è criticissima: spinto in avanti a contatto immediato col nemico non sono appoggiato né a destra né a sinistra; avrò in tutto una trentina d’uomini, quasi senza possibilità di costruire ripari; verso sinistra tanto quanto, ma a destra? la linea scende di colpo e mi rimane dietro più di cento metri. E gli uomini stanchi, senza cambio, vigilano giorno e notte dormendo qualche ora sul mezzogiorno. A sera la solita sinfonia di fucilate e di bombe di ogni genere. Durante la notte la musica aumenta in ragione dell’oscurità.
31 luglio
Q. 2200
Sono sempre alla ricerca dell’orologio: Santoro Vincenzo, che dovrebbe averlo trovato, lo cerco invano: con me non c’è, in compagnia non è tornato, né risulta tra i malati o feriti.
Verso le 10 mi vien l’ordine di recarmi al comando di Reggimento per assumere la carica di portabandiera. Ma al momento di muovermi, dopo la mensa, mi prendono a fucilate: mentre mi schernisco fra le punte delle rocce saltando come una capra incominciano a bombardare la posizione, si che debbo fermarmi con Ceci fino a tardi presso il buco di comando di compagnia. C’è San Giovanni e tutti e tre rannicchiati sotto le radici di un abete ci sorbiamo un paio d’ore di pioggia continua di granate e di shrapnels d’ogni genere. Per fortuna nessuno di lì vicino vien ferito. Verso il tramonto giungo al comando di Reggimento e mi presento al Colonnello che mi chiede informazioni sulla compagnia e sul mio nucleo. La mensa è un guaio: il Colonnello soffre di stomaco e noi si farà la cura Succi316. Raffaele mi manda saluti da Falcade: non capisco.
1º agosto 1916
Quota Comando
Sono stato questa notte di servizio al telefono: la responsabilità è discreta per chi non vuol prendere ad ogni momento l’imbeccata dal Colonnello o dall’ A. M. che dormono: provvedere ai rifornimenti di cartucce, attrezzi, sacchi a terra, chiedere notizie alla linea, darne ai comandi, rispondere alle migliaia di chiamate, raccogliere le novità. Stamane dopo un breve pisolino mi son ripulito. Mi sento meglio. Ieri, scendendo, passai vicino al posto di medicazione di battaglione: ero tanto sporco e dovevo essere tanto interessante che il dottore [aggiunto sopra la riga Silvestri] volle fotografarmi. Peccato che oggi mi telefona che la lastra era rovinata. Santoro Vincenzo, di Francesco e di Santa Maria Rosa nato a Pontecorvo, classe 88, contadino, è stato trovato morto in un passaggio fra due rocce. Dev’esser morto il 22317 [o 24] luglio. L’orologio è pieno d’acqua318. E’ stato anche ritrovato il cadavere di Pecci e domani sarà seppellito. La 3a Compagnia e la 1a Sezione Mitragliatrici è stata proposta per l’encomio solenne319. Meno male. Ceci mi ha proposto per la medaglia di bronzo. Incomincia regolarmente la cura Succi: meno male che c’è Lancia e Bernardino coi quali mi rifaccio a furia di cioccolato e pane sciolto nel caffè, con fornello sui generis.
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APPENDICE VIII
La “Storia dell’orologio d’oro” dattiloscritta da Enrico Tanzilli nel 1968 in varie copie
LA LUNGA MA VERIDICA STORIA
DEL MIO OROLOGIO D’ORO A TRE CASSE
MARCA HORIZON N. 2101
1912 – L’orologio mi è regalato da mio fratello Comm. Dr. Francesco* al mio ritorno dalle due campagne 1911/1912 della guerra Italo-Turca.
1915 – 21 agosto. Richiamato, parto dal natio Borgo di Caprile 03038 (Frosinone) e raggiungo il 59° Fanteria al fronte a Caprile 32023 (Belluno) sotto il Col di Lana.
La sera stessa, dopo la mensa, il Colonnello Petracchi – notato il mio nastrino della Libia – mi spedisce in trincea sul Col di Lana “perché è bene che il Comandante della 3^ Compagnia, Tenente Lucisano, sia coadiuvato da un Sottotenente anziano e reduce da una guerra”.
Due ore di faticosa marcia notturna che l’orologio controlla. (Episodio del conducente De Libero di Castrocielo: “Arri, che sicciso!”421)
1915 – 9 ottobre. Forte austriaco La Corte sul Col di Lana – l’orologio conta le ore dei tanti giorni di sanguinosi tentativi della 3^ Compagnia di impadronirsi del Forte, perfino spingendo il mio plotone nella notte 28/29 ottobre, alcuni asini (“asini di genio”) sul campo minato, una mina del quale uccide due cugini milanesi, miei “guastatori”, di nome MUGNAI.
1916 – 15 luglio. (mio onomastico). Il Maggiore Bartolucci mi dice che, nella prossima azione sul Colbricon, sono comandato a tagliare i reticolati con un Nucleo Speciale di sessanta uomini “scelti” non ancora chiamati “Arditi”422 che portavano sulla manica destra della giubba le cifre reali V.E. ed erano esploratori, segnalatori, tiratori scelti, tagliafili, portatori di tubi di gelatina esplosiva, bombardieri ecc.
1916 – 19 luglio. Inizio della marcia di avvicinamento attraverso il bosco. Piove forte e dopo poco siamo fradici.
1916 – 22 luglio. Col Cap. Mag. Mauti423 sorprendiamo un Kaiserjager424, lo disarmiamo e lo facciamo prigioniero. Ci offre sigarette invece della bomba che non ha fatto in tempo a sfilarsi dalla cintura. Sono le 10,25.
1916 – 22 luglio. Verso le 11,00 il soldato, mio compaesano, Bernardino Abbate ciclista (sic!) mi porta l’ordine del Colonnello Petracchi di scattare all’attacco al termine di un breve bombardamento della nostra artiglieria.
Accovacciato a terra metto l’orologio e la catena d’oro a pendant (questa colle spalline d’argento regalate poi alla Patria) su una coscia per segnare l’ora di ricevuta sulla busta e firmare; ma appena licenziato il portaordine, penso che, stando col Nucleo da 50 a 20-12 metri distante dalle posizioni austriache, saremmo investiti con esse dallo stesso bombardamento; richiamo Bernardino e scrivo sulla busta che mi si autorizzi, con l’accensione di un razzo bianco Very425 a retrocedere di una trentina di metri fra le roccette retrostanti. L’orologio intanto mi cade fra l’erba – il bombardamento mi prepara l’avanzata.
Scatto, subito dopo, col Nucleo, ed a sera siamo d’avanposti426 su quota 2157427, mai oltrepassata durante la guerra 1915/18.
Eppure sarebbe bastato un nostro piccolo sforzo, se fossimo stati sostenuti da un reparto meno stanco e provato, per arrivare alla cima.
Nel Nucleo428: morti Cap.le Mai, Soldati Baldrate, Di Sotto, Canepari, Carcione, Rustichi e De Filippo; ferito Scenna; nelle Compagnie ferito il Capitano Caprioli, i Tenenti Testa e Costantini.
1916 – 22 luglio. A sera mi accorgo di aver perduto l’orologio. Inutilmente nella notte l’attendente De Santis di Fiuggi, tanto bravo, va a ricercarlo nel posto di caduta, da lui – a giorno – così precisamente individuato da portarmi all’imbrunire la striscetta di carta gialla che avevo strappato per aprire la busta dell’ordine.
Ma dell’orologio nessuna notizia!
1916 – 31 luglio. I miei soldati mi dicono che il soldato Santoro ha trovato un orologio d’oro, forse austriaco “perché sulla cassa ha tante figure”, ma lo stesso Santoro non è né con noi, né fra i morti, i feriti, i malati, né fra le Compagnie retrostanti per quanto ricerche ne faccia il Comando di Reggimento.
1916 – 1° agosto. In altro piccolo balzo di assestamento del Nucleo, Santoro Vincenzo di Francesco e di Santamaria Maria Rosa, nato a Pontecorvo, classe 1888, contadino, viene trovato poco più avanti, ucciso da una pallottola in fronte in uno stretto passaggio fra due roccette. È di sicuro caduto il 22 luglio ed è in via di decomposizione.
Nel deporlo in una fossa, il corpo semidisfatto si piega e da una specie di tasca, ottenuta con un taglio nella fodera della cintola dei pantaloni, scivola l’orologio: è macchiato di sangue e di materia organica. Lo metto aperto in un colatoio della montagna ed al mattino lo empio dell’olio dei fucili.
1916 – settembre. Colbricon. Il mio collega Sottotenente Filetti va a Parma dai suoi e poi a Brescia a frequentare per 15 giorni la scuola mitraglieri; lo prego di farmi pulire l’orologio e di spedirmelo a casa. Non so più nulla né dell’orologio né di Filetti che invano ricerco scrivendo ai Cappellani degli Ospedali dove mi era stato detto essere egli ricoverato ferito.
1917 – gennaio. – Caprile -. Tornato a casa in licenza invernale Mamma mi dà un pacchetto da tempo giunto al mio indirizzo; apertolo, trovo l’orologio ripulito e riparato senza indicazione dello speditore; i timbri postali sono di Parma.
1918 – Illasi. Riportato con me al fronte, l’orologio mi cade e si ferma. L’orologiaio del paese svita il plateau e trova rotto l’asse; ma non ha il ricambio adatto. Mette in una scatola l’orologio ed in un’altra più piccola il plateau, scappamento e spirale affinché provi altrove.
FINE DELLA GUERRA. Vado da Capitano a congedarmi a Frosinone. All’ingresso del Distretto e della Caserma del 59°, un Tenente, che mi è di spalle, parla col capoposto: questi mi saluta, quello si volta: è Filetti!!… Ci abbracciamo, parliamo delle nostre vicende, della sua ferita, del mio orologio che egli a stento ricorda e mi dice che è stata la mamma a rispedirmelo a casa. Rifiuta assolutamente il rimborso della spesa.
ARRIVO A CASA. Nella cassetta d’ordinanza c’è soltanto la scatola grande, quella dello scappamento è scomparsa…
1919 – gennaio. Roma. Riprendo servizio alla Direzione Generale delle Ferrovie dello Stato. Interpello tante orologerie, ma nessuna si dichiara in grado o disposta a riparare l’orologio: qualcuna mi consiglia di provare con Rocca di Torino. Spedisco l’orologio al mio carissimo amico e collega Mimmo Risaldi (purtroppo dopo pochi anni scomparso giovanissimo) che interessa Rocca. Questi si appresta a cambiare addirittura la macchina che però per qualche decimo di millimetro non entra nella cassa. L’orologio mi torna a Roma e resta alcuni anni abbandonato sul caminetto della mia camera da letto a Via Marsala n. 26 (ora il vecchio palazzo è stato sostituito da uno tutto diverso).
1923 – aprile. Mio fratello Raffaele capita a Roma, vede l’orologio sempre fermo e mi sgrida perché “ancora non l’ho fatto riparare”. Saputa la vicenda di Roma e di Torino, mi dice con assoluta sicurezza: portalo a Luigino a Roccasecca e vedrai!!…
1923 – aprile. Roccasecca un mercoledì – mercato. Parliamo con Luigino (Luigi Serafini di Sora; il fratello, Capitano del 60° Fanteria, caduto a Col di Lana-Sief)429. Egli, sentito il racconto dell’episodio Santoro, assume senz’altro l’impegno della riparazione a tre condizioni subito accettate:
1°) un anno di tempo;
2°) dono del fucile da caccia che ho alla spalla;
3°) compenso di 100 lire.
1924 – 6 aprile. Alla scadenza dell’anno l’orologio è riparato con pezzi adattati a mano come, aprendolo, a prima vista si rileva.
1924 – maggio. Dal laboratorio “ORAFO” ora OREFICERIA di Via Principe Amedeo n. 2 faccio incidere all’interno della prima cassa l’iscrizione rievocativa del mio bravo Ardito Vincenzo Santoro e della vicenda dell’orologio:
1966 – 30 aprile. Sperlonga: chiusura della caccia alle quaglie.
All’ingresso del Museo Tiberiano parliamo col custode Sera Mariano di Pontecorvo. Venuto il discorso sulle guerre alle quali abbiamo partecipato, gli mostro l’orologio e gli leggo l’iscrizione interna. Al nome di Vincenzo Santoro ha un balzo e grida che è Maresciallo d’Aviazione a Roma, ed alla mia osservazione che, invece, cadde a Colbricon mi spiega che, allora, il Maresciallo è il figlio cui fu dato lo stesso nome del padre essendo nato dalla vedova rimasta incinta. Gli dò il mio indirizzo affinché scriva al Maresciallo che sarei ben contento di conoscerlo.
1966 – 19 MAGGIO. I fratelli Bernardino e Vincenzo Santoro mi fanno visita. Ho approntato tutti i miei appunti, ruolini, diari che si riferiscono all’Ardito Santoro; ma alle prime parole si chiarisce, con nostra grande delusione che non si tratta del loro padre che era Santoro Vincenzo di Domenico e di Alessandrina Gaetani, classe 1898 Alpino del 7° dichiarato disperso nel 1917 dopo Caporetto, oggetto di sentenza di presunta morte per cui la vedova Maria Antonia Carnevali aveva poi potuto rimaritarsi col cognato. Il Santoro dei miei appunti di trincea è un omonimo soldato pontecorvese di diversa genologia430, fante del 59° morto un anno prima il 22.7.1916 a Colbricon.
1966 – giugno. Il Signor Vincenzo mi promette di informarmi della famiglia di quest’ultimo. Mio cugino Dr. Comm. Giuseppe Tempesta431, notaio a Pontecorvo, su mia preghiera, mi segnala che i Santoro Vincenzo di Pontecorvo, morti all’epoca della prima guerra mondiale, sono ben quattro di cui due caduti in guerra e due di morte naturale; aggiunge peraltro di aver potuto individuare dal cognome della madre quello che cerco. Della sua famiglia, composta della vedova e di due figli, risiede a Pontecorvo solo l’ultimo figlio Giovanni nato il 24.4.1916 che è bidello all’Istituto Magistrale. La madre ed il fratello sono in America.
1966 – 10 luglio. Per gentile interessamento di mio cugino, ho finalmente un colloquio col figlio Giovanni (chiamato Vincenzo dai parenti e dai vicini) del bravo Santoro caduto fra i miei arditi a Colbricon. Sono tremendamente emozionato nel mostrargli vecchi appunti di trincea, ruolini di squadra riguardanti anche il padre ed un gualcito foglietto con il nome scritto a penna dei caduti durante l’attacco di quota 2157 del Colbricon. Il solo nome di Santoro è scritto a lapis perché ancora non era stato trovato il cadavere. Ma mi tremano addirittura le mani quando gli mostro una piccola fotografia sbiadita del mio posto di comando sulla insanguinata quota del Colbricon e sul fianco sinistro di esso, un po’ più avanti la roccetta dietro la quale fu rinvenuto il 1° agosto 1916 il cadavere di Lui: sul suo corpo semidecomposto era il mio orologio “pieno d’acqua e macchiato di sangue rappreso”!!… Siamo veramente commossi. Gli prometto di spedirgli due copie432 di questa “Storia”, affinché ne possa mandare una alla Mamma ed al fratello in America. Si fa promettere che andrò a fargli visita in casa al vicolo San Rocco n. 6 quando mi capiti di tornare a Pontecorvo.
1968 – 10 agosto. Roma. Chiudo questa storia nella reverente rievocazione della bella figura di un mio Ardito, caduto da eroe sul campo, che l’orologio con la sua scritta riporta vivamente alla mia mente ed al mio cuore.
E con Santoro rivedo, come fosse ieri, tutti i miei Guastatori-Arditi aggrappati, primi fra primi, alle aspre roccie di quota 2157 che, tinta di sangue prevalentemente ciociaro, fu la più alta sul Colbricon raggiunta in tutta la guerra 1915/18 dall’Esercito Italiano.
Enrico TANZILLI
Tenente Colonnello di complemento
già Tenente del 59° Fanteria
3^ Compagnia sul Colbricon
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1968 – L’OROLOGIO CAMMINA E VA BENE!!….
Son passati 56 anni da quando mi fu regalato dal mio compianto fratello, e 44 da quando fu riparato con pezzi adattati a mano da “un umile artista” (come egli si definiva) di Roccasecca. L’orologio cammina e VA BENE!!….
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NOTE
292 La quota si trova nell’elenco delle posizioni raggiunte che fecero meritare al 59° reggimento la medaglia d’argento al valor militare (“Con tenacia ed elevato spirito di sacrificio, non scossi dalle ingenti perdite e dalle più ardue difficoltà, conquistò in lotte memorabili, la vetta del Col di Lana e poi le contrastate pendici del Colbricon e della Cima dello Stradon, fieramente resistendo ai violenti e ripetuti attacchi nemici”. Col di Lana – Piccolo Colbricon – quota 2157 – Cima della Stradon, luglio 1915 – ottobre 1917).
293 Nome di antiche bocche da fuoco attribuito alle armi allora prodotte a costi contenuti e di facile trasportabilità, appartenenti alla cosiddetta “artiglieria da trincea”, che, nonostante la corta gittata e la scarsa precisione di tiro, per la traiettoria molto arcuata e per l’alto contenuto esplosivo delle bombe ben si prestavano a spianare reticolati, ricoveri e camminamenti. L’uso delle bombarde – adottate dall’esercito italiano nell’estate del 1915, inizialmente con modelli francesi ben presto sostituiti da esemplari nazionali di accresciuta perfezione e potenza – fu intensificato in questo periodo.
294 I Kaiserjäger erano i soldati “cacciatori imperiali”, reclutati nei territori alpini (in particolare nel Tirolo), appartenenti alle migliori truppe di montagna dell’esercito austriaco.
295 Il capitano di complemento Vittorio Caprioli (da Torino) fu decorato per questa azione con la medaglia di bronzo al valor militare (Cima Stradon, 21 luglio 1916).
296 Entrambi indicati con il grado di tenete nella giornata del 22 luglio nella “Storia dell’orologio d’oro” (in Appendice VIII).
297 Sic.
315 Allusione scherzosa che vuole sottolineare la difficoltà di movimento sul territorio montano di questo fronte caratterizzato da frastagliate creste e lunghe dorsali rocciose sopra i 2.000 metri di quota. In effetti il Comando Supremo impiegò nella guerra di alta montagna molti battaglioni di fanteria e poche truppe alpine.
316 Riferimento ironico a Giovanni Succi (Cesenatico 1850 – Scandicci 1918), celebre esploratore in territorio africano e digiunatore, che si esibiva al pubblico chiuso in una gabbia di vetro senza mangiare per settimane, arrivando più volte alla durata di un mese, solo sostenuto dal magico liquore da lui brevettato di cui non rivelò mai la composizione (“Domenica del Corriere”, 27 ottobre – 3 novembre 1918). In bilico tra paranoia e mistificazione, il suo caso fu studiato persino dall’illustre prof. Luigi Luciani, professore di fisiologia all’Università di Firenze, che nel 1888 lo fece sottoporre a osservazioni cliniche dalla commissione dell’Accademia medico-fisica fiorentina.
317 Nell’originale corretto da: 14 e sottolineato in rosso. In un fogliettino conservato nel diario è scritto: “Trovato Santoro ucciso il 22 luglio 1°. 8. 16” (sottolineato in rosso). Il soldato di Pontecorvo (paese nelle vicinanze di Roccasecca) risulta ufficialmente morto sul monte Colbricon il 24 luglio 1916 per le ferite riportate in combattimento ed è sepolto a Trento nel tempio ossario del cimitero. Il cognome della madre è trascritto in forma esatta (Santamaria) nella giornata del 1 agosto nella “Storia dell’orologio d’oro” (in Appendice VIII).
318 L’orologio da taschino in oro lavorato a sbalzo, ancora esistente e funzionante … riporta incisa all’interno la storia del suo rinvenimento: su questo particolare episodio Enrico Tanzilli scrisse nel 1968 la “Storia dell’orologio d’oro”.
319 Vedi Appendice VI e anche nota 308.
* Francesco Tanzilli è il nonno dei fratelli Emanuela (curatrice), Giovanni e Francesco Marino (ndr).
421 Incitamento al quadrupede (“arri”) seguito da una minacciosa espressione gergale (“che tu sia ucciso!”).
422 Il distintivo speciale con le cifre reali (le iniziali di Vittorio Emanuele) ricamate in argento, sormontanti il nodo di Savoia, fu concesso agli “arditi” (cfr. nota 359) da una circolare del 15 agosto 1916.
423 Errore di trascrizione per Manti (menzionato nelle giornate del 16, 19 luglio e 12 settembre 1916).
424 Cfr. nota 294.
425 Very è il cognome dell’ufficiale della Marina statunitense che inventò nel 1877 questo tipo specifico di segnalazione.
426 Sic.
427 Cfr. nota 292 [La quota si trova nell’elenco delle posizioni raggiunte che fecero meritare al 59° reggimento la medaglia d’argento al valor militare].
428 Per molti dei seguenti nominativi vedi giornate del 22, 24 e 25 luglio nel diario.
429 Domenico Serafini (Sora 1879) risulta ufficialmente morto, con il grado di capitano del 59° reggimento, il 26 maggio 1916 sul Col di Lana per le ferite riportate in combattimento e fu decorato con la medaglia di bronzo al valor militare.
430 Sic.
431 Fratello minore di Fortunato e Vinario (cfr. nota 10) [Famiglia imparentata con Enrico Tanzilli da parte della madre Maria Coarelli (sorella di Adelaide, moglie di Colantonio Tempesta) Dei due cugini, Vittorio (1894-1915) e Fortunato detto Natuccio (1891-1958), già arruolati, il primo, sottotenente del 39° reggimento (brigata Bologna), morì il 19 luglio sul fronte carsico di monte Sei Busi (presso Castelnuovo d’Istria, attuale Podgrad in Slovenia) e fu decorato con la medaglia d’argento al valore militare … Vittorio Tempesta è sepolto nella cappella di famiglia del cimitero di Roccasecca, il suo nome è uno dei primi che compare nell’elenco dei caduti del monumento in memoria (1926) nell’attuale via Roma e anche in quello posto nell’atrio del Collegio Tulliano di Arpino, dove aveva frequentato gli studi; a lui peraltro, è stata intitolata una strada nella prossima frazione di Caprile suo luogo di nascita].
432 La copia donata a Giovanni Santoro è tuttora conservata in famiglia; ringrazio cordialmente il nipote Giovanni Santoro per la segnalazione.
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