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Studi Cassinati, anno 2017, n. 1
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di Gaetano de Angelis-Curtis
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Dopo la scoperta di un’«antichissima fornace preistorica»1 fatta nel 1890 da d. Anselmo M. Caplet e il rinvenimento di tracce della presenza dell’uomo paleolitico a Cassino2 con il riconoscimento di una necropoli della prima età del ferro fatta nel 1913 in località Campo di Porro da Gabrici3, altri e più importanti ritrovamenti di questa età riguardarono «piccolissimi vasi di argilla ed anche alcune figurine umane di animali» individuati su monte Puntiglio, «una delle piccole cime che fanno corona al Mons Casinum» a occidente da cui dista circa un chilometro in linea d’aria. Posto a metà di monte Cassino, monte Puntiglio, alto circa 300 metri, ha sulla sua sinistra la via di S. Rachisio e sovrasta un «burrone noto sotto il nome di “burrone di Santa Scolastica”», luogo in cui si rinvennero «oggetti appartenenti ad una stipe votiva». Si trattava di «alcuni piccolissimi vasi di argilla» così come di «alcune figurine umane e di animali». Relativamente al significato e all’uso di questi vasetti, «che in media mantengono le dimensioni di 2=3 cm. riproducendo le stoviglie adoperate nella vita comune», inizialmente si era ipotizzato che fossero «crogiuoli o giocattoli», ma successivamente «si stabilì che si trattava soltanto di oggetti votivi» i quali vengono rinvenuti normalmente «in recinti sacri e quindi in luoghi pubblici»4.
La scoperta, di cui ne diede notizia anche Luigi Pigorini5, avvenne, come scriveva l’eminente studioso e illustre archeologo Gianfilippo Carettoni, nel 19176. Ulteriori notizie sui ritrovamenti emergono dalla sua Tesi di laurea dal titolo Casinum. Ricerche topografiche e storiche dalle origini al 529 d.C., discussa nell’Anno Accademico 1933-34 e che fu alla base della prestigiosa pubblicazione su Casinum, nella quale Carettoni precisa che tali «primi rinvenimenti avvennero nel maggio 1917, durante i lavori di rimboschimento eseguiti dai prigionieri di guerra»7. Infatti la città di Cassino, nel corso della Prima guerra mondiale, era stata prescelta come luogo dove realizzare un Campo di concentramento in cui internare i militari dell’esercito austro-ungarico fatti prigionieri al fronte. Tale struttura fu realizzata tra la fine del 1916 e l’inizio del 1917 in località Monterotondo, o Molini Villa, di Caira, lungo la strada di collegamento tra la città e la sua frazione. Tuttavia un contingente di prigionieri austro-ungarici giunse a Cassino ancor prima che fosse decisa la costruzione delle strutture destinate a ospitarli. Infatti fu l’on. Achille Visocchi, a quell’epoca sottosegretario, che si adoperò presso il ministero di Agricoltura, Industria e Commercio affinché quei soldati potessero essere utilizzati nel territorio di Cassino adibendoli a lavori di rimboschimento. Fu prescelto un «esteso territorio montuoso», ampio circa 200 ettari, ubicato in contrada Santa Scolastica, nei pressi dell’abbazia di Montecassino, e che la stessa badia cassinese aveva ceduto al Comune di Cassino in fitto, «a discreto canone», grazie all’interessamento del sindaco Caio Fuzio Pinchera. «I primi 200 prigionieri, di nazionalità ungherese, scortati da 50 soldati comandati da un maggiore, giunsero a Cassino nella tarda primavera del 1916 e si attendarono alle falde della montagna»8. Ecco dunque che questa insolita combinazione di prigionieri, scelta dei luoghi, lavori di rimboschimento portò al ritrovamento a Cassino di reperti risalenti all’età del ferro, prime tracce di un insediamento umano ubicato sul pianoro di monte Puntiglio, un’area che successivamente, nel corso di un altro conflitto bellico, la Seconda guerra mondiale, fu duramente colpita dai bombardamenti e, dunque, «non conserva più traccia dei vari interventi di sterro operati nella prima metà del secolo»9.
A quei primi ritrovamenti del 1917, che furono donati dal prof. Carlo Campbell della Cattedra Ambulante di Cassino al «Museo Preistorico di Roma», collocati nel «Pigorini» nella Sala XLIII, ne seguirono altri «sporadici». Ad esempio uno «scavo eseguito nello stesso luogo nel 1930 da monaci cassinesi, l’ing. Arturo Alinari e l’archivista d. Mauro Inguanez, portò al rinvenimento di «vasetti del solito tipo: alcune centinaia di questi oggetti sono nella raccolta del Seminario, solo in parte esposti. Un altro gruppo di oggetti non esposti al pubblico è conservato da D. Mauro nell’Archivio della Badia … Si tratta di una diecina di vasetti d’impasto grossolano, malcotto, di colore rossiccio o rosso bruno». Anche lo stesso Gianfilippo Carettoni eseguì, nel 1934, «nel posto della prima stipe votiva, quella sopra S. Scolastica» un saggio di scavo che risultò relativamente «facile, essendo sufficiente intaccare appena il terreno, smuovendo i frammenti di roccia». Nell’arco di circa un’ora di lavoro «vennero alla luce una quarantina di vasetti simbolici in buono stato di conservazione; oltre a molti frammenti dei medesimi e di altri più grandi». Tuttavia non trovò «neppure una delle figure fittili umane che si erano rinvenute insieme ai vasetti nello scavo del 1917», ma, scriveva, «realmente le figurine» raccolte fino ad allora risultavano essere «poche in relazione alla gran quantità di vasetti»10.
Ulteriori scavi ma in una seconda stipe che si trova sulla cima di monte Puntiglio, furono effettuati ancora da Arturo Alinari che l’aveva individuata. In questa seconda stazione reperì «oltre ai soliti cocci di vasi anche le figurine umane». Proprio questi rinvenimenti e la notizia appresa da contadini del luogo sul frequente rinvenimento di tali tipi di reperti, spinse Gianfilippo Carettoni a effettuare, nel settembre 1934, un altro saggio di scavo. Portatosi sul piccolo monte iniziò le ricerche. I risultati, però, «in 2 ore circa di lavoro, furono ben scarsi» in quanto il luogo risultava essere «già stato continuamente scavato in precedenza per ricercare le statuine». Gli riuscì solamente di rinvenire, «mescolate a frammenti di grandi vasi e ad ossa di animali11, le figurine fittili, però sempre frammentarie: torsi, piedi, teste…».
Anche d. Angelo Pantoni, mentre era giù in corso la Seconda guerra mondiale,si apprestò a effetture nuovi scavi. Quelli del 1941, effettuati nella parte nord-occidentale della cima, non furono, però, molto fruttuosi né portarono alla luce «sicuri documenti d’industria litica». Altre ricerche furono svolte nel 1942 da d. Angelo che coordinava l’attività di vari monaci cassinesi. In tale occasione, tuttavia, essi si ritrovarono «di fronte a reperti del tutto nuovi e inconsueti». Ad esempio fu rinvenuta una «lastra integra, composta di quattro elementi e avente complessivamente le dimensioni di cm. 107×75» che ne aveva un’altra al di sotto. Non potendo trasportare in quel giorno un «così notevole reperto, fu ricoperto con ogni cura per tornare il giorno seguente, nel quale purtroppo fu trovato devastato da gente della montagna rimasta ignota, per la smania vandalica di cercarci sotto chissà quali tesori!». I vari pezzi furono portati a Montecassino e ne fu ricostruita una buona metà. Si trattava di un «reperto del tutto singolare» e per il quale a quel tempo non c’erano termini di confronto. Il prof. Amedeo Maiuri12 che esaminò il manufatto a Montecassino, confermò la «singolarità del reperto» e suppose che si trattasse di una «tavola libatoria»13.
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Note
1A. Pantoni, Montecassino. Scritti di archeologia e arte, Biblioteca della miscellanea cassinese, Montecassino 1998, p. 24.
2 Nel 1863 in una grotta che si apre su un fianco di monte Cassino fu rinvenuto un «deposito musteriano accompagnato dalla relativa fauna». Si trattava di una cinquantina di oggetti tipici dell’industria di quell’epoca, utensili come delle schegge ritoccate di pochi centimetri di lunghezza. Punte triangolari, raschiatoi dal bordo arcuato e ritoccato. La fauna era quella comune al musterianano ed «era presenta anche un frammento di molare d’elephas Antiquus. I reperti sono conservati nel Museo geologico di Napoli (G. Carettoni, Casinum. Ricerche topografiche e storiche dalle origini al 529 d.C., Tesi di laurea discussa, Università degli Studi di Roma, Anno Accademico 1933-34, pp. 18-19, 32). La grotta era ubicata nelle vicinanze di «Porta Paldi», nei pressi della via che conduce a S. Angelo in Theodice, e andò poi distrutta (cfr., anche per la descrizione dei reperti ritrovati e la loro ubicazione, F. Di Giorgio, Pleistocene: l’era dei mammut nella valle del Liri, in «Studi Cassinati», a. XV, n. 4 ottobre-dicembre 2015, pp. 245-246).
3 Oltre al rinvenimento di alcune «daghe di bronzo del tipo» che Gabrici «chiama cumano (lama e impugnatura di un sol pezzo; l’impugnatura termina con una barra trasversale a segmento di cerchio)», la scoperta della necropoli, secondo Carettoni, risulta «assai importante per la preistoria cassinate, e desta tanto maggior interesse in quanto si può porla in relazione» con gli altri ritrovamenti «di questa età avvenuti sulle propaggini di Mons Casinum. Si deve anche rilevare», continuava Carettoni, «che più tardi la Necropoli di Casinum, romana, estendendosi lungo la mulattiera di Villa S. Lucia che costeggia il monte, attraversava anche Campo di Porro, poiché in questa località vengono alla luce lapidi ed altri oggetti mortuarî di età romana» (G. Carettoni, Casinum. Ricerche topografiche … cit., pp. 19-2; G. Carettoni, Sepolcreto dell’Età del Ferro scoperto a Cassino, in «Bullettino di Paleontologia italiana», 1958-1959, nn. 67-68, pp. 163-204).
4 «Pigorini infatti, parlando della stipe di S. Scolastica, ricorda i rinvenimenti simili avvenuti a Satricum (t. dea Matura), alla Pertosa, a Tivoli (t. d’Ercole), nel recinto della dea Nortia a Bolsena, eccet…. ed altri ritrovamenti anche nella Campania a Capua (santuario alle Curti) a Minturno (sant. ninfa Marica)».
5 L. Pigorini, Vasetti fittili votivi, in «Bullettino di Paleontologia italiana», 1916-1917, 42, pp. 85-95.
6 G. Carettoni, Casinum presso Casinum. Regio I – Latium et Campania, Istituto di Studi Romani ed., Roma MCMXL, p. 14.
7 G. Carettoni, Casinum. Ricerche topografiche … cit., p. 22. La Tesi di laurea, discussa presso la Facoltà di Lettere dell’Ateneo romano e di cui fu relatore il prof. Giulio Quirino Giglioli, docente di Topografia dell’Italia antica, è stata gentilmente messa a disposizione dalla famiglia Carettoni al presidente onorario del Cdsc-Onlus Emilio Pistilli e ora risulta integralmente consultabile sul sito dell’Associazione: www.cdsconlus.it.
8 G. de Angelis-Curtis, La Prima guerra mondiale e l’alta Terra di Lavoro. I caduti e la memoria, Cdsc-Onlus, Cassino 2016, p. 43.
9 F. M. Cifarelli, Monte Puntiglio e il complesso votivo di Petra Panetta: note topografiche e aspetti culturali, in E. Polito (a cura di), Casinum oppidum, Atti della giornata di studi su Cassino romana e preromana, Edizioni Università degli Studi di Cassino, Cassino 2007, p. 20.
10 G. Carettoni, Casinum. Ricerche topografiche … cit., p. 27.
11 La presenza di ossa, rarissime invece nella prima stipe, ha fatto supporre a Carettoni che «sulla coma di Monte Puntiglio si compissero anche sacrifici di animali» (G. Carettoni, Casinum. Ricerche topografiche … cit., p. 31).
12 Dunque, Amedeo Maiuri, uno dei più importanti archeologi italiani, direttore del Museo Nazionale di Napoli e degli scavi di Pompei e di Ercolano, nel 1942 era a Montecassino e visionò il manufatto. Potrebbe essergli nata in quella occasione l’idea di cercare di sottrarre ai pericoli della guerra molti reperti dei musei napoletani portandoli a Montecassino oppure si trovava in abbazia proprio per concordare con l’abate Diamare possibilità e modalità del trasferimento. Infatti Napoli, a partire dal gennaio 1943, iniziò a essere quotidianamente bombardata dall’aviazione alleata e così il 15 giugno 1943 Maiuri fece caricare «sessanta casse di oggetti d’arte antica, quasi tutta la collezione dei preziosi», su «cinque camion militari» e lui stesso con «dodici uomini di scorta oltre ad una squadra scelta di operai del Museo» li portò a Montecassino.
13 A. Pantoni, Montecassino. Scritti di archeologia … cit., pp. 31-32.
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