10 settembre 1943: le prime bombe su Cassino – L’inizio della tragedia

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Studi Cassinati, anno 2009, n. 3
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di Mario Alberigo

Iniziativa lodevolissima del Centro Documentazione Studi Cassinati intesa a ricordare agli anziani e, soprattutto, a futura memoria dei giovani, la tragica giornata del 10 settembre 1943 che visse la città, allorquando solo due giorni primi, l’8 settembre, con la firma dell’armistizio che avrebbe dovuto segnare la fine delle ostilità con gli anglo-americani, si creò un fronte opposto con gli allora alleati tedeschi che ci considerarono da quei giorni “vili traditori”.
Quei due giorni (8-9 settembre) avevano creato in tutta Italia e quindi anche nella nostra città un’atmosfera di fiduciosa attesa. Tra noi giovani, del tempo, in particolare l’armistizio avrebbe messo da parte il rischio di una chiamata alle armi e la popolazione avrebbe cominciato ad assaporare un po’ di tranquillità e di vita nuova.
Quando la mattina del 10 settembre 1943 un cupo rombo di motori di aereo (qualche ora prima alcuni aerei-cicogna avevano sorvolato la zona) suscitò sorpresa e sollievo; si pensava piuttosto ad una gioiosa giornata di pace. Ricordo che Lino Malatesta, mio amico di infanzia e allora mio dirimpettaio di casa, mi chiamò, così come era solito fare, per fare quattro passi e per chiedere notizie “fresche”.
Con Lino Malatesta e me facevano parte di un nutrito gruppo, giovani del quartiere dei “ferrovieri” in Via Cavour, i Matera, i Rea, i Piergiovanni, i Torriero, i Fraioli, i Germani, i Granata, i Frediani, i Bianchi ed altri ancora. Tutti ci conoscevamo da ragazzi ed eravamo legati da un fraterno affetto. Il 10 settembre eravamo tutti “mobilitati”.
Con Lino quindi ci incamminammo verso la Chiesa di S. Antonio e, sostando sul piazzale, udimmo il caratteristico cupo rombo di motori di aereo. Tre quattro secondi di tempo, e il fragore vicinissimo degli scoppi di bombe ci fecero sussultare; increduli e indecisi sul da farsi, vedemmo arrivare dal lato Sud della Casilina una colonna di mezzi militari tedeschi con le insegne della Croce Rossa alcuni, altri pieni di soldati i quali si affrettarono subito a raggiungere l’interno del fabbricato che costeggiava (l’attuale Teatro Manzoni) la Chiesa di S. Antonio.
In brevissimo tempo vennero sistemati sui tetti del fabbricato rotoli di festoni con le insegne della Croce Rossa per indicare che il fabbricato stesso veniva adibito ad ospedale. Non azzardo ipotesi ma non ci vuol molto ad immaginare (così si disse) che lo stratagemma era quello di sviare l’obiettivo degli aerei che avevano iniziato a bombardare la parte orientale della città. Lascio immaginare il trambusto di quei momenti. Gli scoppi continuavano, dalla gente che veniva verso di noi sapemmo che sull’altro versante dello stradone che costeggiava il monumento ai caduti e poi il “dopo lavoro ferroviario” e poi ancora la caserma dei Vigili del Fuoco, c’erano state le prime vittime e tra queste la giovane figlia della titolare dell’ufficio telefonico pubblico ed altri ancora. A mano a mano ci si rendeva conto che lo scoppio di bombe aveva, a detta dei fuggitivi, causato altri morti, si seppe dopo che furono un centinaio e più.
Mi sono soffermato su questi particolari perché ho bisogno di esternare, anche se a distanza di tanti anni, l’angoscia che mi prende quando ritorno a quei momenti tragici, preludio a tutti e tanti ancora avvenimenti funesti che aspettavano me e i miei concittadini.
Ma l’episodio più triste voglio riservarlo al ricordo, associandolo a Lino Malatesta scomparso da un anno appena, della circostanza che insieme vivemmo.
Un nostro caro amico, Bruno Marchegiano, sorpreso dallo scoppio di una bomba mentre si trovava in quei paragi, rimase ucciso per lo spostamento d’aria.
Riuscimmo con Lino a raggiungere Bruno, ormai esamine. In quella baraonda infernale non sapendo cosa fare, ci servimmo di un carrettino che casualmente era stato lì abbandonato; vi deponemmo il corpo del nostro amico e decidemmo di portarlo verso casa (Palazzo Marchegiano in Via Cavour).
Intanto il bombardamento era cessato e la gente pensava solo a mettersi, per quanto possibile al sicuro. Mentre ci dirigevamo verso casa, io e Lino a tristezza aggiungemmo tristezza e sconforto. Il papà di Bruno, l’avvocato Marchegiano, avuto la tragica notizia (non so da chi) ci raggiunse e disperandosi ci seguiva verso casa.
Sono certo che altri avranno dati più precisi per raccontarvi quante furono le vittime, dove si trovò il primo punto di riferimento in quel trambusto anche per deporvi le centinaia di salme.
Io mi sono limitato, anche nel ricordo di Lino Malatesta, a raccontarvi il clima di quel giorno infausto, il 10 settembre 1943.

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